L'approfondimento

«Lento, ma catastrofico»: Melissa, l'uragano record che ha colpito i Caraibi

Il fenomeno che si è abbattuto su Giamaica, Haiti, Repubblica Dominicana e Cuba è uno dei cicloni più potenti mai registrati nell'area, con raffiche oltre i 300 km/h – Ne parliamo con Luca Nisi di MeteoSvizzera
©NASA WORLDVIEW HANDOUT
Federica Serrao
29.10.2025 21:00

Un uragano «catastrofico». È così che il National Hurricane Center (NHC) degli Stati Uniti ha definito Melissa. Uno dei cicloni più potenti mai registrati sui Caraibi che, in poco tempo, si è intensificato fino a raggiungere la categoria 5, la più alta secondo la scala Saffir-Simpson. Piogge intense e venti fortissimi hanno seminato caos e distruzione in particolare sulla Giamaica, ma anche su Haiti e Repubblica Dominicana. Dopo essere stato declassato a categoria 4, nelle ultime ore, Melissa ha raggiunto Cuba, dove ha toccato terra come uragano di categoria 3, perdendo ancora intensità, con venti massimi sostenuti di circa 195 km/h. Il bilancio provvisorio del disastro è di 25 morti e 10 dispersi ad Haiti, dove il fiume La Digue ha rotto gli argini travolgendo le case vicine. Anche dal lato dominicano dell'isola di Hispaniola si registra una vittima. Al momento, tuttavia, è troppo presto per conoscere l'impatto complessivo dell'uragano. Ciò che è certo, è che più di due terzi della Giamaica sono rimasti senza elettricità, mentre a Cuba si sono registrati «danni considerevoli». Le immagini delle aree colpite mostrano alberi sradicati, case ed edifici distrutti, strade allagate o ricoperte di detriti. Scene da «film apocalittico».

Per capire meglio che tipo di fenomeno abbia colpito i Caraibi, però, è opportuno partire dalle basi. «Quando parliamo di uragani, parliamo di strutture meteorologiche che si sviluppano nei tropici, quindi la dinamica atmosferica è differente rispetto a quella che conosciamo alle nostre latitudini», ci spiega Luca Nisi, esperto di MeteoSvizzera, chiarendo le origini e l'evoluzione di Melissa. «Queste tempeste tropicali – che quando raggiungono una certa struttura ed intensità vengono chiamate uragani – prendono energia dalla superficie calda del mare, diversamente dalle depressioni che si verificano alle nostre latitudini, le quali sono originate e alimentate dallo scontro di masse d’aria con contrasti termici importanti». Di conseguenza, finché la struttura è sopra un oceano dispone dell'energia necessaria per sopravvivere. Le cose cambiano quando l'uragano tocca terra. «Quando ciò avviene, si disturba il «motore perfetto» dell'uragano, che  - non trovando più sotto la sua superficie acqua calda - comincia a perdere di intensità». Motivo per cui l'uragano Melissa, toccando terra prima in Giamaica e poi a Cuba, è stato declassato alla categoria 3-4, nel giro di poco tempo. 

Valori da record

Nonostante la perdita di potenza, quello che ha messo in allerta i Caraibi è, a tutti gli effetti, un uragano «da record». «Melissa si contraddistingue sicuramente per la sua intensità e anche per il suo lento spostamento», osserva Luca Nisi. «Soprattutto nelle ultime due giornate, era praticamente stazionario a sud della Giamaica, con uno spostamento molto lento verso ovest». D'altro canto, ciò che non passa inosservato di questo uragano è anche l'intensità. «Con questi fenomeni è sempre molto difficile avere dati precisi, perché le stazioni poste sulla terraferma vengono danneggiate o distrutte, oppure perché solitamente vengono colpite zone dove la densità di stazioni non è particolarmente alta».

Tuttavia, i dati già a disposizione degli esperti parlano chiaro. «Melissa, ieri, ha raggiunto un minimo barico di 892 millibar: un valore molto, molto basso, indice di una zona di bassa pressione estremamente profonda e potente», spiega il meteorologo. I valori più bassi vengono misurati nella parte centrale dell’uragano. In generale si può dire che più è basso è il valore della pressione, più intenso è il fenomeno. «Basti pensare che una depressione considerata profonda vicino alla Svizzera sarebbe di 980-990 millibar. Spostandoci verso l'Irlanda potremmo raggiungere casi estremi i 940- 960 millibar, ma si tratterebbe già di depressioni molto potenti e profonde». Quello di Melissa, insomma, è un valore comparabile a quello dell'uragano Labor Day che, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre del 1935, colpì gli Stati Uniti sudorientali. Al momento, dunque, come conferma il CIMSS (Cooperative Institute for Meteorological Satellite Studies) Melissa è effettivamente classificata insieme al Labor Day Hurricane tra i tre uragani con il valore di pressione più basso registrato nel suo «occhio».

