Domani sera la Veglia

Il Natale ortodosso in Ticino nel segno di una pace difficile

Nelle parrocchie del cantone le varie comunità si apprestano a partecipare ai tradizionali riti — Il conflitto in Ucraina al centro di speciali preghiere di unità — Padre Dinca: «Le differenti visioni politiche non devono intaccare le ragioni della fede»
© Ti-Press / Francesca Agosta
Dario Campione
05.01.2023 06:00

Non è un Natale come gli altri, quello che le comunità ortodosse ticinesi si apprestano a celebrare tra domani notte e sabato mattina. Non può esserlo, perché nei cuori e negli animi di ciascuno pesa, inevitabilmente, quanto sta succedendo in Ucraina.

Sul confine Est dell’Europa continentale si combatte da 315 giorni una guerra tra popolazioni da sempre unite da uno stesso credo. Di più: da popolazioni che, per secoli, sono state amministrate religiosamente da un’unica Chiesa, quella di Mosca. Soltanto nel 2019, infatti, il patriarcato di Kiev ha ottenuto l’indipendenza (autocefalia, ndr) dalla Chiesa ortodossa russa, nonostante l’opposizione del Cremlino e del primate moscovita, Kirill, uno dei più fedeli scherani di Vladimir Putin.

A febbraio, dopo lo scoppio della guerra, Kirill ha definito l’invasione una battaglia tra il bene - chiaramente la Russia - e il male - l’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Dichiarazioni che hanno convinto il leader degli ortodossi nel mondo, il patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli, a revocare definitivamente al patriarca di Mosca l’autorità sulla Chiesa in Ucraina.

Primi cambiamenti

Quest’anno, proprio a causa della guerra, per la prima volta il primate di Kiev, Epifanio,  ha autorizzato le sue congregazioni a festeggiare il Natale non solo il 7 gennaio, così come previsto dal calendario giuliano, ma anche il 25 dicembre. Una decisione presa con l’obiettivo di allargare ulteriormente il fossato con la Russia, ma figlia probabilmente anche di una progressiva “occidentalizzazione”, che ha investito la società ucraina più di altre. C’è da dire, peraltro, che l’arretramento del Natale è da decenni uno standard liturgico in Romania; e anche In Moldavia, la Chiesa ortodossa bessarabica segue il calendario gregoriano.

Secondo l’arcivescovo di Cherniyiv, Yevstratiy Zoria, la richiesta di cambiamento risale al 2017, anno in cui il 25 dicembre era diventato giorno festivo in Ucraina. «Già prima dell’invasione, oltre un terzo degli ucraini voleva passare al calendario gregoriano - ha detto monsignor Yevstratiy Zoria alla Reuters - e le richieste di cambiamento sono aumentate dopo l’inizio della guerra, spingendoci ad autorizzare le nostre 7mila parrocchie a tenere servizi religiosi completi il 25 dicembre. Questo non significa spostare il Natale, ma avere un giorno di culto aggiuntivo. Dopo aver osservato quante congregazioni sceglieranno di celebrare il 25 dicembre, si valuterà che cosa fare in futuro».

Chiesa di fraternità

In effetti, lo stesso è accaduto anche in Ticino, dove una parte della comunità ortodossa ha già festeggiato una prima volta il Natale proprio in coincidenza con quello cattolico. Padre Bogdan Constantin Dinca assiste spiritualmente i fedeli che si riuniscono alla Madonnetta, a Lugano, sotto la giurisdizione della Metropolia ortodossa romena dell’Europa occidentale e meridionale.

«Domani sera ci sarà il Vespro e inizieremo così le celebrazioni del nostro “secondo” Natale - dice il sacerdote al Corriere del Ticino - la nostra comunità è stata fondata in origine da greci e serbi, ma nel tempo si sono aggregati molti romeni e anche tanti ucraini. Non abbiamo problemi di convivenza tra culture e provenienze diverse, la nostra è una Chiesa di fraternità, crediamo che le differenti visioni politiche o economiche non possano e non debbano intaccare le ragioni della verità e della fede».

Nonostante la guerra, i rapporti con la comunità ortodossa russa in Ticino restano buoni. «Noi siamo in comunione con la Chiesa di Melide e con il padre Sviatoslav Zasenko - dice ancora padre Dinca - ancora di recente abbiamo celebrato insieme l’ufficio del santo olio. Mi auguro davvero che in questo Natale sia possibile scambiarsi reciprocamente messaggi di pace».

Il passato ex yugoslavo

L’accensione dell’albero sul sagrato di San Rocco, a Lugano, domani alle 18.30, segnerà invece l’avvio delle celebrazioni natalizie nella parrocchia serbo ortodossa guidata da padre Marco Knezevic, in Ticino ormai da 4 anni al servizio di una comunità che ha superato le 10 mila unità .

«Sempre domani, alle 23, ci sarà la messa della vigilia, quindi sabato mattina, alle 9, la messa di Natale», dice il sacerdote al Corriere del Ticino.

Anche padre Knezevic pronuncerà davanti ai fedeli una «speciale preghiera per la pace. Abbiamo tanti ucraini nella nosra parrocchia - spiega - e anche qualche russo, ci rendiamo conto come tutti loro stiano vivendo una situazione terribile, come stiano sopportando un peso per certi aspetti insostenibile. Qualcosa che noi serbi capiamo perfettamente, poiché in passato, ma anche adesso, abbiamo vissuto e continuiamo a vivere i conflitti  tra le popolazioni della ex Yugoslavia».

Russi e ucraini «sono fratelli ortodossi, occhi di una stessa testa. Non possiamo accettare quanto sta accadendo. Per questo, preghiamo per entrambi i popoli e per la pace», conclude padre Knezevic.

Il 7 gennaio è il giorno di Natale per le Chiese orientali cattoliche e le Chiese ortodosse che non seguono il calendario gregoriano, introdotto da papa Gregorio XIII nel 1582, anno in cui i giorni tra il 5 e il 14 ottobre furono cancellati. Secondo la tradizione, a Natale gli ortodossi usano offrire candele e germogli di grano. Nel giorno della vigilia (il 6 gennaio), in cui si pratica il digiuno, si può mangiare soltanto cibo “socivo”, ovvero grano lesso e frutta. Il digiuno si conclude con la solenne messa di mezzanotte dove è distribuito il pane benedetto.
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