Il conflitto a Est

Le vie di Francesco per la pace tra diplomazia e misticismo

Oggi il Papa consacrerà la Russia e l’Ucraina al cuore immacolato di Maria, secondo il dettato del quarto segreto di Fatima – La paura di Bergoglio è che la guerra possa scatenare uno scontro fra ortodossi e cattolici – Le dure critiche del New York Times
Dario Campione
25.03.2022 06:00

«La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si è impegnato a spendere il 2% del PIL nell’acquisto di armi, come risposta a quanto sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato - non facendo vedere i denti, come adesso; un modo diverso di impostare le relazioni internazionali». Non cambia tono, papa Francesco. Ripete il suo messaggio con insistenza, nonostante le critiche e qualche voce dissonante che si leva anche dall’interno della Curia: la pace sopra ogni altra cosa.

Parlando ieri ai partecipanti all’incontro promosso dal Centro italiano femminile (CIF), il pontefice ha usato ancora una volta espressioni nette di condanna: non soltanto della guerra, ma anche delle politiche di potenza che stanno alla base delle «scelte di morte». È vero, non ha pronunciato il nome di Vladimir Putin, come tanti gli avevano chiesto di fare nelle ultime settimane. Ma nemmeno ha lasciato spazio a possibili fraintendimenti. «È ormai evidente che la buona politica non può venire dalla cultura del potere inteso come dominio e sopraffazione - ha detto Francesco alle donne del CIF -. Penso che per quelle di voi che appartengono alla mia generazione sia insopportabile vedere quanto è successo e sta succedendo in Ucraina. Purtroppo, questo è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica. La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri».

Visioni della storia

In un mondo diviso, nel quale si fronteggiano eserciti e opposte visioni della storia, Francesco sembra essere l’unico a poter guidare un percorso di tregua in maniera disinteressata. Sin dal primo colpo di fucile, il Papa ha avviato un sotterraneo lavoro diplomatico offrendo la disponibilità del Vaticano a mediare per la fine del conflitto.

Non sono mancati gesti clamorosi, come la visita all’ambasciata russa presso la Santa Sede - un fatto senza precedenti - o il «colloquio telematico» con il patriarca Kirill I, durante il quale sembra che Francesco, pur tentando in ogni modo di evitare strappi non più ricucibili con il mondo ortodosso, non sia stato troppo conciliante con chi aveva benedetto la «guerra santa contro i gay» combattuta dai russi in Ucraina.

«Il Vangelo ci chiede di non guardare da un’altra parte, che è proprio l’atteggiamento più pagano dei cristiani - ha detto il Papa l’altro giorno visitando i piccoli profughi ucraini ricoverati al Bambino Gesù -. Il cristiano, quando si abitua a guardare da un’altra parte, lentamente diventa un pagano travestito da cristiano. Non è lontana, la guerra: è alle porte di casa. Qui a Roma, al Bambino Gesù, ci sono bambini feriti dai bombardamenti. Che cosa faccio io? Prego? Faccio digiuno? Faccio penitenza? O vivo spensieratamente, come viviamo normalmente le guerre lontane? Una guerra sempre - sempre! - è la sconfitta dell’umanità, sempre. Noi, colti, che lavoriamo nell’educazione, siamo sconfitti da questa guerra, perché da un’altra parte siamo responsabili. Non esistono le guerre giuste: non esistono».

Gesto simbolico

Oggi pomeriggio, alle 17, nella Basilica di San Pietro, il Papa compirà un altro gesto simbolicamente fortissimo: consacrerà la Russia e l’Ucraina al cuore immacolato di Maria. Lo stesso atto sarà compiuto in contemporanea, a Fatima, dal cardinale elemosiniere apostolico, Konrad Krajewski.

La volontà di Bergoglio appare chiara: il Vaticano, che rimane equidistante, crede nella possibile pacificazione delle due nazioni in guerra. Lo strumento scelto da Francesco mescola devozione e diplomazia. Il Papa vuole lasciare nulla di intentato e per questo ricorre a un elemento mistico: il «quarto segreto» di Fatima, la rivelazione che suor Lucia dos Santos ebbe dalla Madonna il 13 giugno 1929: «Verrò a chiedere la consacrazione della Russia al mio cuore immacolato e la comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il mio cuore immacolato trionferà. Il Santo Padre mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace». Come ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera, «uno degli incubi del Papa argentino è che il conflitto della Russia contro l’Ucraina si trasferisca sul piano religioso; non solo tra cattolici e ortodossi, ma dentro le comunità religiose. Gli ortodossi ucraini e quelli russi sono spaccati tra loro. E il capo dei greco-cattolici ucraini, monsignor Sviatoslav Shevchuk, ha chiesto al popolo di “difendere la patria” contro gli invasori russi».

Troppa equidistanza

Qualcuno, come detto, ha accusato Francesco di troppa equidistanza. Il New York Times, ad esempio, che ha ricordato come in passato «gli ammiratori cattolici di Putin a volte lo avessero paragonato a Giovanni Paolo II, cui è stato spesso riconosciuto il merito di aver contribuito in modo determinante alla caduta del comunismo sovietico». Ma i papi, ha scritto Andrea Tornielli in un editoriale sull’Osservatore Romano, evitano di nominare gli aggressori «non per codardia o per eccesso di prudenza diplomatica, ma per lasciare sempre aperto uno spiraglio alla possibilità di fermare il male e salvare vite umane».

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