Il reportage

La resistenza di Melitopol: «Via i terroristi dalla città»

Il centro di 150 mila abitanti nel sud dell’Ucraina è stato conquistato dai russi due giorni dopo l’inizio della guerra e da allora i suoi abitanti vivono in un regime di occupazione
Luca Steinmann
22.03.2022 06:00

Melitopol è poco distante dal Donbass, ma l’atmosfera non potrebbe essere più diversa. Questa cittadina di 150 mila abitanti situata nell’estremo sud dell’Ucraina a ridosso della Crimea e ad una cinquantina di chilometri a ovest di Mariupol è stata conquistata dai russi lo scorso 26 febbraio. Da allora vive in un regime di occupazione. Sotto di esso, però, gli occupanti non stanno tentando di conquistare il territorio anche dal punto di vista simbolico, ma mantengono le bandiere e i simboli della precedente amministrazione ucraina. E molti cittadini prendono apertamente posizione contro la presenza dei russi. Mentre il Donbass diventa giorno dopo giorno parte sempre più integrante della Federazione Russa (seppur non dal punto di vista formale), nel sud dell’Ucraina il futuro è ancora incerto: non è da escludere che venga annesso alla Russia, ma potrebbe anche darsi che Mosca decida di lasciarlo formalmente sotto il governo di Kiev, purché questo si pieghi alle sue direttive. Perché questo possa avvenire i russi stanno già provando a rimuovere la locale classe dirigente ucraina, sostituendola con del personale a loro fedele. Riscontrando però forti resistenze.

Per raggiungere Melitopol bisogna imbarcarsi su dei pesanti mezzi militari russi che partono da Sinferopoli, in Crimea. La strada che porta verso nord e che sbocca in Ucraina è piatta e malandata, continuamente percorsa dai carri armati di Mosca che si dirigono verso i campi di battaglia. Lungo il tragitto ci si imbatte nella distruzione causata dalla guerra: alcune carcasse di mezzi militari, ex postazioni dell’esercito ucraino colpite dall’artiglieria russa e soprattutto un ponte distrutto. La struttura collegava la Crimea alla cittadina di Henices’k. Le truppe ucraine in ritirata lo hanno fatto saltare in aria per evitare che venisse percorso dai tank russi in avanzata. L’artificiere che lo ha fatto esplodere è stato nominato da Zelensky eroe nazionale.

Una città ancora intatta

Arrivati a Melitopol ci si rende subito conto come questa città non sia stata colpita da bombardamenti così massicci come invece avvenuto nel vicino Donbass. Nonostante ci siano stati dei combattimenti, qui l’esercito russo ha preso il potere nell’arco di poche ore, senza radere al suolo le aree urbane come successo a Mariupol e Volnovakha. La città è quasi totalmente intatta, le strade pullulano di persone come se nulla fosse successo. Le bandiere gialle e azzurre dell’Ucraina sventolano ancora su tutti i palazzi pubblici e i simboli del governo di Kiev sono ancora lì, ben visibili. Se non fosse per i militari russi che si incrociano di tanto in tanto per strada si potrebbe pensare che nulla sia cambiato rispetto a prima dell’occupazione.

Eppure non è veramente così. Dietro l’apparente normalità si cela in realtà una lotta di potere tra la vecchia classe dirigente leale a Kiev e nuovi politici locali emergenti leali alla Russia, che Mosca vuole mettere al comando. Ciò è reso evidente dal caso di Ivan Fedorov, il sindaco della città che l’11 marzo è stato sequestrato dai russi perché non conforme alle loro direttive. Liberato quattro giorni fa in merito a uno scambio di prigionieri, è stato accolto da Zelensky con tutti gli onori. Al suo posto i russi hanno nominato Galina Danilchenko, signora di mezza età che, a differenza del suo predecessore, promuove politiche favorevoli alla linea di Mosca. Per incontrarla bisogna recarsi presso il palazzo comunale, che è completamente militarizzato da uomini armati con passamontagna neri che celano i loro volti. La sindaca riceve i suoi ospiti in una stanza anch’essa piena di militari e annuncia: «Tra noi e i russi non c’è alcuna differenza in quanto popolo, spero che presto non ci sia più differenza anche dal punto di vista amministrativo e che saremo parte della Russia».

Sono nata nell'Unione Sovietica e mio padre era di Vladivostok, adesso però sono diventata ucraina e voglio che questi terroristi se ne vadano
Natalia

La realtà è diversa

Basta però scendere nella piazza sotto il Comune per notare come tra i cittadini le opinioni in merito siano spesso diverse. «Sono nata nell’Unione Sovietica e mio padre era di Vladivostok, adesso però sono diventata ucraina e voglio che questi terroristi se ne vadano», dice Natalia, signora di mezza età che passeggia nella piazza centrale e indica le truppe russe che pattugliano. Mentre parla interviene un altro passante che la contraddice e si dice invece favorevole ai russi. «Non è un’occupazione ma una riunificazione. Qui siamo sempre stati russi, il russo è la nostra lingua e quanto sta avvenendo ci riporta semplicemente a casa».

Sentendo queste parole altri cittadini di uniscono alla discussione, che in breve si trasforma in una lite concitata che i militari russi riescono a calmare solo intervenendo con le armi in mano.

La spaccatura

La resistenza dei cittadini di Melitopol contro la presenza delle truppe del Cremlino non è totale ma significativa. Nonostante la popolazione locale sia di lingua e cultura russa essa non condivide automaticamente i disegni imperiali di Vladimir Putin. Si assiste quindi a una forte spaccatura nella società cittadina come in tutta la popolazione russofona del sud dell’Ucraina, divisa tra russofili e filo-ucraini. Non si tratta di una divisione di tipo etnico, bensì valoriale e ideologica tra chi è attratto dallo stile di vita occidentale e chi invece sente il richiamo delle antiche radici russe.

Qui la Russia ha sì conquistato militarmente il territorio, ma la conquista delle menti e dei cuori degli abitanti è una questione più aperta che mai.

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