Quanto conta avere il potere in Sudan?

Se due generali rivali trasformano una città popolosa come Khartoum in un personalissimo campo di battaglia, beh, a pagare lo scotto per forza di cose sono i civili. Come riferisce il New York Times, nella capitale del Sudan i colpi di arma da fuoco sono, oramai, all’ordine del giorno. Per tacere dei razzi che attraversano interi quartieri, costringendo le persone nelle proprie case. Il tutto mentre le scorte alimentari diminuiscono drasticamente. La situazione è grave, gravissima. Le immagini delle devastazioni all’aeroporto, fulcro delle operazioni di evacuazione del personale diplomatico e dei cittadini occidentali, sono sufficienti per farsi un’idea.
Le evacuazioni, via terra o appunto via aerea, stanno procedendo a ritmo sostenuto mentre scriviamo queste righe. Chi può, insomma, scappa. Oggi, domenica, le forze speciali americane hanno tratto in salvo un centinaio di persone, per lo più dipendenti dell’ambasciata degli Stati Uniti a Khartoum.
Mentre due generali con una rivalità di lunga data si contendono il dominio, gli scontri tra un gruppo paramilitare noto come Rapid Support Forces e l’esercito sudanese hanno cambiato volto alla città a una velocità disarmante. Allo stesso tempo, dando vita a una vera e propria guerra intestina hanno gettato alle ortiche la possibilità che il Sudan possa diventare una democrazia. Perfino il cessate il fuoco, nonostante le ripetute promesse, non ha sortito gli effetti sperati. Ma che cosa sta succedendo? Proviamo a riassumere questi ultimi, concitati giorni.
Dove si combatte (e chi)
La maggior parte degli scontri e dei combattimenti riguarda, come detto, la capitale Khartoum. Ma le due fazioni in lotta hanno dato vita ad azioni in tutto il Paese, il terzo più esteso dell’Africa con oltre 45 milioni di abitanti. Il bilancio delle vittime, nel frattempo, ha superato le 400 unità mentre i feriti secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sono oltre 3.500. Ma queste cifre sono destinate a salire.
A Khartoum, spiega ancora il New York Times, i combattimenti hanno costretto molte persone in casa, senza elettricità o acqua. I medici, negli ospedali, cercano di fare necessità virtù. Ad oggi, non è chiaro esattamente chi abbia il controllo della nazione.
Il leader delle forze sudanesi è il generale Abdel Fattah al-Burhan, un potente comandante militare per anni leader de facto del Sudan. Sconosciuto ai più prima del 2019, il generale al-Burhan era strettamente allineato con il sovrano di lunga data del Sudan, il presidente Omar Hassan al-Bashir. Dopo le tumultuose rivolte che hanno portato alla cacciata del discusso (e disprezzato) leader, il generale ha guadagnato sempre più potere e influenza.
In precedenza, al-Burhan era stato un comandante dell’esercito regionale nel Darfur, nel Sudan occidentale, dove 300.000 persone furono uccise e milioni di altre sfollate nei combattimenti dal 2003 al 2008. Combattimenti che furono condannati in tutto il mondo per le violazioni dei diritti umani e l’altissimo tributo in termini di vittime.
Dopo che civili e militari hanno firmato un accordo di condivisione del potere, nel 2019, il generale al-Burhan è diventato il presidente del Consiglio di sovranità, un organismo creato per supervisionare la transizione del Paese verso un governo democratico. Ma con l’avvicinarsi della data per il passaggio del controllo ai civili, alla fine del 2021, si è dimostrato riluttante a cedere il potere; tant’è che nell’ottobre dello stesso anno, al-Buhran e altri capi militari hanno effettuato un colpo di Stato.
Il principale rivale del generale al-Burhan è il tenente generale Mohamed Hamdan, alla guida del gruppo paramilitare noto come Rapid Support Forces (RSF). Di origini umili, Hamdan, meglio conosciuto come Hemeti, è salito alla ribalta come comandante delle famigerate milizie Janjaweed, responsabili delle peggiori atrocità del conflitto in Darfur.
Nell’ottobre 2021, il generale al-Burhan e il generale Hamdan si sono uniti per il colpo di Stato, diventando quindi leader e vice leader del Sudan. Ma negli ultimi mesi i rapporti fra i due sono peggiorati: si sono scontrati in pubblico; quindi, hanno dispiegato – in silenzio – truppe e attrezzature nei campi militari di Khartoum e in tutto il Paese.
Il rischio di escalation
La situazione venutasi a creare in Sudan riguarda da vicino anche l’Egitto, Paese confinante. Le forze del generale Hamdan, citiamo la cronaca recente, hanno catturato almeno 30 soldati del Cairo e sette aerei da guerra in una base aerea a nord di Khartoum. L’Egitto ha spiegato che i soldati si trovavano in Sudan per un’esercitazione. Secondo una testimonianza, per quanto non verificata e verificabile, quei soldati sarebbero stati chiamati dall’esercito sudanese per effettuare attacchi aerei.
Le violenze di questi giorni, tuttavia, potrebbero estendersi anche al citato Darfur, regione occidentale del Paese che, a sua volta, esce da un ventennio di tormenti e conflitti intestini. Nella regione si trovano diversi gruppi ribelli che, secondo gli esperti, potrebbero venire risucchiati nella guerra fra i due generali. Per anni, proprio il Darfur ha fatto da base ai militari del Gruppo Wagner.
Chi ha messo gli occhi sul Sudan?
Dopo decenni di isolamento, nonostante i problemi e le tensioni il Sudan si stava avviando verso un futuro a tinte democratiche. Gli Stati Uniti avevano anche revocato la designazione del Sudan come Stato sponsor del terrorismo. Una schiera di funzionari delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, della Lega Araba e dell’Unione Europea, invece, negli scorsi mesi aveva cercato, invano, di negoziare un accordo fra i due generali. Sollecitandoli ad acconsentire a un governo a guida civile.
Il Sudan, concludendo, ha prestato il fianco anche alla Russia e ai suoi interessi: il Gruppo Wagner, infatti, non solo ha assistito l’esercito sudanese e la giunta alla guida del Paese, ma ha ottenuto l’accesso alle redditizie miniere d’oro. Il Cremlino avrebbe pure fatto pressioni su Khartoum affinché le navi da guerra russe potessero attraccare sulla costa del Mar Rosso.