Crisi ucraina

«Le sanzioni possono fermare Putin, ma solo a determinate condizioni»

Il ricercatore Luca Lovisolo spiega le condizioni che devono verificarsi affinché le sanzioni abbiano effetto - E sottolinea: «Invocare la pace in questo momento significa accettare la legge di Putin, che è quella che si prende con le armi un Paese»
Michele Montanari
10.03.2022 11:47

La morsa delle sanzioni si fa sempre più stretta attorno alla Russia di Putin. Il divieto di importazioni di gas e petrolio deciso dagli USA va ad aggiungersi ad una serie di blocchi adottati dall’Occidente per indebolire l’economia di Mosca. L’efficacia delle sanzioni internazionali al momento non sembra però decisiva: Paesi come Italia e Germania, infatti, non possono permettersi di chiudere di punto in bianco i rubinetti energetici, in quanto troppo dipendenti dalla Russia. Inoltre, lo «zar» non mostra segni di cedimento davanti al rischio che il suo Paese vada in rovina, visto che da anni utilizza il denaro pubblico per conflitti e propaganda piuttosto che per sanare le infrastrutture. Come fermare Putin dunque? Quali sono le sue intenzioni? La pace, in questa fase del conflitto, è possibile? Ne parliamo con il ricercatore indipendente Luca Lovisolo, studioso di Europa dell’Est e autore del libro Il progetto della Russia su di noi (Archomai, 2020).

Le sanzioni fermeranno Putin?
Secondo Lovisolo, «le sanzioni possono funzionare solo se si verificano alcune condizioni», in quanto «Putin non si fermerà al calcolo economico, perché è da anni che sta lasciando marcire le infrastrutture, compresi ospedali e scuole, utilizzando i soldi per interventi militari e opere faraoniche di propaganda». L’esperto spiega: «Quello che deve succedere affinché le sanzioni abbiano l’effetto sperato, è che lo Stato russo rimanga materialmente senza contante per poter pagare le pensioni, gli stipendi dei militari e quelli di tutte le categorie di funzionari statali che costituiscono il sostrato che mantiene Putin al potere». Ma perché proprio i pensionati? Lovisolo sottolinea che «sebbene la loro importanza per ragioni anagrafiche sia diminuita negli anni, gli anziani restano una categoria sociale determinante per la leadership del presidente russo, perché vivono nella nostalgia dell’Unione Sovietica, e in alcuni casi, persino del periodo staliniano: è su questo che Putin ha costruito la sua propaganda. Poi ci sono tutti i funzionari statali, i militari e gli oligarchi: se tutti questi gli si sfilano di sotto, lo “zar” perde il suo supporto e dunque cade. Le sanzioni funzioneranno solamente se portano a questo risultato». Il ricercatore mette in guardia: «Non dobbiamo pensare che le sanzioni bastino a far dire a Putin: “Rischio di mandare il Paese in rovina, quindi fermo la guerra”. Questo per un motivo: Putin si sente investito da una missione. Il suo atteggiamento missionaristico è emerso sempre più nei discorsi delle ultime settimane, quando ha dichiarato guerra all’Ucraina. Lui ragiona in un’ottica distorta, sente di dover realizzare una missione, che non dipende da considerazioni di carattere economico».

I manifestanti possono fare ben poco
Le persone che manifestano nelle piazze russe e vengono puntualmente arrestate, non possono fare molto alla causa. Secondo Lovisolo infatti «non dobbiamo pensare che quelli che vediamo scendere in strada, soprattutto giovani, gli stessi che manifestavano per Navalny, possano cambiare le carte in tavola, perché sono una minoranza urbanizzata e internazionalizzata, che numericamente non influisce. Anche il solo disagio della popolazione che in questi giorni fa fatica a prelevare agli sportelli bancomat, conta relativamente poco, se non si verificano le condizioni di cui parlavo prima».

