Nordafrica

Libia, una crisi che non va sottovalutata

Problemi di manutenzione, danni della guerra, furti e blocchi degli impianti petroliferi hanno interrotto le forniture ad alcune centrali elettriche, lasciando il Paese al buio
Sara Mauri
07.07.2022 19:30

Un luglio torrido, una polveriera pronta ad esplodere. Disordini, proteste, caos: non solo il caldo infiamma la Libia. Problemi di manutenzione, danni della guerra, furti e blocchi degli impianti petroliferi hanno interrotto le forniture ad alcune centrali elettriche, lasciando il Paese al buio. Mentre la crisi economica mette a dura prova la pazienza delle persone, la Libia è di nuovo a rischio di guerra civile. La frustrazione per le continue interruzioni di corrente, la corruzione, i due governi e l’instabilità politica hanno scatenato proteste in varie città del Paese. Lo scorso fine settimana, a Tripoli moltissime persone hanno manifestato in Piazza dei Martiri. Venerdì scorso, a Tobruk, la folla ha preso d’assalto il palazzo del Parlamento, provocando anche un incendio in parte dell’edificio. Questa è la Libia di oggi. E, se ufficialmente le proteste riguardavano prevalentemente i continui blackout nel Paese, sono sorte anche per altri problemi, tra cui il caro vita e la corruzione imperante. I generatori privati cercano di coprire le mancanze nazionali, mentre le interruzioni di corrente arrivano a durare anche 24 ore. Ma anche il carburante per i generatori privati è difficile da trovare e ci sono lunghe code alle stazioni di servizio. L’elettricità manca spesso in interi quartieri. Insieme alla rete elettrica salta anche la rete internet.

«Vogliamo la luce»

Luce, internet, condizionatori: niente funziona. E la vita quotidiana diventa sempre più difficile. Allo stesso tempo, cresce l’insofferenza della popolazione, alle prese con un deterioramento delle proprie condizioni di vita.

La Libia sta assistendo al crollo dei servizi statali, mentre la divisione territoriale e il clima da guerra civile è sempre più pressante. Quest'anno è anche stato difficoltoso per i libici perché il Paese importa quasi tutto il suo cibo e la guerra in Ucraina ha colpito i prezzi dei beni di consumo. I prezzi internazionali del petrolio, invece, sono saliti moltissimo dall'inizio della guerra in Ucraina, ma la Libia, nonostante le sue riserve, non vive giorni facili. Il senso di frustrazione è fortissimo.

«Vogliamo elettricità», «vogliamo la luce». Questi gli slogan delle proteste. Ma in Piazza dei Martiri di Tripoli, le persone criticavano i propri politici, le milizie e chiedevano nuove elezioni per l’ottenimento di una stabilità politica. Altri manifestanti hanno protestato anche a Bengasi (culla delle proteste del 2011), Misurata e al-Baydha. Alcune bandiere verdi dell'ex regime del Colonnello sventolavano ancora tra la folla. Se le cose non cambieranno, probabilmente la situazione sarà destinata a peggiorare e le proteste a ripetersi.

Le reazioni al caos

Secondo Libya Review, Ageela (Aguila) Saleh, il presidente della camera dei rappresentanti ha accusato i sostenitori dell’ex regime di Gheddafi di aver appiccato il fuoco nel parlamento di Tobruk: «I sostenitori dell'ex regime hanno preso d'assalto la sede del Parlamento e noi li riteniamo responsabili di questo».

Stephanie Williams, vice capo della Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia, il 2 luglio, ha scritto su Twitter: «ll diritto del popolo a una protesta pacifica dovrebbe essere rispettato e protetto, ma rivolte e atti vandalici come l'assalto alla Camera dei rappresentanti a Tobruk sono del tutto inaccettabili. È assolutamente necessario mantenere la calma, trattare la dirigenza libica in modo responsabile nei confronti delle proteste e che tutti esercitino moderazione».

