Cina

Lavoratori in protesta e ancora guai per Foxconn: ecco perché

La fabbrica cinese, finita sotto i riflettori poco meno di un mese fa dopo la fuga in massa dei suoi dipendenti, torna a far parlare di sé: anche questa volta, non per qualcosa di positivo
© Hangpai Xingyang via AP, File
Red. Online
23.11.2022 22:01

A Zhengzhou l'aria è ancora particolarmente tempestosa. Dopo meno di un mese dallo scandalo della Foxconn, la fabbrica è tornata a far parlare di sé. Questa volta, a causa di alcune proteste scoppiate negli scorsi giorni, proprio nell'impianto cinese. Ma andiamo con ordine. Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre, la più grande fabbrica di iPhone del mondo era finita sotto i riflettori a causa della fuga in massa dei suoi dipendenti, dopo la conferma di alcuni casi di positività al coronavirus nel campus. Inizialmente, si pensava che le ragioni di questo fuggi-fuggi generale fossero dettate prettamente dalla paura di finire - ancora una volta - in quarantena. Pochi giorni dopo, però, su Douyin (il nome cinese per TikTok) era apparso un video in cui una donna - probabilmente una dipendente di Foxconn - gridando nel cortile di un complesso residenziale, dichiarava che tutte le persone della stanza 726 erano morte. Su alcuni social cinesi, e in seguito su Twitter, le parole della donna erano state riprese, sottolineando come potesse essere quella la reale causa dell'esodo di massa dei giorni precedenti e come la fabbrica stesse nascondendo qualcosa. Foxconn, però, si era affrettata a smentire, dichiarando il video come falso e prendendo le distanze dalla faccenda. Ora, dopo venti giorni, i riflettori sono nuovamente puntati sulla fabbrica cinese. E anche questa volta, non per qualcosa di positivo. 

A caccia di dipendenti

Partiamo dal principio. Qualche giorno fa, la Cina ha dichiarato l'intenzione di mobilitare il personale militare per contribuire a incrementare la produzione della più grande fabbrica di iPhone al mondo. Quella di Foxconn, appunto. L'appello, in particolare, è arrivato dall'ufficio per gli Affari dei Veterani dell'Esercito Popolare di Liberazione della provincia di Zhengzhou. Secondo quanto riportato dalla BBC, lo stesso ufficio, tramite una lettera aperta pubblicata su WeChat, ha confermato che i veterani, sempre sotto il comando del Partito comunista, dovrebbero presentarsi «dove c'è bisogno». In questo caso, le richieste di necessità arrivano proprio dalla Foxconn, che si ritrova in un momento di particolare difficoltà dopo la fuga di moltissimi dipendenti. A inizio novembre, infatti, la sua produzione è stata interrotta e secondo il gruppo di ricerca TrendForce, solamente poco più di due terzi delle linee di produzione della fabbrica sono realmente in funzione al momento. Secondo il Global Times, un media cinese affiliato allo Stato, attualmente la Foxconn necessiterebbe di 10.000 lavoratori in più nella fabbrica. Con l'avvicinarsi del Natale, la domanda e le spedizioni di iPhone 14 sono infatti aumentate notevolmente, portando la cosiddetta «iPhone City» vicina al collasso. 

Questione di diritti

Ma ritorniamo a parlare di quanto accaduto proprio nelle ultime ore. Alcuni video diffusi online mostrano centinaia di lavoratori in marcia. Alcuni di loro sono stati affrontati da persone vestite con una tuta protettiva, altri ancora da poliziotti in tenuta antisommossa. Proprio questi ultimi, secondo alcuni spettatori che hanno seguito le proteste in livestreaming, avrebbero picchiati alcuni lavoratori. Qualcuno avrebbe riportato ferite talmente gravi - riporta la BBC - da rischiare addirittura di morire. «Difendete i nostri diritti! Difendete i nostri diritti!», urlano molti dei manifestanti, mentre altri distruggono le telecamere di sorveglianza e le finestre con dei bastoni. Nei filmati si sentono anche molti dipendenti lamentarsi del cibo e di non aver ricevuto i bonus promessi. Prima di ricorrere all'aiuto dei veterani, Foxconn aveva infatti provato a convincere i suoi dipendenti a restare, promettendo un aumento nel compenso. La stessa tattica utilizzata anche per attirare, fin da principio, nuovi lavoratori. «Hanno cambiato il contratto in modo che non potessimo ricevere il sussidio come avevano promesso. Ci mettono in quarantena ma non ci forniscono il cibo», confessa uno dei dipendenti della fabbrica cinese, durante uno dei tanti filmati diffusi online. «Se non rispondono alle nostre esigenze, continueremo a lottare». 

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