Bloccare le importazioni di gas e petrolio
Un duro colpo all’economia russa, arriverebbe con il blocco delle importazioni di idrocarburi, ma per alcuni Paesi significherebbe andare incontro ad una crisi energetica, o quasi. L’esperto fa notare: «Bisognerebbe smettere di importare gas e petrolio, come hanno fatto gli Stati Uniti. Ma gli USA possono permetterselo, perché sono stati previdenti. L’Europa non può interrompere dall’oggi al domani le importazioni, soprattutto l’Italia e la Germania, in quanto troppo dipendente dalla Russia». Lovisolo poi ricorda: «La dipendenza dalle fonti energetiche russe non è iniziata recentemente. Già negli anni Ottanta, quando la Germania aveva cominciato a realizzare le sue infrastrutture per importare energia da Est, l’allora presidente statunitense Ronald Reagan ammonì a gran voce l’Europa, dicendo: “Questa dipendenza vi costerà cara”. Oggi noi paghiamo il prezzo di quella superficialità».

La propaganda russa: anni di indottrinamento
«I cittadini russi ricevono informazioni da fonti sempre più ristrette e, comunque, anche quando erano ancora accessibili i canali internazionali, questi venivano seguiti da una minoranza, cioè quella parte di popolazione che riesce facilmente ad accedere a Internet e ha gli strumenti culturali per capire». Già, disinformazione e propaganda, un vero e proprio arsenale che in questi giorni stiamo osservando in tutta la sua potenza. Il nostro interlocutore aggiunge: «Ci sono persone in Russia, come da noi del resto, che passano tutto il tempo davanti alla tv, e la quasi totalità di loro guarda solo i canali di Stato, perché sono gli unici che riesce a capire. Non è chi riesce a collegarsi alla “Deutsche Welle” o alla “BBC” in lingua russa che cambia i numeri». Lovisolo sottolinea: «Io guardo tutti i giorni la tv russa e ne sono spaventato, perché le trasmissioni sul conflitto sono surreali: attraverso la propaganda raccontano all’intera popolazione, circa 144 milioni di abitanti, un’Ucraina “nazista” spalleggiata dall’Occidente antirusso che starebbe minacciando il Paese con armi nucleari e batteriologiche. Quando una narrazione di questo tipo viene diffusa in modo coerente e incessante per almeno una decina di anni, poi è difficile credere a un’informazione alternativa. Cito una testimonianza di una corrispondente internazionale di “France 24”, tornata in questi giorni dalla Russia, dove vive abitualmente. La giornalista ha fatto sapere che alcuni suoi conoscenti russi, una volta messi al corrente della situazione in Ucraina, le hanno riso in faccia, pensando fosse uno scherzo. Molti russi non vanno neanche più a cercarle le informazioni alternative, perché sono in gran parte stufi del Donbass e dell’Ucraina. Quindi, quei pochi che in qualche modo riescono a collegarsi ai media occidentali hanno una visione più realistica, ma la maggioranza assume per vera la visione dei media di Stato. Anche quelli che vivono in Occidente, benché abbiano accesso all’informazione libera, tendono a credere maggiormente ai media russi. E non sto parlando di persone ignoranti o indifferenti», spiega Lovisolo, evidenziando: «Questo fa capire qual è il livello di indottrinamento che è stato fatto attraverso la propaganda».

L’UE si è svegliata e ha fatto chiudere reti come “Russia Today” e “Sputnik”: una decisione criticata, perché violerebbe la libertà di informazione, ma qui non c’è informazione, c’è l’apologia di guerra

Le fake news che arrivano in Occidente
Ma il problema della disinformazione è ben presente anche alle nostre latitudini: questa, dai media russi, filtra fino in Occidente. Lovisolo puntualizza: «Quando è iniziata la guerra d’Ucraina, cioè nel 2014, con l’annessione della Crimea e l’invasione del Donbass, tesi come quella del genocidio commesso dai nazisti ucraini sono passate su molti media. C’è solo una minoranza di persone che va ad informarsi sui siti de-bunking e di accertamento delle notizie». Lo studioso poi constata: «Da 8 anni a questa parte, vedo questa narrazione regolarmente diffusa e mai scientificamente smentita, se non in questi giorni, con persone che, come me, studiano l’Ucraina e vengono improvvisamente contattate per fornire delle spiegazioni. Purtroppo per anni questa disinformazione è circolata, anche grazie alla rete di media russi in lingua italiana, tedesca e inglese. Questi canali sono stati guardati anche dai giornalisti occidentali. In Italia ho visto servizi, e ne vedo anche oggi, costruiti partendo dalle notizie di “Sputnik”, la più nota delle testate fedeli al Cremlino, tradotta in molte lingue. Queste narrazioni sono più forti delle smentite, anche perché sono alimentate da un certo retroterra ideologico antiamericano o favorevole alla Russia per ragioni di affari. Adesso l’UE si è svegliata e ha fatto chiudere reti come “Russia Today” e “Sputnik”: una decisione criticata, perché violerebbe la libertà di informazione, ma qui non c’è informazione, c’è l’apologia di guerra. L’apologia di un crimine».

