L'intervista

«Rischio rivolte sociali in Africa, in Occidente le famiglie faranno fatica»

Con la crisi alimentare legata alla guerra in Ucraina il pericolo di carestie è sempre più concreto: ne parliamo con Mario Zappacosta della FAO
Michele Montanari
08.06.2022 17:02

Mentre la guerra in Ucraina infuria, lo spettro di una crisi alimentare mondiale si fa sempre più concreto. Secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), circa 13 milioni di persone in più rischiano di essere colpite da carestie, mentre i prezzi degli alimenti hanno raggiunto livelli record. Le trattative per riaprire i porti ucraini al momento sembrano in fase di stallo e il problema dello sminamento delle acque potrebbe richiedere parecchio tempo: circa un mese per mettere in sicurezza le rotte sul Mar Nero. I russi intanto sono categorici: «Togliete le sanzioni e sbloccheremo i porti». E non solo: il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, volato in Turchia per discutere il da farsi, minimizza: «Gli occidentali parlano di catastrofe, ma in realtà solo meno dell'1% della produzione mondiale di grano e di altri cereali è bloccata». Quanto pesa veramente lo stop del grano trasportato via mare? Quali sono i Paesi che rischiano maggiormente una carestia? E l’Occidente, quanto è colpito? Lo abbiamo chiesto a Mario Zappacosta, team leader del Global Information and Early Warning System for food and agriculture (GIEWS) della FAO.

Signor Zappacosta, facciamo il punto della situazione dopo 100 giorni d guerra.
«Il blocco dei porti ucraini rappresenta il problema logistico principale. È stato così fin da subito, appena è iniziata la guerra: i mercati hanno reagito perché si è capito immediatamente che ci sarebbero stati problemi ad esportare grano e colza dall’Ucraina. La situazione è peggiorata in questi oltre 100 giorni di guerra, perché i porti sono stati sempre meno funzionali e meno accessibili. Si sta cecando di esportare il grano per altre vie: su gomma, su rotaia o via fiume. Queste tre modalità alternative funzionano, però hanno una capacità minima rispetto a quella delle navi che partivano dal Mar Nero. In questi giorni si leggono notizie di colonne di camion e vagoni fermi alle frontiere mentre cercano di portare fuori dall'Ucraina le granaglie. In tutto questo, ovviamente, si registra un aumento dei costi e dei tempi. Il problema delle mancate esportazioni dell’Ucraina è globale: il mercato si ritrova con una mancanza in termini di offerta a parità di domanda».

L'Africa è ovviamente la sorvegliata speciale: quali sono i Paesi che rischiano maggiormente una carestia?
«La FAO prevede che l'effetto più importante si verificherà principalmente in quei Paesi che importavano tradizionalmente grandi quantità di grano dall'Ucraina. Questo perché si tratta del prodotto più economico. Ora questi Stati dovranno provare ad approvvigionarsi da altre fonti, probabilmente più costose: se il grano ucraino non è presente, ci saranno comunque altri venditori che cercano di colmare il vuoto di quella fetta di mercato. Il problema è che gli indici di prezzo sono altissimi e le importazioni sono diventate carissime. I Paesi poveri più colpiti sono quelli molto dipendenti dai mercati internazionali, perché non producono sufficiente grano rispetto ai propri consumi, nonostante il prodotto sia un componente importante della dieta locale. Ci sono anche Nazioni che importano tutto il grano dall'Ucraina, ma questo rappresenta una minima quota dei consumi locali. Insomma, dove il grano è importante, il problema è serio. Secondo la FAO, i Paesi sulla "frontline" del rischio, sono quelli nordafricani, nella parte sud del bacino del Mediterraneo, e quelli del Medio Oriente. In queste zone, i Governi sussidiano i consumi di grano: il pane in alcune Stati è praticamente gratis, per tradizione, e rappresenta il cibo principale di tutti, specialmente delle fasce più povere della popolazione. Ovviamente se i prezzi della farina e del grano diventano altissimi, come ora, molti Paesi incominciano a dissanguarsi dal punto di vista delle proprie casse e devono decidere come allocare il denaro. Quindi devono scegliere se continuare a sussidiare il cibo, riducendo gli investimenti nella salute, nelle infrastrutture e nell'educazione, oppure lasciar crescere i prezzi dei prodotti alimentari, con il rischio che scoppino rivolte sociali. Le primavere arabe, cominciate tra il 2010 e il 2011, iniziarono proprio con problemi di prezzi alti degli alimentari: da qui si arrivò via via alla caduta dei Governi. C’è forte preoccupazione su quello che sta succedendo. I prezzi degli alimenti erano già a livelli record prima dell'invasione dell'Ucraina e con la guerra sono saliti ulteriormente. Sentiamo dire che i prezzi in un mese sono aumentatati del 5, del 10 o del 15%, ma in realtà queste percentuali si aggiungono a livelli mai visti prima».

Quando i prezzi degli alimenti sono alle stelle, la gente è spinta a scendere in piazza. Il pericolo è molto alto

Quindi la guerra sta destabilizzando i Governi dei Paesi a rischio carestie?
«Al momento è presto per dire se la guerra stia destabilizzando i Governi di questi Paesi, certo è che la situazione attuale sta aumentando il rischio che ciò avvenga. Quando i prezzi degli alimenti sono alle stelle, la gente è spinta a scendere in piazza. Il pericolo è molto alto».

