«Non abbiamo sfiduciato Mario Draghi. Con la Svizzera un dialogo ragionevole»
Quando mancano ormai soltanto quattro giorni al voto in Italia, il Corriere del Ticino ha raggiunto anche il segretario della Lega, Matteo Salvini, al quale ha posto una serie di domande già rivolte ad altri leader impegnati nella campagna elettorale (Enrico Letta del PD e Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle). Le risposte dell’ex ministro italiano dell’Interno sono giunte in forma scritta.
Senatore
Salvini, siamo ormai alle battute finali della prima campagna elettorale estiva
della storia della Repubblica italiana. Quale risultato minimo si prefigge il suo partito, la Lega? Soltanto
3 anni fa, alle Europee del 2019, avevate superato il 34% dei voti; oggi i
sondaggi vi accreditano come quarta forza del futuro Parlamento, attorno al
10%.
«Mi
interessano i risultati reali e non i sondaggi, peraltro le potrei citare altre
rilevazioni che offrono dati numerici diversi e la Lega in crescita. Mi aspetto
una grande vittoria della Lega e di tutto il centrodestra».
Per
decenni, la stabilità dell’elettorato è stata una caratteristica italiana. Da qualche
anno, invece, le cose sono profondamente cambiate. Com’è possibile che a ogni
tornata elettorale, i cittadini cambino opinione in modo così radicale? Nel
2014 il trionfo di Renzi, prima ancora quello del PDL; poi il M5S, la Lega,
oggi forse Fratelli d’Italia: dov’è finita la “fedeltà” di chi vota?
«Cambiano
i tempi e c’è molta più fluidità. Personalmente, sono orgoglioso di guidare un
partito come la Lega che - a differenza di tutti gli altri- ha una solida rete
territoriale con militanti in carne e ossa».
Perché
la Lega ha sfiduciato Mario Draghi, l’uomo politico più apprezzato che l’Italia
abbia mai avuto negli ultimi 30 anni?
«Temo
che in Ticino arrivino notizie confuse. La Lega non ha sfiduciato Mario Draghi,
il quale è caduto perché il Movimento 5 Stelle è contrario al
termovalorizzatore di Roma (i grillini non hanno votato l’ultima fiducia sul
decreto aiuti perché nel testo era contenuta una norma che autorizzava la
procedura rapida per la costruzione di un inceneritore di rifiuti nella periferia
della capitalie italiana, ndr). Ricordo che, dopo quell’episodio, il
premier disse: “È venuta meno la fiducia su cui si basa la maggioranza”. Il
centrodestra aveva preso atto, chiedendo al presidente del consiglio di restare
a Palazzo Chigi ma senza l’inaffidabile Conte».
L’Europa
(e anche la Svizzera) guarda al voto di domenica prossima con una certa
preoccupazione per la possibilità che l’Italia, Paese fondatore dell’Unione,
entri nel “fronte sovranista”: è un pericolo reale secondo lei?
«L’Italia
era, è e resta legata ai valori delle democrazie occidentali. Di certo, in
Europa sapremo farci rispettare perché non siamo secondi a nessuno. Peraltro la
Svizzera, che non fa parte dell’Unione Europa, non ha nulla da temere».
A
proposito di rapporti tra la Confederazione e i Paesi dell’Unione, il
Parlamento avrebbe dovuto approvare, entro la fine di quest’anno, la revisione
dell’accordo con la Svizzera sulla fiscalità dei frontalieri. Pensa che sarà
possibile calendarizzare questo voto al più presto, una volta che le Camere
saranno di nuovo insediate, ed evitare così uno slittamento dell’entrata in
vigore al 2024? E qual è la posizione della Lega su questa intesa?
«Certamente
sì, sarà possibile. La Lega è dalla parte dei frontalieri, e ha sempre tenuto
un dialogo produttivo e ragionevole con la Svizzera».
Lei
a Varese, soltanto pochi giorni fa, ha proposto la creazione di un ministero
per i frontalieri spiegando che la concorrenza della Svizzera, Paese in cui gli
stipendi sono il doppio o anche il triplo di quelli italiani, trasforma operai,
infermieri e molti altri che scelgono di restare in Italia in lavoratori di
serie B. Qual è la sua ricetta per evitare questa concorrenza?