Una guerra che doveva durare pochi giorni
Secondo numerosi analisti militari, la «missione» russa ad oggi sembra un fallimento totale, forse perché macchiata da un peccato originale di Putin: aver sottovalutato il nemico. In questo senso, Lovisolo evidenzia: «La sottovalutazione di Putin è attestata da varie circostanze e da alcuni documenti, non è soltanto una supposizione. Posso citare l’articolo pubblicato per errore il 26 febbraio dall’agenzia russa RIA Novosti, due giorni dopo l’inizio dell’invasione, poi immediatamente cancellato, il cui contenuto è davvero raggelante: il Cremlino dà per compiuta la riconquista dell’Ucraina intera ad opera della Russia. Poi ci sono informazioni di intelligence USA che confermano come la campagna avrebbe dovuto chiudersi in poco tempo. Per non parlare dei militari russi che vengono catturati, tutti riferiscono di non essere a conoscenza del motivo per cui siano lì e raccontano di aver ricevuto informazioni dai loro superiori a proposito di un’operazione militare di liberazione che doveva durare qualche giorno». Il ricercatore aggiunge: «E poi ci sono i fatti sul terreno. Se guardiamo a come si sono mossi i russi a inizio operazione, vediamo che da una parte hanno spinto sul fronte del Donbass, e dall’altra hanno puntato direttamente su Kiev. Speravano di conquistare la Capitale in pochi giorni e sostituire il governo attuale con uno filorusso, che poi avrebbe favorito l’avanzata delle truppe sugli altri fronti. Si sono però trovati in una situazione ben diversa: a Kiev non sono arrivati, perché sono stati fermati, mentre sul fronte del Donbass, dove, più che altrove, i russi speravano di essere accolti come dei liberatori, stanno invece avanzando pochissimo, a due settimane dall’inizio della guerra. I problemi logistici di rifornimento alle truppe sono un’altra prova che i russi prevedevano un’azione-lampo». Lovisolo non ha dubbi: «Putin ha sottostimato il patriottismo degli ucraini, la loro capacità di reazione e l’attaccamento al Paese. Un Paese che esiste da prima che esistesse la Russia». L’esperto chiarisce il concetto: «L’Ucraina non è nata nel 1922, perché Lenin permise la costituzione della Repubblica socialista di Ucraina, che poi è entrata a far parte dell’URSS. L’Ucraina ha una sua cultura secolare. Ha vissuto in costante rapporto di attrazione e respingimento con la Russia, ma sono due Paesi diversi. L’errore di fondo di Putin è quello di esser partito dal presupposto che russi e ucraini siano un popolo solo, e quindi si aspettava che i soldati russi sarebbero stati accolti come liberatori. In questo, lo “zar” ha sposato le tesi dei neo-euroasiatisti, che predicano per la Russia una posizione dominante sul Continente europeo e partono dal presupposto che tutto ciò che c’è di slavo e cristiano-ortodosso ad Ovest della Russia debba appartenere ad essa. Ma la storia dice altro».

