Agricoltura

La siccità straordinaria colpisce la risaia d’Europa

Le conseguenze relative alla mancanza di precipitazioni e le temperature elevate hanno un serio impatto sulla coltivazione del cereale più consumato al mondo, di cui Lombardia e Piemonte sono i primi produttori nel Continente
Maria FerrarieGaia Fieramosca
18.07.2022 06:00

Doveva essere l’anno del riso, complice la guerra in Ucraina che ha distrutto gran parte della produzione di cereali in quello che era il Granaio del mondo. E invece, la siccità di questi mesi sta decimando le risaie italiane con perdite stimate in oltre il 30% del raccolto, in un momento in cui i coltivatori stanno già facendo i conti con il caro prezzi che li ha costretti a tagliare 10 mila ettari di produzione.

La drammatica fotografia scattata dalla Confederazione nazionale coltivatori diretti (Coldiretti) racconta delle conseguenze che la mancanza di precipitazioni e le bombe di calore stanno avendo sul cereale più consumato al mondo, di cui l’Italia è il primo produttore europeo, con una raccolta di 1,5 milioni di tonnellate di risone l’anno.

In Italia si producono oltre 200 varietà di riso, dalle sue risaie arriva la metà di tutto il riso prodotto in Europa e nella Penisola la domanda di riso, così come dei suoi prodotti derivati, è in costante crescita da tempo, con un +10% nell’ultimo decennio. Solo lo scorso anno l’import di riso (considerato nel complesso tra lavorato, semigreggio, risone e rotture) è aumentato di 16.100 tonnellate (+7,5%), secondo le stime dell’Associazione nazionale ceralisti (Anacer) sulla base dei dati Istat.

Stop il 25 luglio per le irrigazioni

Dei 217mila ettari coltivati in Italia, il 90% è concentrato al Nord fra la Lombardia e il Piemonte dove è stato dichiarato lo stato di emergenza fino a fine anno e il Governo ha stanziato una quarantina di milioni di euro per aiutare gli agricoltori. Le due regioni sono al centro dell’ondata di caldo eccezionale e di siccità che sta colpendo l’Italia e ci sono zone fra le province di Novara, Vercelli e parte di quella di Pavia dove il rischio è di arrivare a perdere anche il 40% della produzione in seguito alla mancanza di acqua che serve a dissetare le giovani piantine. Alcuni agricoltori, segnala la Coldiretti, si sono trovati nella drammatica situazione di dover scegliere chi far sopravvivere con le irrigazioni: una risaia o un’altra, un campo di mais o uno di Carnaroli o Arborio. Giovedì scorso, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha annunciato che il 25 luglio sarà la data ultima al di là della quale non ci sarà più acqua per l’agricoltura in Lombardia.

Riso amaro

Davvero un riso amaro, per parafrasare il titolo del celebre film di Giuseppe De Santis sulla dura vita delle mondine. Adesso la maggior parte del lavoro è fatta dalle macchine, ma in questi mesi anche per i coltivatori la vita è molto difficile dato che devono difendersi dagli aumenti record dei concimi (+170% quest’anno) e del gasolio, il cui prezzo è più che raddoppiato. E così in un anno, il costo del riso originario, quello che si usa per fare il sushi, è passato da 350 a 770 euro alla tonnellata, il Ribe è passato da 330 a 570 e l’Arborio e il Carnaroli, rispettivamente, sono aumentati del 25 e del 60%. «Per cercare di contrastare l’aumento dei costi di produzione bisogna lavorare fin da subito sugli accordi di filiera che sono uno strumento indispensabile per la valorizzazione delle produzioni nazionali e per un’equa distribuzione del valore lungo la catena di produzione», afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

L’import «selvaggio» dall’Asia

Ma non è così semplice siglare questo tipo di accordi, perché sul riso pesa la concorrenza spietata del prodotto low cost importato da alcuni Paesi asiatici, nazioni che vengono agevolate dall’UE nonostante non garantiscano gli stessi standard di sicurezza alimentare, ambientale e dei diritti dei lavoratori.

Oltre il 70% del riso importato in Italia è oggi a dazio zero. Un esempio è il Myanmar che è diventato il primo fornitore con 23 milioni di chili nei primi quattro mesi del 2022, dieci volte di più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente con un trend favorito dalla scadenza della clausola di salvaguardia con la quale si erano bloccate le agevolazioni tariffarie concesse al Paese asiatico e alla Cambogia. Per anni i due Paesi del Sud est asiatico hanno beneficiato dell’azzeramento dei dazi per esportare in Europa e il risultato è stato una vera e propria invasione di prodotto a basso costo che ha messo in ginocchio i risicoltori del Vecchio continente. Nella stagione 2021/2022 solo dal Myanmar sono arrivati in Italia quasi 80 milioni di chili di riso rispetto ai 2 milioni dell’anno precedente, mentre dal Vietnam la quantità importata si è sestuplicata. L’importazione selvaggia va avanti dal 2018, tra le proteste degli agricoltori europei, ma lo scorso maggio la Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo ha finalmente approvato una revisione delle tariffe agevolate sul riso, che dovrebbe rimettere i dazi sulle importazioni di riso dagli Stati extra europei. Si tratta di un testo base, che ora va negoziato tra i vari Paesi dell’Unione e i tempi saranno lunghi.

«La nostra è una coltura a secco, ma siamo preoccupati»

La siccità pesa sull’agricoltura in tutta Europa, impattando su diversi beni agricoli. La situazione del riso è tra le più preoccupanti, dato che si tratta di una materia che richiede, per la sua coltivazione, elevate quantità d’acqua. Le risaie italiane soffrono, ma - come è noto - l’assenza di precipitazioni colpisce anche il Ticino. Come stanno vivendo il problema allora gli agricoltori nostrani?

«Il Locarnese è una regione privilegiata grazie al lago e ai fiumi, e, per nostra fortuna, ci sono dei pozzi che permettono ancora di avere l’acqua per bagnare i campi», dichiara al Corriere del Ticino Fabio Del Pietro, direttore dell’azienda agricola Terreni alla Maggia di Ascona, la prima su territorio elvetico a essersi lanciata nella coltivazione di riso. Più precisamente, il protagonista è il riso “Loto”, una tipologia molto apprezzata dalla clientela di tutto il Paese, soprattutto per cucinare il risotto. «Qui non abbiamo il sistema di coltivazione allagata che vediamo in Italia, bensì una coltura gestita a secco», spiega Del Pietro. «Ciò significa che i campi di riso - attenzione, non risaie - vengono irrigati, o meno, in funzione delle precipitazioni». Non dovendo essere coperta dall’acqua, la coltura di riso ticinese ha un minor fabbisogno idrico rispetto alle risaie della Penisola. I periodi di prolungata siccità preoccupano comunque gli agricoltori. Un altro aspetto che impensierisce il direttore dell’azienda agricola Terreni alla Maggia è la questione della natura delle piogge: «Passano dall’essere scarse a estreme e distruttive in poco tempo, rendendo complicata la ricerca di soluzioni a lungo termine», dice, sottolineando la difficoltà di adattarsi a fenomeni sempre più variabili. In conclusione, non è unicamente la siccità, ma è anche l’imprevedibilità delle condizioni meteorologiche, a rappresentare una sfida complessa per le coltivazioni di riso ticinesi.