Le sanzioni contro la Russia piacciono sempre meno alla Cina

Che Cina e Stati Uniti siano ai ferri corti non è una novità. Né, verrebbe da dire, fa più notizia. La guerra in Ucraina, evidentemente, complica e non poco le relazioni fra Pechino e Washington. L’ultimissimo giro di sanzioni economiche imposte dall’America alla Russia, non a caso, è stato duramente criticato dal Dragone. La Cina, nello specifico, si è detta «fortemente insoddisfatta» e «fermamente contraria» alle misure. Logico, dal momento che questa ondata di sanzioni colpisce altresì alcune aziende cinesi. Colpevoli di aver stretto legami con Mosca.
Il Ministero del Commercio cinese, in una nota» ha definito «unilaterali» le sanzioni. Agli occhi di Pechino, le nuove misure – citiamo – «turbano l’ordine e le regole del commercio internazionale, ostacolano gli scambi economici e commerciali internazionali e minacciano la sicurezza e la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globali». Di qui l’invito, rivolto agli Stati Uniti, «a cessare immediatamente le loro cattive pratiche» e ad adottare «le misure necessarie per salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi», secondo quanto dichiarato da un portavoce del Ministero.
L’ultima serie di sanzioni americane è stata annunciata venerdì. Le misure colpiscono 400 entità e individui in Russia, Bielorussia, Cina e altri Paesi. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa AFP, sono una quindicina le aziende di Pechino accusate di «continuare a fornire componenti all’industria russa». Detto in altri termini, grazie a queste aziende la Russia può continuare a sostenere il suo sforzo bellico in Ucraina. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, venerdì, d’altro canto era stato chiaro, anzi chiarissimo: «Le decisioni odierne mirano a colpire coloro che sono coinvolti nell’elusione delle sanzioni, in particolare in Cina, nonché coloro che sostengono la produzione e la futura esportazione di energia dalla Russia».
Non è la prima volta, in ogni caso, che Pechino fa la voce grossa per difendere i propri interessi dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. E per interessi intendiamo le relazioni, sempre più forti, commerciali ma anche politiche, con Mosca. Relazioni rafforzatesi in questi (oltre) due anni. Allo stesso tempo, Pechino ha scelto la via dell’equilibrismo nella speranza, o meglio nel tentativo, di mantenere buoni rapporti con l’Occidente. Politici e commerciali, anche qui. La Cina, in questo senso, ha sempre sostenuto Mosca ma mai «fino in fondo». Proprio per evitare, fra le altre cose, di aggravare il clima di tensione con gli Stati Uniti. In un documento risalente al febbraio del 2023, Pechino aveva spiegato (o cercato di spiegare) la sua posizione riguardo al conflitto russo-ucraino. Chiedendo, da un lato, il rispetto dell’integrità territoriale di tutti i Paesi, Ucraina compresa, ma, dall’altro, esortando la comunità internazionale a tenere presente le motivazioni e le preoccupazioni in materia di sicurezza della Russia. In dodici punti, il Dragone aveva proposto un piano di pace sposato da Mosca ma, secondo logica, non da Kiev: difficile credere a una proposta proveniente da un Paese che, per tutto questo tempo, non ha mai condannato l’invasione russa.
Lo scorso maggio, durante la visita del presidente Xi Jinping in Francia, Parigi ha potuto «saggiare» questo equilibrismo da parte della Cina. Xi, nell’occasione, si era impegnato «a non vendere armi» e a «non fornire assistenza militare a Mosca». Parole che la NATO ha rispedito al mittente, spiegando come in realtà la Cina fornisca attrezzature civili ma anche militari, come i microprocessori. A luglio, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, aveva dichiarato: «La Cina sta aiutando in modo decisivo la Russia nella sua guerra illegale di aggressione contro l’Ucraina».
Cina e Stati Uniti, dicevamo, sono ai ferri corti. Sul piano commerciale, ma anche politico e diplomatico. Le due superpotenze, da tempo, si scontrano sul sostegno di Pechino a Mosca e alla Corea del Nord, ma anche sulla questione Taiwan e sull’egemonia nel Pacifico. I tentativi di disgelo, a cominciare dall’incontro fra Xi e Joe Biden, lo scorso novembre, finora non sono andati oltre le solite strette di mano e le belle parole.