In Occidente, invece, com'è la situazione? Le famiglie meno abbienti rischiano di soffrire la fame?
«In Occidente abbiamo reti di protezione molto più forti rispetto ai Paesi poveri: abbiamo maggiori risorse economiche per far fronte a eventuali crisi. Sicuramente le famiglie più povere saranno toccate, cosi come avvenuto con l’aumento delle bollette di gas e luce. Probabilmente ci saranno persone che dovranno rivedere la propria dieta, ad esempio mangiando cibi di minore qualità. Nei Paesi ricchi la spesa alimentare è sempre molto limitata rispetto alla spesa globale, quindi una famiglia media può cercare di riallocare le proprie risorse economiche quando deve far fronte a consumi alimentari più elevati. Si può tagliare su altre voci di spesa. Chiaramente questo discorso lascia il tempo che trova per chi è in stato di povertà, cioè per tutte quelle persone che non hanno questo "cuscinetto" di compensazione per le altre spese. Per una famiglia che si trova già a livelli di povertà, un aumento dei prezzi avrà sicuramente un effetto, anche nei Paesi ricchi».

Ci saranno ripercussioni anche nel settore dell'allevamento?
«Certamente, ci saranno, perché il blocco dei porti e l'aumento dei prezzi colpiscono anche gli alimenti che costituiscono i mangimi per animali, come il mais. In Ucraina, in questo periodo, si sta piantando il mais che verrà raccolto a fine anno. Pare che i contadini abbiano seminato circa il 70/80% della media degli ettari che venivano lavorati in anni di pace. Quindi, se immaginiamo che ci sarà un calo dei rendimenti, è ipotizzabile una produzione ridotta del 30%. La speranza è che la guerra finisca al più presto e che a fine anno ci sia la libertà di esportare i prodotti raccolti. Il problema si sta già ripercuotendo sul mercato dei prodotti alimentari zootecnici. Il recente indice della FAO dei prezzi segnala delle minime flessioni in alcuni comparti, ma queste flessioni si calcolano su livelli record, quindi non sono qualcosa per cui entusiasmarsi. Uno dei pochi comparti che invece continua ad aumentare a livelli record è quello dei prodotti zootecnici: questo perché i mercati anticipano le preoccupazioni future. Il problema legato a prodotti come latte, carne e uova potrebbe esacerbarsi nei prossimi mesi».

È probabile che ci siano cambiamenti nelle diete. Verosimilmente sarà un cambiamento in peggio, perché le sostituzioni forzate andranno verso alimenti di cui vi è maggiore disponibilità, ma più economici e meno nutritivi

Si guarda con preoccupazione anche al prezzo dei fertilizzanti...
«I fertilizzanti sono un prodotto derivato dall’energia: quando questa diventa più cara, i prezzi dei fertilizzanti si alzano. Infatti, anch'essi hanno raggiunto livelli record, soprattutto quelli azotati. Inoltre, la Russia è tra i principali esportatori di questi prodotti, per cui basse disponibilità sui mercati internazionali e prezzi più alti potrebbero avere un effetto negativo sulle coltivazioni in corso, che saranno raccolte da qui a fine anno. Potrebbero esserci dei cali di rendimento. E non parlo solo di grano e cereali, ma di tutti i prodotti agricoli mondiali. Si rischia una carenza globale sulla produzione di ogni prodotto agricolo, sia per quanto riguarda le disponibilità locali, sia per il surplus delle esportazioni. Se nei Paesi africani i piccoli produttori non hanno direttamente questo problema, in quanto non usano i fertilizzanti, i grandi produttori che importano in Africa verrebbero colpiti. Mi riferisco a quelli che sfamano i centri urbani come, ad esempio, USA, Canada, Argentina o Brasile. Probabilmente riusciranno ad acquistare una quantità sufficiente di fertilizzanti, ma sarà più cara: ci sarà un aumento dei costi di produzione che poi si rifletterà sui prezzi. Questi potrebbe arrivare a livelli stratosferici: spero di sbagliarmi, ma dubito che la previsione della FAO sia errata».

Se la guerra non dovesse finire in tempi brevi, è possibile puntare su colture alternative per sfamare i Paesi in difficolta?
«L’essere umano tende ad adattarsi, quindi è probabile che ci siano cambiamenti nelle diete. Verosimilmente sarà un cambiamento in peggio, perché le sostituzioni forzate andranno verso alimenti di cui vi è maggiore disponibilità, ma più economici e meno nutritivi. Per introdurre nuove colture e sviluppare agricolture diverse c'è bisogno di parecchio tempo. La soluzione è la pace: con la fine della guerra cesserà anche questa pressione nuova sui sistemi agricoli mondiali».

Prima la pandemia, poi la guerra: il modello della globalizzazione sulle derrate alimentari andrebbe rivisto? 
«Molti analisti dicono che non si torna indietro: la globalizzazione c'è e continuerà ad esserci. Probabilmente hanno ragione loro. Sicuramente possiamo dire che la globalizzazione funziona quando siamo tutti amici e si può trarre vantaggi dalle diverse economie: c'è chi produce agricoltura, chi energia, chi componenti per i telefoni, ecc. Quando i rapporti tra i Paesi tendono a deteriorarsi, tornano di moda parole come "autarchia" e "autosufficienza", che ovviamente sono anacronistiche in un mondo globalizzato. I tentativi di un ritorno a un mondo autarchico, non solo non funzionano, ma spingono i prezzi ancora più in alto. Come detto, c'è solo una soluzione: si chiama pace».

In questo articolo: