Lo studio

«Le proteste della GenZ si intensificheranno nel 2026»

Bloomberg ha analizzato milioni di dati relativi a disuguaglianza dei redditi, polarizzazione politica, prezzi dell’energia, struttura demografica e diffusione dei social media: i risultati mostrano quali Paesi saranno più a rischio di nuove proteste nell'anno che sta per iniziare
©NARENDRA SHRESTHA
Red. Online
26.12.2025 12:12

Le strade e le piazze delle capitali del mondo, da mesi ormai, sono invase dalle proteste portate avanti, perlopiù, da esponenti della Generazione Z. Dal Nepal al Madagascar, passando per Bulgaria, Perù e Serbia: i GenZ - nome dato ai nati fra il 1997 e il 2012 - stanno scendendo in piazza in ampie proteste che stanno avendo impatti politici significativi. Le rivendicazioni variano a seconda dei contesti nazionali, ma le interviste a manifestanti ed esperti indicano elementi comuni: frustrazione per l’aumento delle disuguaglianze, sotto-occupazione, corruzione dei governi e una crescente convinzione, tra studenti e giovani lavoratori, che non raggiungeranno mai il tenore di vita delle generazioni precedenti. E i numeri confermano la tendenza: il Carnegie Protest Tracker - del think tank statunitense CEIP -   ha registrato nel 2025 ben 53 manifestazioni (in 33 economie diverse) alle quali abbiano partecipato più 10.000 persone: il numero più alto dal 2017. Un fenomeno, evidenzia una recente analisi di Bloomberg, che non è episodico, ma strutturale. E che potrebbe intensificarsi nel 2026.

L'impatto social

Colpiti da un globale aumento del costo della vita, dalla precarietà lavorativa e dal timore che automazione e intelligenza artificiale riducano ulteriormente le opportunità future, i giovani stanno scendendo in piazza. E lo faranno anche nel 2026. Per valutare i rischi futuri, Bloomberg ha utilizzato un modello di machine learning basato su 22 milioni di dati, che includono indicatori come disuguaglianza dei redditi, polarizzazione politica, prezzi dell’energia, struttura demografica e diffusione dei social media. I risultati mostrano che una popolazione giovane e altamente connessa aumenta la probabilità che il malcontento sociale si trasformi in disordini civili, soprattutto dove si sommano disoccupazione e percezione di corruzione.

Il Nepal è uno degli esempi più emblematici. Le proteste, esplose dopo il tentativo del governo di limitare i social media, sono degenerate in violenze ma hanno portato alle dimissioni del primo ministro. In Madagascar, uno dei Paesi più poveri al mondo, le manifestazioni sono state alimentate dalla mancanza di servizi essenziali come acqua ed elettricità e hanno portato al rovesciamento del governo e alla fuga del presidente. In Perù, la rabbia giovanile ha contribuito alla caduta della presidente Dina Boluarte, mentre il suo successore affronta ancora proteste legate soprattutto alla sicurezza e al costo della vita.

Le previsioni

Nella sua ampia analisi Bloomberg individua Etiopia, Angola, Guatemala, Malaysia, Repubblica Centrafricana e Repubblica del Congo tra i Paesi con il più rapido aumento del rischio di disordini nel 2026. Ma anche le economie avanzate non sono immuni: Stati Uniti, Israele e Indonesia figurano tra quelle dove il rischio di proteste è in crescita, sebbene con minore probabilità di sfociare in crisi sistemiche.

A rafforzare il malcontento contribuisce il peggioramento delle condizioni economiche per i giovani. Un indicatore di “miseria giovanile” elaborato da Bloomberg – un rilevatore che combina disoccupazione under 25 e inflazione media quinquennale – mostra un deterioramento diffuso. Zimbabwe e Argentina guidano la classifica per l’aumento dei prezzi, seguiti da Turchia, Iran e Angola. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia ONU per il lavoro dignitoso e la giustizia sociale, un giovane su quattro nel mondo non studia né lavora, una condizione che rischia di lasciare cicatrici permanenti sui percorsi professionali e sul capitale umano dei Paesi coinvolti e che evidenzia significative barriere alle opportunità.

L'immaginario collettivo

Fattore interessante, e spesso finito sotto la lente degli analisti in questi mesi, il fatto che queste proteste attingano da immaginario collettivo globale: simboli tratti da anime, manga e videogiochi, come la bandiera piratesca di One Piece, compaiono in manifestazioni dall’America Latina all’Africa. I social network e piattaforme come Discord facilitano il coordinamento e la diffusione di modelli di protesta, rendendo i movimenti più rapidi e difficili da contenere.