«Abbassare
le tasse, con la flat tax e sforbiciando il cuneo fiscale; e, per quanto riguarda
i medici, cancellando l’odioso tetto all’iscrizione delle facoltà di Medicina».
Un
altro argomento irrisolto, nei rapporti con la Confederazione, riguarda la
possibilità per le banche elvetiche di agire direttamente in Italia. Pensa che
sia possibile giungere presto a un accordo?
«Lo
auspico».
In
Svizzera vivono 540mila italiani, di questi 110mila risiedono in Ticino. Che
cosa dice loro per convincerli a votare i candidati del centrodestra unito
nella circoscrizione estero - ripartizione Europa?
«La Lega e il centrodestra hanno la stella polare
del buonsenso e del buongoverno. Sappiamo e sapremo difendere al meglio gli
interessi dell’Italia e degli italiani: lo abbiamo fatto e lo rifaremo».
Le Monde, Guardian, NYT: il mondo guarda al voto italiano
«Giorgia Meloni, che potrebbe entrare nella storia come la prima donna a guidare l’Italia, è in equilibrio su un filo molto alto: deve convincere la sua base di estrema destra, di “patriots”, che non è cambiata; nello stesso tempo, tenta di persuadere gli scettici osservatori internazionali di non essere un’estremista, e che il passato è passato», che la sua possibile vittoria «non è il prologo» di un ritorno al fascismo. «Gli elettori italiani, per lo più moderati, si fidano di lei, quindi dovrebbero farlo anche gli altri». Jason Horowitz, corrispondente del New York Times da Roma e Atene, è uno dei molti osservatori stranieri che guardano con una certa preoccupazione allo scenario italiano post-voto.
La storia fa un salto
Il 25 settembre potrebbe, in effetti, segnare un altro salto nella storia della Penisola. Per qualcuno, un salto nel buio. Per altri, in un futuro semplicemente diverso dall’attuale. L’Italia, ha scritto Horowitz nel suo ultimo reportage pubblicato sulle pagine del quotidiano newyorkese, è oggi «un Paese in cui anche gli elettori moderati, diventati insensibili agli appellativi fascista o comunista, mostrano piuttosto di entusiasmarsi per nuovi leader e potenzialmente provvidenziali».
È successo con Matteo Renzi nel 2014, con Beppe Grillo nel 2018, con Matteo Salvini nel 2019. E potrebbe succedere di nuovo, tra quattro giorni, con Giorgia Meloni. E questo, commenta Horowitz, nonostante, ancora di recente, la presidente di Fratelli d’Italia abbia invocato «un blocco navale contro i migranti, descritto l’Unione Europea come complice del “progetto di sostituzione etnica dei cittadini europei voluto dalle grandi capitali e dagli speculatori internazionali”, attaccato frontalmente George Soros, spauracchio preferito della destra nazionalista e dei teorici della cospirazione che descrive un mondo nelle mani di finanzieri internazionalisti ebrei».
Sul Guardian, domenica scorsa, anche Jennifer Rankin ha evidenziato il doppio binario sul quale si muovono i vagoni della campagna elettorale di Fratelli d’Italia: populista e incendiaria nelle piazze, rassicurante e bonaria nei salotti buoni della politica internazionale. Il punto, dice Rankin, è però un altro: «Meloni è alleata della destra nazionalista al governo in Polonia e dei Democratici svedesi di estrema destra, partiti che appartengono al gruppo dei Conservatori e Riformisti europei guidato dalla stessa leader italiana dal 2020. Il successo dei Democratici svedesi nelle elezioni della scorsa settimana», unito alla eventuale vittoria di Fratelli d’Italia domenica prossima, sarebbe «un’altra spinta per l’unione nazionalista europea». Lo scenario peggiore per chi ha a cuore le sorti dell’attuale Europa, già scossa in profondità dalla Brexit.
«Certamente, ambiguità e doppiezze non sono rare nel panorama politico italiano e, in linea di massima, sono piuttosto redditizie dal punto di vista elettorale», ha evidenziato qualche giorno fa, su Le Monde, Jérôme Gautheret, sottolineando, in ogni caso, come «vista dall’Italia, la fiamma del simbolo del partito di Giorgia Meloni rimandi a una storia antica e sulfurea: quella del Movimento Sociale Italiano (MSI), fondato nel 1946 da un pugno di ex dignitari della Repubblica di Salò, i quali rimasero fino alla fine fedeli a Benito Mussolini».