Il conflitto

Perché Mariupol è così importante

La città portuale resiste al cruento assedio russo da oltre tre settimane – Gaiani: «Il suo valore è strategico-militare, ma sul piano simbolico è la vera resa dei conti» – Secondo le autorità le vittime sarebbe almeno 2.500: «Un inferno cosparso di cadaveri»
Francesco Pellegrinelli
23.03.2022 06:00

Mariupol come Guernica. Come Aleppo, Grozny e Leningrado. Distrutta. Rasa al suolo dalla guerra. A pagare il prezzo più alto dell’assedio, che dura oramai da 23 giorni, sono i civili: «Mariupol è un gelido inferno cosparso di cadaveri ed edifici distrutti», ha descritto un funzionario di Human Rights Watch. Attorno alla città portuale, l’esercito di Mosca concentra i propri sforzi militari dal 24 febbraio. Qui, l’avanzata è stata rapida e gli scontri accaniti e brutali. Giorno dopo giorno, il Cremlino ha alzato il livello delle ostilità, colpendo punti sensibili e mietendo vittime anche tra i civili. Ieri Kiev è tornata a chiedere a Mosca l’apertura di un corridoio umanitario. Dall’inizio dei combattimenti, secondo le autorità locali, le vittime sarebbero almeno 2.500, molti corpi resterebbero abbandonati per strada a causa dei continui bombardamenti. Decine sono stati sepolti in fosse comuni.

Memorie dal sottosuolo
9 marzo. Una donna incinta viene portata via, in barella. Sullo sfondo l’ospedale pediatrico. Quello verde acqua. E poi, quel cratere aperto da un ordigno nel suolo. Grande e profondo. Una ferita impressionante. Dentro si vede un militare che raccoglie qualcosa. Immagini che ricordiamo tutti, scattate da Mstyslav Chernov e Evgeniy Maloletka, gli ultimi giornalisti a lasciare Mariupol il 15 marzo. I due fotoreporter dell’Associated Press hanno raccontato, finché hanno potuto, l’assedio della città. Lo hanno fatto dall’interno, dai sottosuoli dove le famiglie ucraine hanno trovato rifugio. Con le loro memorie. Le loro paure e i loro drammi. «Portatela fuori! Portatela fuori! Possiamo farcela!» grida un soccorritore quando l’ambulanza arriva in ospedale. Il video è pubblicato sulla pagina Instagram del fotoreporter. Accanto si vede la madre. Che trattiene la disperazione mentre la testa reclinata della bambina mostra l’inevitabile fine. Poi la corsa nel reparto e il medico che le accarezza, delicatamente, il volto per chiuderle gli occhi.

La città scheletro
Mariupol come Guernica. Il paragone è del console greco, Manolis Androulakis, l’ultimo diplomatico europeo a lasciare, martedì scorso, la città portuale. Le immagini e i resoconti parlano di una città ridotta a uno scheletro: il 90% degli edifici è danneggiato, quasi la metà in maniera irreversibile. Da tre settimane si vive senza acqua e senza elettricità. «Ci vogliono spazzare via», dichiara il sindaco. Prima della guerra in città vivevano 430 mila persone. Un terzo, forse di più, sono riuscite a fuggire. La resistenza però prosegue, anche dopo l’ultimatum di Mosca, prontamente respinto dalle autorità cittadine e da Kiev che, per bocca del presidente Zelensky, ha riconosciuto alle forze militari in campo il titolo di eroi dell’Ucraina. Ma perché Mariupol è così importante? Perché lì si concentrano gli scontri più duri e sanguinosi?

Il controllo degli sbocchi
«Sul piano strategico è importante perché la sua conquista permetterebbe a Mosca di conseguire una piena continuità geografica e territoriale tra il Donbass e la Crimea», spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa.it. La Crimea, annessa nel 2014, prima della guerra era collegata alla Russia solamente da un ponte, costruito sullo stretto di Kerch, ultimato nel 2019. «La conquista di Mariupol consentirebbe inoltre di completare un’influenza strategica pressoché totale sulla costa marittima del sud, collegando senza interruzioni il territorio russo a est, fino a Odessa», l’altra città portuale, ostaggio di una probabile trattativa futura: «La capitolazione di Mariupol potrebbe essere questione di giorni. Poi, si dovrà capire che cosa intende fare il Cremlino. Proseguire con la strategia di accerchiamento, creando un corridoio che conduce fino alla Transnistria. Oppure tenere la città di Odessa sotto pressione, per indurre Kiev a negoziare secondo le condizioni imposte da Mosca».

Accanto alle ragioni militari, poi, ci sono quelle economiche, osserva Gaiani: «Conquistare Mariupol significa controllare il porto più grande, dopo aver già preso quello di Berdiansk, entrambi sul Mar d’Azov, dove le forze armate russe hanno bloccato le navi cariche di grano», prosegue Gaiani che ricorda come, a Mariupol, ci siano anche le acciaierie più grandi del Paese. Una morsa economica, dunque, che si aggiunge a quella più stringente e cocente: «Mariupol è il simbolo di una ferita aperta e di uno scontro di lunga data».

La ferita simbolica
Nell’estate del 2014, la città è stata occupata dai separatisti russi, spiega Gaiani, e poi riconquistata dagli ucraini, sotto la scorta del battaglione Azov, il gruppo ultranazionalista che in città ha una delle sue basi più importanti. «Qui sta il valore simbolico dello scontro, legato a ciò che Putin chiama la de-nazificazione dell’Ucraina. Il riferimento va proprio alla presenza nella Guardia nazionale ucraina di questo battaglione d’ispirazione ultra nazionalista, accusato di apologia del nazismo. Per questo motivo, qui, si combatte la battaglia più cruenta e sanguinosa. Gli Azov non sono di certo pronti ad arrendersi, né i russi a fare prigionieri». Una resa dei conti dopo otto anni di scontri combattuti in sordina. Per Putin, la platea di una vittoria da esibire in chiave domestica. Storicamente, poi, spiega ancora Gaiani, le ostilità hanno radici ancora più lontane: «Le prime ferite risalgono agli anni ’40, quando venne organizzata la riposta ucraina al massacro di milioni di contadini provocato dalle carestie di Stalin». La Storia annoda i suoi fili, «e a pagare sono i civili».

In questo articolo: