Il punto

Perché le grandi banche vietano ChatGPT?

Bank of America, Goldman Sachs e CitiGroup si sono unite a JPMorgan vietando ai propri impiegati l’uso del chatbot per scopi lavorativi: i rischi reputazionali sarebbero troppo elevati
© Shutterstock
Marcello Pelizzari
25.02.2023 15:15

Fa’ la cosa giusta. È il titolo di un’apprezzata pellicola di Spike Lee, anno di grazia 1989, incentrata sulle tensioni razziali a Brooklyn. Forse il miglior film del regista afroamericano. È, nel nostro caso, anche lo slogan di JPMorgan. Do The Right Thing, già. Deve essersi ispirato a queste parole Jamie Dimon, l’amministratore delegato della banca d’affari americana, quando ha vietato ai suoi impiegati si utilizzare ChatGPT.

Non si tratta di una svolta storica, né tantomeno di una novità assoluta, certo. Gli altri colossi, Bank of America, Goldman Sachs e CitiGroup, però, hanno seguito l’esempio. Sostenendo che i chatbot basati sull’intelligenza artificiale e il cosiddetto machine learning non sono il partner ideale delle banche. Ahia.

Il divieto, di per sé, sembrerebbe esagerato. Che volete che sia mandare qualche e-mail o sintetizzare qualche documento sfruttando questo aiutino? La realtà, invero, è molto più complessa. E, appunto, preoccupante. Agli occhi delle grandi banche, l’intelligenza artificiale è una mina vagante. Commette errori, tanto per cominciare. Sembrerebbe avere condizionamenti, in particolare sul fronte politico: celebri, oramai, le risposte differenti di ChatGPT su Biden e Trump alla richiesta di scrivere «un articolo positivo». Non è trasparente. E, venendo a Bing, ha pure mostrato sentimenti ed emozioni. Se entrasse, in pianta stabile, nelle dinamiche lavorative, potrebbero sorgere problemi. Anche grossi.

Goldman Sachs, a proposito di slogan, sul proprio sito spiega che «le nostre persone sono il nostro più grande patrimonio». Quanti rischi reputazionali si troverebbe a dover gestire se permettesse ai suoi dipendenti un uso smodato dell’intelligenza artificiale per fare previsioni e/o analisi? I clienti di questi colossi spesso, a loro volta, sono grosse aziende. Che a banche così grandi chiedono consigli su eventuali fusioni o aumenti di capitale. Sull’andamento dei mercati e via discorrendo. Ricorrere a discorsi «rigurgitati da Internet», per dirla con Bloomberg, non è la soluzione insomma. La domanda che pongono gli analisti è la seguente: paghereste fior di quattrini a un robot per scrivere una proposta per la vostra azienda? Ovvia la risposta.

Vietare l’uso di ChatGPT a scopo di lavoro, dicevamo, può sembrare un’esagerazione. O una punizione, da parte dei più anziani, verso i dipendenti più giovani è necessariamente più smart. Anche al di fuori delle banche l’intelligenza artificiale sta prendendo piede, più o meno sottobanco: c’è chi ha provato a scrivere articoli, paper accademici, perfino interi romanzi. Il timore delle grandi banche, più che altro, è legato al rischio di multe. L’Autorità di regolamentazione, a suo tempo, era intervenuta per l’uso di WhatsApp ad esempio.

Fa’ la cosa giusta, dunque. D’accordo. In chiusura, però, potrebbe essere utile richiamare alla memoria la crisi finanziaria del 2007 e 2008. Quella dei mutui subprime e del concetto di too big to fail. All’epoca, di chatbot performanti come ChatGPT non ne giravano. E quel polverone di proporzioni bibliche venne sollevato unicamente dall’uomo. Dal capitale umano che, parafrasiamo Goldman Sachs, dovrebbe essere il più grande patrimonio di una banca d’affari. Ah, se volete saperne di più su quella crisi potete fare una domanda specifica proprio a ChatGPT: il resoconto è abbastanza fedele.

In questo articolo: