Marco Gaia: «In Europa solo residui di uragani, niente di paragonabile a Milton»
Che cosa è successo, nelle ultime ore, in Florida? In che modo, e perché si è formato sulle coste dello Stato americano il terribile uragano Milton? Domande che molti si fanno e che abbiamo girato a Marco Gaia, meteorologo e responsabile previsioni e consulenze di MeteoSvizzera. «Un uragano – ci dice Gaia – è una tempesta che si è formata sopra le zone oceaniche tropicali e che, in presenza dei giusti ingredienti e nelle giuste proporzioni, ha uno sviluppo così forte da generare dei venti con raffiche massime di almeno 120 km/h e che soffiano circolarmente attorno a un centro di bassa pressione. Questa è la soglia che fa scattare la classificazione di una tempesta in “uragano”. Visto dall’alto un uragano è caratterizzato da estesa nuvolosità che si muove come una spirale attorno al centro di bassa pressione, che è spesso caratterizzato da una zona di cielo limpido (il cosiddetto occhio dell’uragano). La nuvolosità è dovuta ai numerosi e intensi temporali, che provocano precipitazioni molto abbondanti in poche ore».
L’uragano Milton si annuncia come uno dei più devastanti di sempre. È una preoccupazione giustificata?
«Il centro nazionale statunitense per il monitoraggio degli uragani ha classificato Milton come uragano di classe 5, la categoria massima. Significa che è in grado di generare venti con raffiche superiori ai 252 km/h. Non tutte le strutture (case, linee elettriche) sono in grado di resistere a simili venti. A ciò si aggiunge l’ondata sulle zone costiere, che nella zona centrale della Florida, dove l’uragano raggiungerà la terraferma, si stima potrà raggiungere i 3-4,5 m di altezza e spingersi notevolmente nell’entroterra. Come se non bastasse la traiettoria dell’uragano è tale che non si limiterà a sfiorare la Florida, ma l’attraverserà completamente da ovest a est».
Perché Milton è da considerarsi più pericoloso degli uragani del passato?
«Milton è pericoloso come lo sono stati gli altri uragani di categoria 5 che hanno toccato la terraferma. Dagli archivi del servizio meteorologico statunitense, dal 1851 solo in altre quattro circostanze ciò è avvenuto: nel 1935 (uragano del “Labor day”), nel 1969 (Camille), nel 1992 (Andrew) e nel 2012 (Michael). Ma nel medesimo lasso di tempo sono stati circa 300 gli uragani, delle diverse categorie, che hanno toccato la terraferma statunitense. In questo senso Milton è molto più pericoloso del 99% degli uragani che hanno interessato gli USA».
Quanto incide il cambiamento climatico su tutto questo?
«Il riscaldamento globale porta alla presenza di maggior energia nell’atmosfera, a una maggior presenza di vapore acqueo nell’aria (con maggiore potenziale per precipitazioni intense) e ad acque oceaniche vieppiù calde. Queste condizioni generali incidono direttamente sull’intensità e sul numero all’anno delle tempeste tropicali e degli uragani. Questa incidenza è però differente fra le diverse zone del globo in cui si sviluppano i cicloni tropicali. Con l’aumento del livello del mare dovuto al riscaldamento degli oceani (per dilatazione termica ad esempio) anche se il numero degli uragani dovesse rimanere costante, il loro impatto diventerà vieppiù devastante, poiché le ondate sulle zone costiere diventano più violente».
Il sistema di monitoraggio sembra funzionare ed è sempre più preciso: com’è stato creato? E come funziona?
«Il sistema meteorologico nazionale statunitense (NOAA/NWS) utilizza sia tecnologie meteorologiche standard (satelliti, boe, radar, modelli numerici) sia specifiche per il monitoraggio degli uragani (ad esempio aerei speciali in grado di poter volare nelle vicinanze o addirittura all’interno di determinati uragani per misurare temperature, pressioni e velocità del vento). Essendo una nazione regolarmente soggetta agli uragani, la NOAA/NWS ha investito molto negli anni per studiare e comprendere sempre meglio le modalità con cui si formano gli uragani. Il generale miglioramento delle previsioni numeriche, visibile anche da noi, nel caso concreto ha portato notevoli benefici anche in termini di previsione precoce degli uragani. In questo modo la popolazione e le autorità guadagnano tempo prezioso per adottare i necessari provvedimenti di protezione e auto-protezione».
Perché gli uragani colpiscono soprattutto le aree dei Caraibi?
«Su tutte le zone oceaniche tropicali, con l’acqua dell’oceano sufficientemente calda, le tempeste possono svilupparsi fino a superare la soglia per l’innesco di un uragano. Però il nome uragano è usato quando ciò avviene nell’Atlantico centrale o nel Golfo del Messico/zona caraibica. Nelle altre regioni del mondo hanno altri nomi: ad esempio cicloni o tifoni (in Asia) oppure willy-willy (in prossimità dell’Australia). Per fortuna non tutte le tempeste si sviluppano fino ad arrivare a simili intensità. Anzi solo una minima parte».
L’Europa è a riparo dagli uragani? Fino a quando? E perché?
«Gli uragani traggono l’energia per svilupparsi e per continuare ad alimentarsi dall’acqua dell’oceano che deve però essere sufficientemente calda. Se la superficie dell’oceano non ha una temperatura di almeno 26 gradi Celsius su di un’area sufficientemente grande, non è possibile che si sviluppino degli uragani. Per questo motivo gli uragani nascono solo nelle zone oceaniche tropicali. Quelli che riescono, sospinti dai venti, ad avvicinarsi verso l’Europa perdono però gradualmente vigore passando sopra mari vieppiù freddi. Ogni tanto un qualche “residuo” d’uragano arriva fino in Europa, come sta accadendo in questi giorni con l’ex-uragano Kirk. Possono provocare forti venti e quantitativi importanti di precipitazione, ma per fortuna meno impattanti rispetto a quelli associati allo stadio di uragano maturo».