«Putin vuole proseguire la guerra»

La Russia attacca, e attacca. Prende di mira ogni regione, ogni città, compresa la capitale, Kiev, con implicazioni anche politiche, oltre che belliche. E mentre fa salire l’escalation, si dice aperta a trattare. Sì, ma non con l’Ucraina, bensì con gli Stati Uniti. Mosca parla solo con Washington, perché tutto quello che c’è sotto è considerato indegno. Vladimir Putin lo ha detto e ribadito: con Volodymyr Zelensky non vuole parlare. Il suo referente è Donald Trump. Non è un caso, allora, se ieri, dopo il massiccio attacco a Kiev, il leader del Cremlino - per voce della responsabile della comunicazione Maria Zakharova - ha sottolineato di essere tuttora aperto a un incontro a Budapest con il leader della Casa Bianca. L’escalation sembra persino funzionale a un nuovo round negoziale.
Lasciare al freddo Kiev
Nel caso specifico, l’aviazione militare russa ha attaccato l’Ucraina nella notte tra giovedì e ieri con 19 missili e 430 droni di vario tipo e la difesa aerea è riuscita ad abbattere 419 del totale, non riuscendo però a impedire che 23 delle testate lanciate colpissero in 13 località, Kiev compresa. Quattro le vittime, decine i feriti. «Mi sembra sempre la stessa cosa: un tentativo di Mosca di piegare o, meglio, di distruggere l’Ucraina». Anna Zafesova, giornalista, già corrispondente a Mosca per La Stampa, raggiunta dal CdT, spiega: «E visto che l’Ucraina non si piega, la Russia vuole punirla, vuole punire questa resistenza. Così si spiega la decisione di colpire i palazzi residenziali, le infrastrutture energetiche e quelle che garantiscono il riscaldamento. L’idea è di punire il maggior numero di persone, di civili, uccidendoli o togliendo loro tutto, la possibilità di vivere. È un accanimento». Che si ripete di anno in anno, dal 2022. Sono dinamiche simili, ogni autunno, in vista dell’inverno. «Ma di diverso, in questo caso, c'è l’ha portata degli attacchi. È vero, l’escalation per lasciare al freddo e al buio l’Ucraina appare quasi stagionale, ormai. Ma oggi parliamo di 430 droni e di 19 missili. Non possiamo parlare di un normale attacco, o di qualcosa di già visto. L’Ucraina sa resistere, lo ha dimostrato anche in questa occasione, in fondo, e sa ricostruire e trovare alternative, anche grazie alle reti create con l’Occidente. È più attrezzata alle emergenze, ma è chiaro che sul riscaldamento si può fare poco. E allora l’inverno rischia di presentarsi nuovamente complesso. Al punto che già stanno emergendo piani per evacuare parte degli abitanti - perlomeno i più fragili - dalla capitale, nel caso di nuovi attacchi alla rete del riscaldamento centralizzato».
L’accanimento
Colpevolmente non ci soffermiamo mai abbastanza su quali realtà vengono colpite. In questo caso, gli attacchi si sono concentrati su Kiev. Il valore diventa quindi anche simbolico, politico. «Ogni notte vengono colpite tante città. In alcune realtà ci sono quartieri che vengono colpiti ogni giorno, ogni notte, e in cui non è neppure più possibile abitare. Ci sono città in cui se esci a fare la spesa rischi di essere colpito da un drone. Gli attacchi, insomma, sono quotidiani», spiega ancora Anna Zafesova. «Kiev, ultimamente, è diventata un bersaglio sempre più frequente di attacchi massicci e concentrati. Fino a pochi mesi fa, al massimo veniva colpita per obiettivi strategici, ma oggi la capitale appare più vulnerabile. Di fronte a simili sciami di droni, non c’è contraerea che tenga. Quindi sì, gli attacchi a Kiev, rispetto a quelli mirati su centrali elettriche o strutture militari, oppure ancora sulle reti dei trasporti, sono di fatto più politici. Negli altri casi, la logica, benché tremenda, è militare, ma su Kiev il bersaglio sono i civili. I droni entrano direttamente dalle finestre nelle case. Quello su Kiev sta diventando una sorta di accanimento». Possiamo parlare, in effetti, di accanimento, come di escalation. I termini sono sempre quelli, ce ne rendiamo conto. Ma dietro si celano pur sempre obiettivi a più ampio respiro. Queste strategie sono per forza di cose funzionali al risultato ultimo della guerra. Non c’è nulla, o quasi, di casuale. «E credo sia difficile dare altre interpretazioni rispetto a quella per cui Vladimir Putin vuole continuare la sua guerra», aggiunge Zafesova. «Per il momento, la Russia sembra non vedere altri strumenti possibili se non quelli militari per raggiungere i suoi obiettivi. Se poi dovessero aprirsi spiragli diplomatici, allora potrebbe anche sfoderare strumenti politici, ma intanto Mosca prosegue la guerra. E non intende fermarla neppure di fronte a una prospettiva di tregua. L’ordine del Cremlino, al netto persino dell’arrivo dell’inverno, è di continuare a spingere, ad attaccare, a conquistare pezzi di territorio ucraino. I risultati sono risicati, soprattutto rispetto al sacrificio che impongono. Ma l’intenzione, chiara, è di andare avanti». Al contempo, però, ci sono anche segnali, da parte di Mosca, di voler riavviare i negoziati, non con l’Ucraina in effetti, bensì con gli Stati Uniti. «Con Trump, sì. L’idea non è tanto di discutere una possibile fine della guerra, ma piuttosto convincere Trump a condividere la visione di Mosca. L’idea non è di incontrarsi a metà strada, come si usa per un compromesso, ma di averla vinta su tutta la linea».
Pressioni su Zelensky
Da un lato l’escalation militare - con danni indiscutibili -, dall’altro lo scandalo di corruzione a Kiev, che potrebbe raffreddare l’appoggio dell’Occidente anche in un momento simile. È possibile collegare il tutto, pur con il rischio di fare un po’ di dietrologia? Lo chiediamo anche a Anna Zafesova. «In effetti, possiamo solo fare delle ipotesi. C’è una coincidenza, sì. Da un lato lo scandalo, dall’altro il momento delicato sul terreno. In Ucraina, c’è un consenso abbastanza trasversale nei confronti della presidenza di Zelensky, il quale rimane il politico in assoluto più popolare, al netto del ruolo che potrà giocare in prospettiva il generale Valery Zaluzhny - oggi ambasciatore nel Regno Unito -, che pure per ora si tiene fuori dai giochi politici. Il consenso per Zelensky può salire o scendere, ma l’idea è che in questo momento comunque non si tocchi. Lo scandalo emerso, in realtà, è piuttosto banale, ma in un Paese in guerra ovviamente fa molto rumore». E ha creato malumori nella popolazione ucraina. «Chiaramente, chi ha fatto scoppiare questo scandalo, molto mediatico, poteva avere i suoi interessi nel colpire Zelensky, non direttamente implicato, se non nella scelta di alcuni uomini di fiducia. È evidente che la corruzione danneggi la difesa, ma qui entriamo, a mio parere, in un’altra sfera, quella della lotta politica, che qualcuno ha voluto far ripartire, forse fiutando anche una possibile sospensione delle ostilità. È chiaro, allora, che non appena avremo un congelamento del conflitto, la lotta vera e propria ripartirà immediatamente, con conti ancora da regolare». Questo era già un segnale, molto forte, in questo senso.