In una nota, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato «i manifestanti a evitare la violenza e le forze di sicurezza a esercitare la massima moderazione». Inoltre, ha invitato «gli attori libici a unirsi per superare il continuo stallo politico».

Il settore elettrico e la crisi economica

Il settore elettrico ha subito gli effetti di anni di guerre e caos politico, che hanno danneggiato le infrastrutture, bloccato gli investimenti e hanno spesso impedito lavori di manutenzione. L’infrastruttura elettrica è al collasso. I libici, impoveriti dopo un decennio di disordini, hanno dovuto sopportare carenze di carburante e interruzioni di corrente, anche se il loro Paese si trova su una delle più grandi riserve petrolifere d’Africa. Alla base delle proteste, c’è una lunga crisi economica che affonda le sue radici in anni di conflitto dopo la morte di Muammar Gheddafi e l’inizio delle Primavere Arabe. Secondo le Nazioni Unite, 1.3 milioni di libici hanno bisogno di aiuti umanitari, il costo della vita è alto e c’è carenza di medicinali. In Libia ci sono due governi e la prospettiva delle elezioni sembra lontana.

E mentre la produzione di petrolio libico sta diminuendo a causa dei blocchi, il Paese si trova diviso tra due governi senza la capacità e/o la volontà di trovare delle soluzioni di compromesso per il bene nazionale.

I due governi e lo stallo politico

In Libia, oggi, ci sono due governi: uno a Tripoli, guidato da Abdel Hamid Dbeibah, riconosciuto dalla comunità internazionale e dall’ONU, con supporto della Turchia e dell’Italia, ma con mandato scaduto, e uno a Tobruk appoggiato dalla Russia, guidato dall’ex ministro degli interni Fathi Bashagha, sostenuto dal potente generale Khalifa Haftar (che sostiene Bashagha). Nel 2021, una mediazione delle Nazioni Unite (Forum di dialogo politico libico) aveva portato alla formazione del governo Dbeibah. Le premesse erano che le elezioni si sarebbero tenute nel dicembre dello stesso anno. Ma le elezioni sono state rimandate a tempo indeterminato, generando interrogativi sulla legittimità del governo di Dbeibah. Nel febbraio 2022, la Camera dei rappresentanti di Tobruk, sostenuta da Khalifa Haftar, ha nominato Fathi Bashagha come primo ministro. I sostenitori del governo di Bashagha hanno parzialmente chiuso gli impianti petroliferi nell'est nel tentativo di fare pressioni per le dimissioni del governo di Dbeibah. Milizie bloccano i giacimenti petroliferi con il fine di rovesciare il governo di Tripoli per installare un governo rivale guidato da Fathi Bashagha. Ma il blocco petrolifero ha generato i problemi di interruzioni di corrente che hanno innescato le proteste. Per questo motivo, i manifestanti mettono nel calderone entrambi i governi.

I colloqui ONU di Ginevra e i negoziati al Cairo, tra i rappresentanti dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli e la Camera dei Rappresentanti di Tobruk, volti a rompere lo stallo tra le istituzioni libiche, non sono riusciti a risolvere le differenze e di trovare un accordo. Manca anche una data per le elezioni Presidenziali. Richard Norland, ambasciatore degli Stati Uniti in Libia, ha affermato che «nessuna singola entità politica gode di un controllo legittimo sull'intero Paese e qualsiasi tentativo di imporre una soluzione unilaterale si tradurrà in violenze». Norland ha anche esortato i leader politici libici a cogliere a lavorare per un compromesso.

Il gioco russo

Di certo, la partita tra Russia e Europa si gioca anche in Libia. Il caos libico potrebbe anche avere un’altra interpretazione. I mercenari russi seguono Haftar, ma fanno anche il gioco di Putin. Dato che Putin sta lavorando per bloccare le alternative per l’acquisto di petrolio e di gas, avrebbe anche l’interesse a prolungare un blocco libico. Se l’Europa aiutasse la Libia a uscire dallo stallo e aiutasse a sbloccare giacimenti petroliferi, potrebbe anche minare un importante tassello della politica estera russa.