L’analisi

Ma l’Iran saprebbe sopportare una guerra contro Israele?

Il Paese ha imparato ad aggirare le sanzioni e a «vivere» grazie alle esportazioni di petrolio: è sufficiente per sostenere uno sforzo bellico?
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Red. Online
19.04.2024 15:30

Domanda: l'Iran, eventualmente, saprebbe sopportare – in termini economici – una guerra aperta contro Israele? La Repubblica Islamica, mentre Unione Europea e Stati Uniti sono in prima, primissima linea per varare nuove sanzioni nei confronti di Teheran, da tempo esalta la propria resilienza ai boicottaggi occidentali. Per dire: nonostante le misure, l'Iran ha esportato parecchio petrolio negli ultimi sei anni. Ovvero, dopo che l'amministrazione Trump aveva imposto delle sanzioni massicce nei confronti del Paese.

Il mese scorso, il ministro del Petrolio iraniano, Javad Owji, ha dichiarato che le esportazioni di oro nero, nel 2023, hanno generato qualcosa come 32,8 miliardi di euro. «Possiamo esportare petrolio ovunque vogliamo, e con sconti minimi» le sue parole, riportate dal Financial Times. Queste entrate, spiega fra gli altri Deutsche Welle, sono essenziali per il regime. Quantomeno per aumentare il consenso interno e per «calmare» una popolazione che, da tempo, sta subendo proprio l'impatto delle sanzioni. Uno su tutti: il deprezzamento della valuta nazionale, il rial. A febbraio, l'inflazione in Iran ha raggiunto nuove vette. Toccando il 40%. Un'escalation con Israele, in sostanza, farebbe crescere ulteriormente i prezzi al consumo. Di riflesso, secondo gli esperti il tenore di vita della classe media iraniana è diminuito drasticamente negli ultimi anni. Tornando a quello di inizio anni Duemila.

Secondo Statista, nel 2022 – a livello di PIL – la parte del leone l'hanno dettata i servizi (47%). Poi industria (40%) e agricoltura (12,5%). A proposito di industria, la maggior parte delle entrate iraniane è legata al settore petrolifero. Con la Cina quale partner principale, visto che oltre il 90% del greggio iraniano viene spedito lì. L'Iran, incassato lo shock iniziale delle sanzioni, varate nel 2018, è tornato a circa l'80% del precedente volume di esportazioni. Un ritorno cui avrebbe contribuito l'alleggerimento delle stesse sanzioni voluto dall'attuale presidente statunitense, Joe Biden. 

Molte risorse o, meglio, molte di queste entrate, secondo Deutsche Welle, sono state investite nell'espansione dell'esercito e in altri meccanismi, chiamiamoli così, volti a stabilizzare il regime. Si dice infatti che in Iran una quantità significativa di entrate statali si perda nelle strutture tutto fuorché trasparenti del governo di Teheran. Non a caso, parlando di corruzione il Paese occupa il 149. posto (su 180) nell'apposita classifica di Transparency International. Ma a chi finiscono questi soldi? Rispondiamo in maniera indiretta: il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) – una forza paramilitare d'élite parallela alle forze armate regolari – e numerose organizzazioni religiose controllano parti centrali dell'economia. Non pagano tasse e non devono presentare bilanci, fra le altre cose. E rispondono principalmente al capo di Stato e comandante in capo dell'Iran, cioè la Guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei.

Detto questo, sebbene i ricavi delle esportazioni di petrolio si siano sempre più stabilizzati negli ultimi anni, l'Iran è tutto fuorché che un peso massimo dell'economia mondiale. Con una popolazione di circa 88 milioni di abitanti, è quasi dieci volte più grande di Israele, che ne ospita 9 milioni. Tuttavia, il suo PIL nel 2022 è stato significativamente inferiore, chiudendo l'anno a 413 miliardi di dollari, rispetto ai 525 miliardi di dollari dello Stato Ebraico. Tradotto: non c'è paragone.

La capacità dell'Iran di sostenere una guerra con Israele, dunque, dipende in larga misura dalla capacità delle nuove sanzioni occidentali di ridurre in modo significativo le esportazioni di petrolio iraniano.

Nei primi tre mesi dell'anno, Teheran è riuscita a vendere una media di 1,56 milioni di barili (un barile corrisponde a circa 159 litri, o 35 galloni) di greggio al giorno. La quasi totalità, anche in questo caso, era destinata alla Cina. Secondo il fornitore di dati Vortexa, si tratta del volume più alto dal terzo trimestre del 2018. Fernando Ferreira, responsabile del servizio di rischio geopolitico del Rapidan Energy Group negli Stati Uniti, ha dichiarato al Financial Times che «gli iraniani hanno imparato l'arte di aggirare le sanzioni». «Se l'amministrazione Biden vuole davvero avere un impatto, deve spostare l'attenzione sulla Cina» ha aggiunto, riferendosi alle sanzioni secondarie.

Ma allora, in definitiva, l'economia iraniana è preparata o no a un'eventuale escalation militare con Israele? Gli esperti concordano nell'affermare che il Paese non sarebbe pronto a sostenere un conflitto militare prolungato. Si spiega anche così il ruolo di tutto sommato defilato nella guerra fra Israele e Gaza, con un sostegno indiretto a Hamas e Hezbollah ma senza affrontare frontalmente Israele. Fino all'attacco di sabato scorso. Attacco che, tuttavia, era più che altro simbolico