Lo scenario

«Quando si parla di atomica, non esistono armi tattiche o strategiche»

Gli analisti del Pentagono «smentiscono» Joe Biden, ma il cosiddetto armageddon nucleare è una possibilità: ne parliamo con Andrea Baccaro, docente di Studi strategici all’Università di Torino
Dario Campione
08.10.2022 06:00

«Governerà [le nazioni] con scettro di ferro, come vasi di argilla si frantumeranno». Risuonano da più parti, in questi giorni di tensione fortissima, le parole dell’Apocalisse di Giovanni. Il testo più difficile e oscuro del Nuovo Testamento che sempre viene tirato in ballo quando c’è da stendere un velo di nero sul futuro del mondo.

Per la prima volta dalla crisi dei missili di Cuba, era l’ottobre di 60 anni fa, Mosca ripete in modo ossessivo ed esplicito le sue minacce nucleari, costringendo gli americani a valutare scenari che sembravano sepolti nei sacrari della guerra fredda.

Ancora ieri, fonti del Pentagono riportate dal New York Times hanno affermato di non credere alla possibilità che Putin usi un’arma atomica. Ma alla Casa Bianca la pensano diversamente. Il presidente Joe Biden, parlando ai sostenitori del Partito Democratico durante una raccolta fondi organizzata nella Grande Mela, ha gelato la platea (e il mondo) dicendo apertamente, appunto, che «per la prima volta dai tempi» dello scontro fra Kennedy e Krusciov, «siamo di fronte alla minaccia di un Armageddon nucleare». Ospite nella residenza di James Murdoch, uno dei figli del magnate dei media, Biden ha ovviamente addossato l’intera colpa di quanto sta accadendo a Vladimir Putin: una persona, ha detto, «che conosco abbastanza bene. Putin non scherza quando parla del possibile uso di armi nucleari, chimiche o biologiche, perché il suo esercito è in difficoltà».

I vasi d’argilla siamo tutti noi. E lo scettro di ferro è la bomba. Che, spiegano gli analisti (e non solo quelli americani), il capo del Cremlino potrebbe decidere di utilizzare se non dovesse trovare una diversa via d’uscita dalla guerra, iniziata per celebrare il trionfo di Mosca e diventata, di settimana in settimana, una spaventosa disfatta.

I segnali lanciati al Cremlino

In realtà, gli americani stanno tentando in tutti i modi di lanciare segnali al di là degli Urali. Con l’obiettivo di spingere il presidente russo verso un possibile negoziato. Il primo di questi segnali è stato il rapporto dell’intelligence - fatto filtrare attraverso il New York Times - sull’omicidio di Daria Dugina, figlia del filosofo Aleksandr Gel’eviè Dugin, ascoltato consigliere di Putin e ideologo del revanscismo nazionalista russo. «Nulla abbiamo a che fare con un’operazione clandestina voluta dagli ucraini», hanno detto per interposta persona gli 007 americani. Un gesto di de-escalation e, nello stesso tempo, un avvertimento a evitare rappresaglie.

Il secondo segnale è provenuto direttamente dal Pentagono e dallo Studio ovale: vero è che gli USA, assieme alla NATO, hanno fornito oltre 15 miliardi di dollari di materiale bellico a Kiev, confermando di recente un programma di assistenza a lungo termine; ma altrettanto vero è che si sono opposti alla pressante e continua richiesta di Volodmyr Zelensky di avere caccia e razzi a lungo raggio. Un tipo di munizionamento che potrebbe permettere di bersagliare il territorio russo, cosa che Biden vuole evitare.

Il terzo segnale, anche questo diretto, è giunto ieri dal segretario di Stato Antony Blinken, il quale ha dichiarato che gli Stati Uniti sono «pronti» a cercare una soluzione diplomatica con la Russia. «Quando Mosca dimostrerà seriamente di essere disposta a intraprendere la strada del dialogo, noi ci saremo - ha detto Blinken in una conferenza stampa a Lima, dove si trovava in visita ufficiale, aggiungendo che - purtroppo, al momento, tutto sembra puntare nella direzione opposta».

Washington ha capito da tempo che l’impossibilità di vincere la guerra con strumenti convenzionali spinge Putin a evocare lo spettro nucleare, una minaccia - credibile o no - da prendere sul serio perché prefigura una «tipica situazione di probabilità molto bassa ed effetti potenziali molto alti». Dopo una serie di umilianti ritirate, tassi di vittime altissimi tra i soldati e la mossa terribilmente impopolare di arruolare i giovani con una mobilitazione parziale, il presidente russo ha capito che instillare la paura dell’atomica è, forse, l’unico modo rimasto per recuperare un po’ del rispetto perduto. «Siamo in una situazione in cui la superiorità nelle risorse e nelle armi convenzionali è dalla parte dell’Occidente - ha detto al New York Times Vasily Kashin, docente di questioni militari e politiche nella Higher School of Economics di Mosca - Il potere della Russia si basa sul suo arsenale nucleare. Il problema per Putin è come trarre vantaggio dal mondo reale della forza distruttiva delle sue testate nucleari senza usarle effettivamente».

Armi tattiche e strategiche

«Siamo di fronte a uno scenario drammatico. La dottrina russa per l’impiego di armi nucleari prevede la possibilità di utilizzare l’atomica per contrastare l’eventuale avanzata del nemico. Questo rischio si conosceva sin dall’inizio, ed è sempre rimasto sullo sfondo del conflitto. Il punto è che adesso è diventato reale», dice al CdT Andrea Baccaro, docente di Studi strategici all’Università di Torino.

«L’intera strategia nucleare della guerra fredda è stata basata per decenni su messaggi che le superpotenze si lanciavano in continuazione, con l’obiettivo di mantenere la stabilità del sistema. Oggi siamo tornati ad alcune di quelle dinamiche, ma con una grossa differenza: si combatte sul campo. Siamo, quindi, in un terreno inesplorato».

Prevedere che cosa succederà è difficile, anche perché «non ci sono precedenti». Su una cosa, tuttavia, bisogna «essere chiari - spiega Baccaro - Quando si parla di atomica, non esistono armi tattiche o strategiche». Sbaglia, cioè, chi associa l’aggettivo tattico alle dimensioni limitate della bomba. «È l’utilizzo che ne viene fatto, o l’obiettivo raggiunto, che stabilisce cosa siano queste armi. Se si ottiene un risultato parziale, allora si può parlare di nucleare tattico; se con la mia azione faccio cambiare idea al nemico, allora l’impiego è stato strategico».

La devastazione, invece, sarebbe totale. In entrambi i casi. «Una situazione da cui non si tornerebbe indietro». Bisogna quindi fermarsi. Prima. Trovare una via d’uscita.

«So che quasi nessuno, in Occidente, vuole sentirlo, ma si deve cercare una via diplomatica». Trovare un punto di equilibrio attraverso un’impostazione pragmatica. «È difficilissimo farlo e accettarlo, perché Putin è l’aggressore. Ma se non si vuole superare la soglia del nucleare bisogna fermarsi. Diversamente, la sconfitta dell’umanità sarà probabilmente completa».

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