Addirittura c’è un valore di ben 400 km/h misurato da una stazione sonda, valore che deve però essere ancora controllato e verificato
Luca Nisi

Ma non è tutto. Oltre al valore della pressione, anche i dati relativi ai venti di Melissa confermano l'intensità del fenomeno. «Non abbiamo ancora valori precisi, ma dalle prime informazioni avrebbero toccato i 300 km/h per quanto riguarda le raffiche massime. In generale, parliamo di venti superiori a 100 km/h: per dare un'idea, quando in Svizzera parliamo di venti tempestosi o ciclonici, parliamo di singole raffiche superiori ai 120 km/h. In questo caso, invece, si tratta di velocità medie ben superiori, con raffiche che possono andare oltre i 300 km/h», sottolinea il meteorologo. «Addirittura c’è un valore di ben 400 km/h misurato da una stazione sonda, valore che deve però essere ancora controllato e verificato. Anche a livello di venti, però, è probabile che Melissa si classificherà tra gli uragani più forti, insieme a Dorian del 2019 e, ancora una volta, a Labor Day». 

Più fenomeni intensi

Solitamente, la stagione degli uragani nell'Atlantico inizia a giugno e termina a fine novembre, con un picco tra fine agosto e inizio settembre. Melissa, dunque, ha avuto luogo nella parte finale della stagione che, nel 2025, ha fatto registrare 13 uragani. «Siamo ben lontani dal record assoluto del 2020, dove se ne verificò una trentina», chiarisce l'esperto.

C'è però un dato di fatto che non può essere ignorato. «Negli ultimi tempi, non è aumentato il numero degli uragani, ma la frequenza con cui si verificano fenomeni di categorie superiori, come 4 e 5». Un cambiamento non indifferente, che sta portando alcuni ricercatori a riflettere sulla possibilità di inserire una sesta categoria nella scala di classificazione. «Alcuni esperti mettono in dubbio il sistema di classificazione, dato che sempre più spesso si raggiungono venti di 300 km/h che, solitamente, vengono registrati solo all'interno dei tornado. Il dato, insomma, comincia a essere statisticamente significativo, perché soprattutto sull'Atlantico, sono sempre più frequenti uragani intensi». Basti pensare che, lo scorso anno, aveva fatto particolarmente scalpore Beryl, un uragano definito, a suo tempo, «da record», soprattutto per essersi verificato i primi di luglio, all'inizio della stagione delle tempeste. 

Il problema è legato al fatto che l'atmosfera più calda surriscalda gli oceani e, nel caso specifico determinante per la formazione di queste tempeste, la loro superficie
Luca Nisi

Questa situazione, tuttavia, ha a che fare col cambiamento climatico. «Il problema è legato al fatto che l'atmosfera più calda surriscalda gli oceani e, nel caso specifico determinante per la formazione di queste tempeste, la loro superficie», ricorda Luca Nisi. Come osservato in precedenza, gli uragani trovano infatti energia sopra gli oceani, sempre più caldi. «Se osserviamo i dati delle ultime settimane e mesi, la temperatura superficiale dell'Atlantico, partendo dall'Africa occidentale fino all'America centrale, risultava tra i 2 e i 4 gradi più alta rispetto alla norma stagionale». In altre parole, l'oceano è sempre caldo, con temperature superficiali che vanno dai 28 ai 31 gradi. Una condizione che favorisce lo sviluppo di uragani, dal momento che è sufficiente che l'acqua abbia una temperatura di 27 gradi in superficie per consentirne la formazione, anche se, come chiarisce l'esperto, non è l’unica condizione necessaria.

I prossimi giorni

Inevitabilmente, un uragano di categoria 5 non passa inosservato. Ora che Melissa è stata declassata a tempesta di livello 3, c'è la tendenza a pensare che il pericolo sia drasticamente diminuito. Ma ciò non è del tutto vero. Come ricorda Luca Nisi, al momento, Cuba – soprattutto la parte sudoccidentale dell'isola – è ancora interessata da un uragano di categoria 3. «Non è più un grado 5, ma è ancora un fenomeno serio, che avrà degli impatti importanti in quell'area». A seguire, la traiettoria di Melissa dovrebbe toccare anche parte delle Bahamas e, probabilmente, anche le Bermuda, anche se in una forma molto attenuata. 

Ma i suoi effetti non termineranno qui. «È possibile che questo uragano, la prossima settimana, si sposterà sull'Atlantico, più vicino a noi, anche se in forma decisamente più debole subendo una trasformazione a ciclone extra tropicale», afferma Luca Nisi, seppur sottolineando come, al momento, le previsioni siano molto incerte. «I modelli numerici fanno fatica a simulare e a prendere in considerazione queste strutture molto particolari, relativamente piccole a livello di dinamica atmosferica su larga scala». Di conseguenza, è difficile prevedere come sarà la prossima settimana. «Il tempo sarà probabilmente abbastanza soleggiato e asciutto per buona parte della settimana. La presenza di alcuni “ex uragani”, probabilmente anche Melissa, rendono però la previsione incerta. Alcune versioni, infatti, mostrano un peggioramento a partire da metà settimana». Ciò che è certo, è che non si attendono fenomeni intensi sulle nostre regioni. Sicuramente, non a causa di Melissa.