Il caso

Quando la Russia mentiva sull'MH17

Per anni Mosca ha promosso teorie alternative e disinformazione circa lo schianto del volo della Malaysia Airlines
Marcello Pelizzari
09.05.2022 15:00

La guerra, sì. Ma non solo. Lontano dal conflitto, presso la Corte distrettuale dell’Aja, nei Paesi Bassi, le udienze riguardanti lo schianto del volo 17 della Malaysia Airlines – meglio noto come MH17 – proseguono.  

I fatti risalgono al 17 luglio del 2014, quando un Boeing 777 partito da Amsterdam e in viaggio verso Kuala Lumpur venne abbattuto nei cieli del Donbass, provocando la morte delle 298 persone a bordo.

Secondo un articolo di Novaja Gazeta Europe, la vicenda è centrale. E questo perché, banalmente, vi sarebbe una sovrapposizione con la narrazione del conflitto da parte russa. Ovvero, allora come oggi Mosca ha lavorato tanto, tantissimo per far prevalere la sua versione dei fatti a discapito della verità. Con quale obiettivo? Ingannare e quindi controllare i propri cittadini.

La guerra, all'improvviso

Lo schianto del B777, all’epoca, fece parlare il mondo intero. Soprattutto, attirò l’attenzione su una regione, il Donbass, della quale la stampa si occupava relativamente poco. E forse pure male.

Di più, la guerra – perché quella che scoppiò nel 2014 fu proprio una guerra – entrò di prepotenza, con una violenza inaudita, nelle vite di molti innocenti. Cittadine e cittadini d’Europa che stavano volando in Asia per motivi futili come le vacanze, o per lavoro. Ben 193 delle 298 vittime totali, per dire, erano olandesi.

Nel tentativo di stabilire le cause dell’incidente, nell’agosto di quell’anno fu istituito, come da prassi nell’aviazione, un gruppo congiunto composto da esperti di vari Paesi: Australia, Belgio, Malesia, Paesi Bassi e Ucraina, oltre a membri dell’agenzia UE per la cooperazione giudiziaria penale.

Cinque anni più tardi, nel 2019, i procuratori olandesi hanno identificato quattro sospetti colpevoli. Tre cittadini russi, Igor Girkin, Sergey Dubinsky e Oleg Pulatov, e un cittadino ucraino, Leonid Charcenko. Nessuno di loro si è presentato in aula.

La prima udienza si è tenuta il 9 marzo 2020, mentre l’accusa ha concluso che il volo è stato abbattuto da un missile sparato da un lanciatore terra-aria Buk, di fabbricazione sovietica prima e russa poi. Il luogo del lancio? Una zona controllata dalla Repubblica popolare di Donetsk, un’entità non riconosciuta internazionalmente (lo ha fatto Vladimir Putin prima dell’invasione).

Di più, l’accusa ha stabilito che il lanciatore apparteneva a una brigata di difesa aerea russa ed era stato consegnato da Mosca. Roba grossa.

© Shutterstock
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Perché non ammettere l'errore?

E il Cremlino? Ha cambiato troppo, e troppe volte, la sua narrazione circa lo schianto. Sviando l’opinione pubblica e, di nuovo, allontanando ogni sospetto. Della serie: se c’è qualcuno da incolpare, quelli sono gli ucraini. Proprio come in queste settimane di guerra. Il governo di Kiev, agli occhi di Mosca, si sarebbe dovuto «assumere piena e totale responsabilità» di quanto accaduto.

La propaganda ha prodotto teorie alternative di continuo. Sfruttando, fra l’altro, il supporto di aziende e istituti scientifici. Anche il missile, a detta di Putin, era di Kiev. Non di Mosca.

D’altronde, fra le tante bugie raccontate in questi anni c’era anche quella, vieppiù insostenibile verso l’esterno, secondo cui la Russia non era coinvolta direttamente nel Donbass. A combattere, secondo la tesi ufficiale, erano solo i separatisti filo-russi. Curiosamente però, ma nemmeno troppo, tre dei quattro sospettati per l’incidente aereo sono ufficiali militari con passaporto russo.

L’MH17, in realtà, è stato abbattuto per errore. O forse per inettitudine. Almeno queste sono le tesi più verosimili. Ma la Russia, sin dal principio, non ha mai preso in considerazione l’idea di ammettere i propri sbagli.

Il perché, beh, è presto detto. Non rientra nella tradizione del Cremlino, innanzitutto. E, ancora, parlarne pubblicamente avrebbe voluto dire riconoscere di aver portato uomini e armamenti al di fuori dei propri confini.

L'importanza del verdetto

I media vicini alla propaganda, già all’epoca, si sono sbizzarriti nel proporre le teorie più assurde. RT, ad esempio, aveva raccontato la storia di Carlos, un controllore del traffico aereo in servizio a Kiev, perseguitato dagli ucraini poiché quel giorno avrebbe visto due jet da combattimento ucraini nelle vicinanze dell’MH17. Tutto falso: Carlos non era un controllore e non avrebbe potuto esserlo, secondo la legge del Paese.

Tutto, insomma, pur di convincere la gente comune. Il Cremlino, ha specificato Novaja Gazeta, si è pure servito dell’azienda militare statale Almaz-Antey. Spendendo un sacco di soldi per allestire due esperimenti in scala reale e presentare un rapporto, anche qui, alternativo.

Gli inquirenti, tuttavia, hanno usato le immagini satellitari per stabilire luogo e momento del lancio. Anche le schegge «a forma di farfalla» trovate nei corpi delle vittime suggerivano che il missile era di ultima generazione e, quindi, non poteva appartenere all’Ucraina.

La Russia, dunque, ha mentito. Usando le stesse tattiche e gli stessi strumenti che abbiamo «ammirato» dall’invasione in poi. Il verdetto del processo, atteso entro la fine del 2022, può dirci molto in questo senso.

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