Carestie

L'«albero contro la fame» che potrebbe aiutare milioni di persone

La guerra in Ucraina è solo la punta dell'iceberg: l'Africa rischia una crisi alimentare anche a causa del cambiamento climatico - La coltivazione dell'enset, o falso banano, potrebbe diventare un'ancora di salvezza contro le carestie
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Michele Montanari
21.06.2022 14:41

Il rischio di una catastrofe alimentare legata alla guerra in Ucraina è solo la punta dell’iceberg di una crisi che, specialmente in Africa, si è fatta sempre più acuta negli ultimi anni, a causa della siccità, le guerre e la pandemia di COVID. Senza contare che i Paesi nordafricani e quelli del Corno, come Sudan, Eritrea, Etiopia, Kenya e Somalia, dipendono fortemente dalle importazioni di grano e mais provenienti da Ucraina e Russia. L’attuale blocco e l’impennata dei prezzi degli alimenti rischiano di avere conseguenze disastrose. Ieri l'Unione europea ha lanciato l'allarme, parlando del rischio di una crisi senza precedenti, mentre le previsioni del Programma alimentare mondiale (PAM) dell’ONU sono tutt'altro che rassicuranti: il numero di persone che soffrono la fame nel Corno d’Africa potrebbe salire da 15 a 20 milioni entro fine anno. La FAO stima invece che a livello mondiale circa 13 milioni di persone rischiano di essere colpite da carestie, temendo, di riflesso, lo scoppio di rivolte sociali in Africa e Medio Oriente. Tutto questo si sta verificando nell'ambito del riscaldamento globale, che, nel giro di circa 20 anni, potrebbe portare ad un aumento medio delle temperature di circa 1,5 gradi con una conseguente diminuzione dei raccolti a livello mondiale: secondo uno studio della NASA pubblicato sulla rivista Nature Food, il cambiamento climatico, con elevate emissioni di gas serra, potrebbe influenzare la produzione di mais e grano già nel 2030. In uno scenario del genere, il mondo è sempre più interessato alla ricerca di nuove piante per nutrire la popolazione. In quest'ottica, l'enset (Ensete ventricosum) o falso banano dell’Etiopia, rappresenterebbe un «superfood» in grado, secondo gli esperti, di sfamare più di 100 milioni di persone.

Un «albero contro la fame»

L'Ensete ventricosum, conosciuto anche come enset o falso banano, è una pianta quasi sconosciuta al di fuori dell'Etiopia. È un parente perenne del banano, ma i suoi frutti non sono commestibili: il gambo e le radici amidacei possono invece essere fatti fermentare e usati per fare il porridge e il pane (il prodotto alimentare ottenuto dall'enset si chiama kocho). Stando a una ricerca dal titolo Modelling potential range expansion of an underutilised food security crop in Sub-Saharan Africa, pubblicata il 30 dicembre 2021 su Environmental Research Letters, l'enset potrebbe rappresentare un superalimento salvavita di fronte al cambiamento climatico, in quanto, più resistente alla siccità, avrebbe il potenziale di sfamare più di 100 milioni di persone. La ricerca suggerisce che la pianta, al momento limitata alla sola Etiopia sudoccidentale, potrebbe essere coltivata in più zone dell'Africa climaticamente idonee, ampliando le colture di almeno 12 volte: i parenti selvatici del falso banano, che non sono considerati commestibili, crescono fino alle regioni meridionali del continente e ciò suggerisce come la pianta possa tollerare una gamma climatica molto più ampia. Il solo raccolto attuale è in grado di fornire un alimento a base di amido a circa 25 milioni di persone: si parla dell'enset come un vero e proprio «albero contro la fame».

Il dottor Wendawek Abebe della Hawassa University di Awasa, in Etiopia, citato dalla BBC, ha mostrato grande ottimismo: «Questa è una coltura che può svolgere un ruolo davvero importante nell'ambito della sicurezza alimentare e dello sviluppo sostenibile». Il dottor James Borrell, tra gli autori dello studio sopra menzionato e ricercatore dei Royal Botanic Gardens di Kew, nel Regno Unito, ha spiegato che l'enset potrebbe essere utilizzato anche come «coltura tampone» per i periodi di carestia: «Dobbiamo diversificare le coltivazioni», ha sottolineato l'esperto, perché «al momento stiamo tenendo tutte le uova nello stesso paniere». Quasi la metà di tutte le calorie che mangiamo provengono infatti da riso, grano e mais e se con il cambiamento climatico queste piante non dovessero essere più coltivabili, dovremmo essere pronti con altre colture più resistenti. L'enset, ha aggiunto Borrell, «lo pianti in qualsiasi momento, lo raccogli in qualsiasi momento ed è perenne. Ecco perché lo chiamano l'albero contro la fame».

La preparazione del kocho. ©Shutterstock
La preparazione del kocho. ©Shutterstock

Perché non è diffuso?

Il dottor James Borrell ha ampiamente parlato dell'enset in un podcast pubblicato da United Nations Dispatch. Proprio in questa occasione è sorta la classica domanda da un milione di dollari: perché la coltivazione di questa pianta non si è diffusa? Il ricercatore risponde: «La sua distribuzione è sorprendentemente ristretta. L'Etiopia è un Paese molto popoloso, con circa 108 milioni di abitanti, e l'enset rappresenta l'alimento base per circa 25 milioni di persone». Nonostante questo, l'enset non si è diffuso oltre la parte sudoccidentale dell'Etiopia, e, secondo Borrell, potrebbe esser stato «coltivato per centinaia, forse migliaia di anni». L'esperto sottolinea che «il lavoro che abbiamo svolto mostra che c'è un'idoneità climatica più ampia altrove in Etiopia e in altri Paesi, specialmente nelle aree selvagge. Quindi probabilmente uno dei grandi motivi è il non sapere come coltivare questa pianta e trasformarla in cibo. La coltivazione dell'enset è piuttosto difficile: c'è una serie complicata di passaggi per piantarlo e coltivarlo. Anche la sua trasformazione in alimento non è facile: il processo di fermentazione è piuttosto complicato».

E non solo. La mancata diffusione dipenderebbe anche dalla conformazione del territorio. Borrell spiega: «L'Etiopia viene anche chiamata "il tetto dell'Africa" perché ha una parte molto ampia di terre ad alta quota, ciò significa che ha un clima diverso rispetto ad altri Paesi. Il modo in cui gli agricoltori coltivano, così come i gruppi etnici e culturali etiopi, sono molto diversi da quelli delle regioni vicine come Sudan, Somalia e Kenya settentrionale. Può darsi che quel tipo di regione intermedia, molto più calda e secca, abbia agito da "barriera", non solo per l'assenza di enset come raccolto, ma anche, cosa più importante, per la conoscenza indigena su come coltivarlo». Secondo il ricercatore, dunque, «il raccolto potrebbe spostarsi, ma se non si hanno le conoscenze su come coltivarlo, allora è tutto inutile».

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