La Libia e la vulnerabilità delle dighe

Al di là delle catalogazioni – era un Medicane oppure no? – la tempesta, violentissima, che ha colpito le coste nordorientali della Libia, domenica, è un esempio di come le infrastrutture costruite dall'uomo, nello specifico due dighe a monte della città portuale di Derna, possano scontrarsi con il cambiamento climatico. Trasformando una tempesta come Daniel in un vero e proprio disastro, fra inondazioni torrenziali e migliaia di morti, se non decine di migliaia.
«Le inondazioni sono il rischio naturale più dannoso in termini di distruzione di proprietà e di vite umane» ha dichiarato al riguardo Katharine Mach, docente di scienze e politiche ambientali presso l'Università di Miami, intervistata dal New York Times. Un rischio naturale, leggiamo, determinato da una serie di fattori.
Innanzitutto, la Libia tradizionalmente ha un clima secco. Precipitazioni così intense, detto altrimenti, sono considerate rare. Sull'area intorno a Derna, domenica, secondo il Centro meteorologico libico sono caduti oltre 400 millimetri. In quelle zone, normalmente, durante tutto il mese di settembre cadono appena 1,5 millimetri. Il cambiamento climatico, però, ha modificato le carte in tavola. E di molto. «Ci troviamo inequivocabilmente in circostanze in cui le precipitazioni si verificano con maggiore intensità» ha aggiunto la dottoressa Mach. L'acqua, nel senso di inondazioni, la settimana scorsa aveva provocato danni importanti anche in Grecia e in Turchia.
In Paesi secchi come la Libia, leggiamo, la pioggia tende a rimanere in superficie anziché infiltrarsi nel terreno. Di qui la velocità, improvvisa, con cui una tempesta si trasforma in alluvione. Regioni più umide, invece, sono avvantaggiate in questo senso. Proprio perché il terreno è più abituato all'acqua e può assorbirne di più, mitigando in parte il pericolo di inondazioni.
Non solo, Derna è stata costruita sopra un cono alluvionale. Per cono alluvionale si intende, citiamo Wikipedia, un corpo sedimentario costituito da un accumulo di sedimenti clastici con forma caratteristica a ventaglio. «I depositi – spiega l'enciclopedia online – sono generalmente formati da un corso d'acqua a regime torrentizio allo sbocco di una valle montana in una pianura o in una valle più grande, e sono prodotti dalla sedimentazione del materiale in carico al corso d'acqua quando la corrente fluviale rallenta e si espande improvvisamente per una brusca diminuzione della pendenza topografica e per il venir meno del confinamento laterale». Paesaggio, questo, considerato a rischio di inondazioni. Anche pesanti, secondo quanto dichiarato da Brett Sanders, professore di ingegneria civile e ambientale presso l'Università della California.
Il fatto, ha sottolineato ancora la dottoressa Mach, è che storicamente le città sono state costruite proprio dove c'è acqua. «Le persone di tutto il mondo hanno messo le loro cose – infrastrutture, case, centri industriali, centri commerciali – nel percorso del danno, in aree soggette a inondazioni». Vero, negli anni sono state costruite anche infrastrutture di controllo delle inondazioni e dell'approvvigionamento idrico. Come appunto le dighe di Derna. Il problema è che se simili strutture non vengono adeguatamente gestite e mantenute, possono amplificare la portata di un disastro. «Una cosa è costruire una struttura di controllo delle inondazioni» ha ribadito la dottoressa Mach. «Un'altra è assicurarsi che venga mantenuta nel tempo». In un Paese, la Libia, politicamente instabile, il fatto che le dighe abbiano ceduto non deve sorprendere. Il leader dell'amministrazione libica con sede a Tripoli, Mohammed al-Menfi, ha chiesto alla procura di aprire un'indagine sul doppio crollo. Nello specifico, al-Menfi ha ordinato al pubblico ministero di ritenere responsabile chiunque sia ritenuto aver commesso errori o negligenze.
Non solo, dighe come quelle di Derna sono state progettate e costruite pensando a un clima «passato». Secondo specifiche e standard che, viste le precipitazioni di domenica, mai e poi mai avrebbero garantito la necessaria sicurezza.
Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite prevede che le tempeste mediterranee come quella che ha colpito la Libia potrebbero diventare meno frequenti in futuro, ma quelle che si formeranno saranno indubbiamente più forti e più estreme.