La visione di Putin
Luca Lovisolo si è fatto un’idea ben chiara su quella che potremmo definire la «visione storica di Putin». «Dai suoi discorsi, tenuti prima dell’inizio della guerra, emerge un intento evidente: il presidente non solo mira a quello che era lo spazio dell’Unione Sovietica, ma punta alla ricostruzione dell’Impero russo, che lui definisce “Russia storica”. Nella conferenza stampa di fine anno del 2021 ha parlato dei popoli dell’ex URSS come “Russia storica fuori dai confini della Federazione russa”. Per cui, per Putin, tutto ciò che faceva parte dell’URSS, fa parte dell’attuale Russia, anche se ne è “temporaneamente” fuori. E non solo. Quando Putin si riferisce all’Unione Sovietica, infatti, si riferisce a un decadimento federale dell’Impero russo, perché di fatto sta dicendo questo: “Ha sbagliato Lenin a dare ai popoli dell’Impero russo etnicamente non russi la possibilità di avere proprie repubbliche che poi si sono unite nell’Unione Sovietica”. Secondo Putin, in realtà, quei popoli sono appartenenti alla Russia, e al limite si può dar loro un po’di autonomia linguistica o culturale, ma non la dignità di essere uno Stato. Quello che Putin ha in mente è un Impero russo, che non è l’URSS. Le due entità sono largamente coincidenti in termini territoriali, ma ci sono Paesi, come la Finlandia e la Polonia, che hanno, sì, fatto parte dell’Impero russo, ma non dell’URSS. Quindi, adesso, è lecito chiedersi che intenzioni abbia il leader russo verso questi Paesi». Il ricercatore evidenzia: «Putin è ripartito nell’idea di riconquistare uno spazio vitale del popolo russo, che va fino ai confini occidentali e comprende almeno l’Ucraina, ma l’Impero russo era andato ben più in là. Quindi, lui dove la vede questa Russia storica? Questo non lo sappiamo».

Non possiamo accettare la legge di Putin, perché è quella che si prende con le armi un Paese che ha la sua lingua, la sua cultura e non ha nessuna intenzione di far parte della Russia

Una zona di influenza fino all’Atlantico
Un’espansione del genere agli occhi dell’Occidente democratico può sembrare come minimo strana. Lovisolo ne è consapevole, ma evidenzia: «Suona meno strana se si considera che Putin voleva conquistare l’Ucraina in due giorni. Il progetto che c’è alle spalle, che è politologico e strategico-militare, scritto nero su bianco, arriva fino a Lisbona. Non con le armate russe, perché questo sarebbe impossibile, ma con l’utilizzo di strategie di comunicazione e di uno strumentario politico che mira ad instaurare in Europa una serie di governi fedeli alla Russia». Il nostro interlocutore cita un esempio: «Quando nel 2019 arrivò a Lugano il politologo Aleksandr Dugin, egli parlò tranquillamente dell’Europa che vogliono i russi. Disse: “L’Europa che vogliamo noi russi potrebbe anche rimanere unita nell’UE, ma deve essere fedele alla Russia”. Dunque, il progetto che c’è dietro è molto più ampio». Secondo Lovisolo: «Parte dall’Ucraina, che Putin sta cercando di conquistare con le armi, perché lì le strategie di comunicazione non sono riuscite a fare salire al potere un governo favorevole alla Russia, ma poi c’è tutto un cammino per cui la Russia cerca di avere una zona di influenza che si estende fino all’Atlantico, esattamente come gli USA hanno una zona di influenza sull’America latina».

La pace e la legge del più forte
Si può dunque invocare una pace per fermare il progetto di Putin? Su questo punto l’esperto è molto critico: «Di fronte a questo conflitto non è possibile invocare la pace come valore astratto. Facendolo, in questo frangente, di fatto significa mettersi dalla parte dei russi. Bisogna capire che oggi la fine del conflitto passa attraverso il sostegno all’Ucraina e alla ricostituzione della sua integrità territoriale. Se accettiamo che l’Ucraina ceda parti di territorio alla Russia, come conseguenza ad invasioni, sia quella del 2014 che quella di due settimane fa, allora decretiamo il crollo di uno dei principi fondamentali del diritto internazionale moderno, che è l’intangibilità delle frontiere se non per volontà degli Stati coinvolti: una volontà dell’Ucraina di rivedere le sue frontiere con la Russia non c’è, e i referendum tenuti nel Donbass e nella Crimea sono stati delle finzioni. Sono dati oggettivi. Se vogliamo appellarci alla pace, oggi dobbiamo sostenere il principio secondo cui i confini ucraini devono tornare ad essere quelli della fine del 2013, cioè quelli riconosciuti dalla comunità internazionale. Ciò può anche rendere necessario continuare i combattimenti, ma se si chiede la pace adesso, di fatto congeliamo una situazione favorevole alla Russia». Luca Lovisolo conclude: «Chi vuole la pace, deve dire quale pace vuole: vogliamo quella che significa la fine dei combattimenti e l’accettazione della legge del più forte? Non possiamo accettare la legge di Putin, perché è quella che si prende con le armi un Paese che ha la sua lingua, la sua cultura e non ha nessuna intenzione di far parte della Russia».

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