Medici e infermieri non vaccinati tornano al lavoro: critiche al governo Meloni
Gli operatori sanitari che hanno rifiutato il vaccino anti-COVID, nonostante l’obbligo, tornano al lavoro. E in Italia si accende la polemica. Tra i primi provvedimenti voluti dal nuovo governo guidato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni c’è infatti il reintegro, da ieri, degli operatori sanitari che non si sono fatti somministrare il vaccino. Medici, infermieri e altri professionisti del mondo della sanità rappresentavano l’ultima categoria soggetta all’obbligo vaccinale, che sarebbe dovuto scadere il prossimo 31 dicembre. Ai professionisti che hanno seguito le regole ovviamente la decisione non è piaciuta. Durante una conferenza stampa di lunedì scorso, Giorgia Meloni ha dichiarato: «Gli operatori della sanità erano gli unici per i quali era prevista l’obbligatorietà vaccinale, abbiamo deciso di anticipare la fine dell’obbligo a domani perché ci consente di prendere 4 mila persone ferme e metterle al lavoro, in un momento di grave carenza di organico». Concetto ribadito poi dal ministro della Salute Orazio Schillaci, che ha sottolineato: «Crediamo fortemente che aver rimesso a lavorare nelle nostre strutture questi medici e questi operatori sanitari serva per contrastare la carenza che si registra e garantire l’effettività del diritto alla salute come sancito dalla Costituzione».
I medici sospesi sono meno di 4 mila su circa 450 mila, considerando anche settore privato e pensionati ancora attivi negli ambulatori. Gli infermieri che rientreranno sono invece 2.600 su un totale di circa 450.000. Dati alla mano, Filippo Anelli, presidente della Federazione degli ordini dei medici, è stato critico sulle motivazioni del governo: «Questo rientro anticipato non ha nessuna rilevanza dal punto di vista degli organici. Ci aspettiamo ben altri provvedimenti dal governo per far crescere gli organici del servizio pubblico», ha spiegato a Repubblica. Filippo Anelli ha poi ricordato che: «La norma sull’obbligo vaccinale era figlia di un periodo diverso, a quei tempi i medici morivano e l’interesse collettivo prevaleva su quello del singolo. Riguardo al rientro di questi colleghi nelle strutture dove ci sono persone a rischio, alcune Regioni, come la Puglia, prevedono che chi non ha fatto il vaccino non possa lavorare in certi reparti. Saranno i direttori generali a decidere a che lavoro adibirli». Insomma, la mossa del governo Meloni non avrebbe una grande valenza dal punto di vista della mancanza di personale, anche perché non solo era già prevista per il 31 dicembre, ma in Italia quello della carenza di personale nelle strutture sanitarie è un problema noto da tempo. Solo per citare la Lombardia, sono 670 gli operatori sanitari (lo 0,6% del personale sospeso durante la pandemia) ora reintegrati. Un numero decisamente inferiore rispetto ai circa 4 mila lavoratori che ogni giorno vengono a lavorare nelle strutture sanitarie ticinesi: in questo senso, i problemi di carenza di personale andrebbero rintracciati altrove, ad esempio nel frontalierato, piuttosto che nelle sospensioni dei cosiddetti «no vax».
Uno schiaffo ai vaccinati
Non c’è solo chi ha contestato la misura in quanto inefficace: il reintegro del personale sanitario non vaccinato è stato visto come uno schiaffo a tutte le persone che hanno seguito le regole, siano esse addetti ai lavori o comuni cittadini. Tra gli esperti, il primo ad alzare la voce è stato Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. In un’intervista al Corriere della Sera, Bassetti ha parlato di una «caduta di stile clamorosa» del governo Meloni, e ha dichiarato: «La situazione della pandemia ora è completamente diversa, per questo motivo è giusto toglierlo (l’obbligo vaccinale, ndr) per i medici, ma non ha senso anticipare di due mesi la scadenza naturale fissata a fine anno, è uno schiaffo a chi ha scelto in questi mesi di fare più dosi. Avrei atteso fine dicembre, per poi magari mantenere l’obbligo per quei professionisti che lavorano nei reparti a rischio».
L’infettivologo ha poi ricordato che «il 99,3% dei medici italiani è vaccinato, solo lo 0,7 non lo è», e ha sentenziato: «L’errore del governo è stato prendere una posizione così forte per un numero irrisorio di persone (…). Sostenere che l’approccio al COVID è stato ideologico è voler fare di tutta l’erba un fascio, perché della politica vaccinale italiana dobbiamo andarne fieri».
Anche Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano, non ha risparmiato il suo scetticismo e, in un'intervista al Corriere della Sera, ha detto la sua: «È un intervento di bandiera, identitario. Non ha un effetto particolare, perché alla fine si tratta di una piccola percentuale di operatori, ma spiace che venga adottato in modo così brusco producendo un effetto negativo sulle vaccinazioni». Secondo il virologo c'è il rischio di sminuire l'utilità dei vaccini davanti agli occhi della popolazione: «Il pericolo è che cresca la disaffezione anche rispetto alla semplice raccomandazione (…). Spero, e confido nel ministro della Sanità, che dopo questa prima iniziativa di bandiera che ha mostrano la discontinuità con il passato, poi si voglia procedere solo in funzione di quello che sarà l’andamento epidemiologico».
Inutile dire che l’opposizione ha puntato il dito contro il governo, ma non sono mancati dubbi anche nei partiti della maggioranza. Il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Alessandro Cattaneo, interpellato da Repubblica, ha confessato: «Da cittadino non vorrei avere davanti un medico non vaccinato». Medici con cui Matteo Bassetti, tornando all'intervista citata in precedenza, è stato particolarmente duro: «Li obbligherei a seguire corsi di virologia e immunologia, perché credo che non abbiano studiato abbastanza(…). Un medico che non crede nella scienza non dovrebbe fare questo mestiere».