Putin odia Lenin? C'entra, ancora, l'Ucraina

Mosca, Piazza Rossa. Ogni anno, il 21 gennaio, un mare di pellegrini riempie il cuore della capitale russa. È la folla venuta a rendere omaggio a Lenin – pseudonimo di Vladimir Il'ic Ul'janov – leader della Rivoluzione russa e padre dell'Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche. Le spoglie del filosofo e politico, morto il 21 gennaio 1924, sono esposte in un mausoleo di lucida pietra rossa luogo, appunto, di venerazione per folle di nostalgici. Eppure, ieri, in occasione del centenario dalla morte di Lenin, le autorità russe non hanno organizzato alcun evento ufficiale. La stragrande maggioranza dei moscoviti ha preferito evitare di passare nei pressi della piazza che confina con il Cremlino. Poche, pochissime, le corone di fiori. Perché? Tutto potrebbe avere a che fare con il presidente Vladimir Putin, le sue mire imperialistiche e, sì, l'Ucraina.
La posizione
Facciamo un passo indietro. È il 25 gennaio 2016. Putin si trova nella città meridionale di Stavropol, dove partecipa a un incontro di attivisti pro-Cremlino. Sono passati due anni dall'annessione della Crimea, avvenuta nel marzo 2014. È qui che Putin spara a zero sul ruolo del defunto leader sovietico nella storia russa. «Lenin sosteneva il concetto che l'Unione Sovietica fosse istituita sulla base di una piena uguaglianza fra repubbliche, con il diritto di secessione dall'Unione Sovietica. È stata una bomba a orologeria sotto il nostro Stato». È una presa di posizione insolita: Putin ha sempre evitato di esporsi contro la figura storica, rischiando di inimicarsi parte dell'elettorato. Eppure, qui, continua. E lo fa con una critica all'imposizione di confini amministrativi alle repubbliche sovietiche, definiti «senza tenere conto dei gruppi etnici».
Che con queste uscite, Putin intendesse giustificare le politiche allora messe in atto dal Cremlino in Ucraina, fra annessione della Crimea e sostegno alla ribellione separatista in Donbass? Probabile, visto che nella stessa conferenza il leader russo porta proprio l'esempio del Donbass, descrivendo il suo confluire nella repubblica ucraina, avvenuto nel 1919, come un «modo capriccioso e delirante di tracciare i confini dell'URSS».
Il dubbio che tutto abbia a che fare con l'Ucraina è confermato se guardiamo al 2022, al 21 febbraio. Mancano tre giorni all'invasione totale e Putin torna a parlare di Lenin e delle terre ucraine: «Da sempre, le persone che vivono nel sud-ovest di quella che storicamente è stata la terra russa si definiscono russi e cristiani ortodossi. Inizierò quindi col dire che l'Ucraina moderna è stata interamente creata dalla Russia o, per essere più precisi, dalla Russia bolscevica e comunista. Questo processo è iniziato praticamente subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi collaboratori lo hanno fatto in un modo estremamente duro per la Russia - separando, tagliando ciò che è storicamente terra russa».
Piegare la storia
Ma è davvero così? Risposta breve: no. Sin dal 2014, Putin piega la storia per giustificare l'invasione, definendo i confini ucraini una creazione artificiale, imposta ai tempi della nascita dell'URSS. È vero che, arrivato agli ultimi anni di vita, Lenin impose un assetto federale all'URSS, così che ogni popolo fosse tutelato nella sua autonomia politica e culturale. Ma la concessione del Donbass all'Ucraina, ce lo spiega bene Luca Lovisolo in un approfondimento, fu effettuata nel rispetto di secoli di storia e della sua composizione etnica (per dire: secondo sondaggi del 2017 il 78% della popolazione locale voleva mantenere il Donbass parte dell'Ucraina).