L'analisi

La parata a Mosca è un assaggio del nuovo ordine globale vagheggiato da Putin

Da Maduro a Xi Jinping passando per i leader dell'Africa e dell'Asia centrale ex sovietica, ecco come leggere la sfilata di ospiti illustri durante il Giorno della vittoria
©YURI KOCHETKOV
Luca Lovisolo
09.05.2025 16:37

A fine anno 1986 la televisione tedesca trasmise il tradizionale discorso augurale dell’allora Cancelliere Helmut Kohl. Per errore, mandò in onda quello dell’anno precedente: quasi nessuno se ne accorse. Capiterebbe lo stesso con il discorso che Vladimir Putin tiene ogni anno sulla Piazza Rossa, dinanzi alla parata del 9 maggio, Giorno della vittoria contro il nazismo e data-simbolo della fine della Seconda guerra mondiale. Eppure, quest’anno è emersa una primizia: il nuovo ministro della difesa, Andrej Belousov. Il suo esile profilo in abito civile ha sostituito la stanca figura di Sergej Šojgu. Si presentava in divisa militare, ombreggiato da uno dei larghi copricapi delle forze armate russe, benché neppure lui fosse un militare.

Il discorso del 9 maggio ha il pregio di fotografare la visione del mondo del presidente russo. L’omaggio ai veterani, l’entusiasmo per la vittoria nel 1945 e l’esaltazione dell’attuale «operazione militare speciale» in Ucraina. Quest’anno si sono sentiti meno riferimenti espliciti all’Occidente e la riaffermazione che la Russia lotta contro l’antisemitismo: Putin, però, non ha spiegato come ciò sia compatibile con l’appoggio di Mosca ad Hamas. Tolte queste varianti, la ripetitività del suo discorso significa che nulla è cambiato, anzi: l’arrivo di Donald Trump apre scenari favorevoli, per realizzare la spartizione che la Russia sta tentando di imporre al mondo con le armi, sin dall’invasione della Georgia, nel 2008.

Una visione cantata dalla propaganda del Cremlino su ogni possibile canale e insegnata con ardore fin nelle scuole. La rete televisiva russa Dožd’, che ha trasferito la sede in Olanda perché rimasta tra le poche a opporsi al regime, ha trasmesso dei video ripresi nelle scuole materne russe e un filmato prodotto per istruire gli insegnanti su come trattare la guerra, di fronte ai loro allievi, in preparazione del 9 maggio. Nei video, mentre i bambini realizzavano disegni a soggetto bellico e costruivano modellini di armi e carri armati di cartone, le insegnanti illustravano la guerra in Ucraina come giusta prosecuzione della Seconda guerra mondiale, contro i portatori del nuovo nazismo, cioè gli ucraini e noi europei. Poi, tutti i bambini in fila indiana a passo di marcia, contro un Occidente che vuole sopprimere i «valori tradizionali» e la grandezza della Russia. Sui muri di una delle scuole si leggevano slogan motivazionali ispirati al patriottismo. Nei giorni che precedono il 9 maggio, ci sono supermercati russi che dai loro altoparlanti diffondono musiche militari; soldati e volontari fermano i passanti per parlare di guerra. Molti russi approfittano della festività per una vacanza. Quest’anno, però, massicci lanci di droni dall’Ucraina hanno perturbato il traffico aereo nella Russia occidentale e rovinato il loro svago.

Quando si pensa alla parata del 9 maggio bisogna immaginare questo contorno, in tutta la Russia, non solo ai battaglioni che calcano la Piazza Rossa di Mosca al passo dell’oca. Qui, però, c’è ogni anno una spia che offre spunti d’interpretazione concreti: l’elenco dei capi di Stato e di governo stranieri invitati cambia ogni volta e non è compilato a caso. La conferma della logica seguita per gli inviti, quest’anno, era nel discorso tenuto da Putin, in privato, alla tavolata degli invitati, quasi tutti dirigenti del cosiddetto «Sud globale». Dopo un rituale elogio alle Nazioni unite, il presidente russo ha virato stretto per sottolineare quanto le potenzialità dell’ONU restino inespresse, verso la realizzazione di un mondo ispirato all’equità fra Stati sovrani.

Non ci si lasci ingannare dalle belle parole: Putin pensa alla visione del «mondo multipolare» elaborato da Aleksandr Dugin (e da questi ben spiegata proprio qui a Lugano, nel 2019). Un ordine mondiale che non ha nulla a che vedere con il multilateralismo che ispira le Nazioni unite: «L’anno scorso, in Russia, abbiamo segnato una tappa di questo cammino, con l’incontro fra i Paesi del BRICS, molti sono qui oggi» ha proseguito Putin. Ha riaffermato così che la scelta degli invitati alla parata di quest’anno è una mossa verso relazioni sempre più strette fra i BRICS, un gruppo che raccoglie Paesi in via di sviluppo diversissimi fra loro, ma accomunati da un unico pensiero: sovvertire l’ordine internazionale presente, affermando il superamento della democrazia liberale e dello Stato di diritto. «Esistono sistemi di governo più efficaci», disse Putin durante un intervento al Club Valdai nel 2022, pochi mesi dopo la ripresa della guerra in Ucraina. Si riferiva proprio ai regimi autoritari che si sono rivisti a Mosca alla parata: dal Venezuela di Maduro alla Cina di Xi Jinping, passando dai leader del Sud est asiatico e dell’Asia centrale ex sovietica, fino ai golpisti e autocrati dell’Africa. La Piazza Rossa, quest’anno, era un catalogo dei dirigenti mondiali di riferimento, per il nuovo ordine globale vagheggiato dal Cremlino. Con questi dovremo confrontarci, se la Russia vincerà la guerra d’Ucraina e realizzerà i suoi intenti.

In questo quadro poco rassicurante, ha suscitato triste contrasto vedere il capo di un governo europeo, lo slovacco Robert Fico, sfilare a fianco di Putin e chinarsi con gli autocrati alleati della Russia dinanzi al monumento al milite ignoto sovietico. I Paesi dell’Est Europa furono liberati dal nazismo per mano dei sovietici, ma per la stessa mano ricaddero subito nella dittatura comunista. La Slovacchia, allora parte della Cecoslovacchia, nel 1968 subì i colpi dei carri armati inviati da Mosca per reprimere la Primavera di Praga, la rivolta contro il regime imposto dai sovietici. Leader della Cecoslovacchia era lo slovacco Alexander Dubček, fautore del «socialismo dal volto umano» rifiutato dai sovietici come eresia. Se anche si facesse finta di non vedere l’inopportunità della presenza di Fico a Mosca a causa della guerra in Ucraina, il suo gesto è in dolorosa discordia con la memoria degli eventi del 1968. L’ungherese Viktor Orbán, invitato anch’egli alla parata, ha rifiutato proprio ricordando che nel 1956 i sovietici schiacciarono a Budapest una rivolta analoga a quella di Praga. Non sappiamo quanto Orbán sia stato sincero, nel dare questa motivazione. Proviamo a credergli: ci sembrerà un po’ meno grave la smemoratezza dell’Europa, per una storia della Liberazione che deve includere sì la fine di nazismo e fascismo nel 1945, ma anche la fine delle dittature comuniste nel 1989, sino alla caduta dell’Unione sovietica e delle sue fratellanze forzose, nel 1991, o la memoria resta incompiuta.