La storia

Quei 130 dipendenti che vogliono ricostruire un sogno

L'AN-225, conosciuto come Mriya, è stato distrutto dai bombardamenti russi – I lavoratori dell'azienda, in coro: «Insieme restaureremo il potere della compagnia contro i piani dell'invasore»
Marcello Pelizzari
25.03.2022 18:30

Sogno. Sì, Mriya significa proprio questo: sogno. È il nome dell’Antonov AN-225. L’aereo (cargo) più grande del mondo, uno dei simboli dell’Ucraina e, quantomeno fra gli appassionati dei cieli, del mondo intero. Il sogno si è spezzato. Peggio, è andato distrutto. Colpa dell’esercito russo e dei bombardamenti, terribili, sulle basi di Gostomel e Sviatoshyn. Dove Antonov, insomma, teneva i suoi gioielli.

In un lungo e appassionato post sui social, 130 dipendenti dell’azienda hanno ricostruito le ultime, tormentate settimane e, soprattutto, hanno annunciato i possibili piani futuri. Molto, va da sé, dipenderà da questa guerra assurda. Ma laddove la volontà dell’uomo, anzi dell’ingegnere, è forte, beh, niente è fuori portata.

Il trasferimento a Lipsia

Innanzitutto, una notizia: nel dicembre 2021, si legge nella lettera, la direzione della suddivisione del trasporto aereo di Antonov aveva iniziato a sviluppare «piani a lungo termine per un possibile trasferimento della flotta aerea a Lipsia, in Germania». Alla fine di gennaio, «sullo sfondo di una situazione politica aggravata, i nostri partner occidentali dei paesi della NATO hanno preso in considerazione la possibilità» di aiutare ininterrottamente l’azienda.

E ancora: a metà febbraio, visto l’aggravarsi della situazione e lo spettro di un’invasione sempre più reale, «il lavoro di preparazione per il trasferimento è stato intensificato». Pezzi di ricambio, forniture necessarie, attrezzature per il lavoro di riparazione, specialisti in preallarme. Non solo, i vari modelli della flotta – AN-26, AN-74 e AN-225 – sono stati sottoposti alle necessarie «cure» per poter lasciare al più presto l’Ucraina. L’AN-225, in particolare, aveva un set di motori incompleto. Allo stesso tempo, l’azienda ha condotto trattative con la direzione dell’aeroporto di Lipsia per arrivare a un accordo di massima.

Cinque AN-124, pronti, sono stati trasferiti. Gli AN-26 e AN-74 sarebbero decollati a breve mentre la sera del 23 febbraio, con il sesto motore montato, anche l’AN-225 aveva superato i controlli necessari.

L'invasione

I piani dell’azienda, tuttavia, sono saltati a causa dell’invasione e, nello specifico, alla chiusura dello spazio aereo per i voli civili. Alle basi citate, alcuni dipendenti della Antonov sono caduti sotto il fuoco nemico.

La missiva, a questo punto, assume toni cupi. Molto cupi. E accusatori. Dmytro Antonov, uno dei piloti dell’azienda, era stato il volto e la voce del dramma vissuto da Antonov. Aveva, per primo, affermato che «tutto era perduto» riferendosi all’AN-225 e, di nuovo, lanciato accuse alla direzione. Rea, a suo dire, di avere ignorato troppo a lungo gli allarmi lanciati dall’America e dalla NATO e, peggio, di aver abbandonato i lavoratori al loro destino. Peccato che, leggiamo, lo stesso Antonov abbia «insidiosamente piantato un coltello nella schiena di tutto il personale della società con false dichiarazioni e, ora, se ne stia a casa a tradimento» secondo la lettera firmata dai 130 dipendenti. Parentesi: il pilota non ha nessun legame di parentela con Oleg Antonov, il fondatore.

Quindi, l’appello. «Ci rivolgiamo al popolo ucraino, a tutti gli aviatori del mondo che hanno a cuore il destino del nostro Paese». Un appello affinché tutti restino «vigili». Quanto al sogno, anzi a Mriya, «la polvere sarà spazzata via dal vento della storia e insieme restaureremo il potere della compagnia Antonov contro i piani dell’invasore».

Il Buran e la ricostruzione

I piani di ricostruzione, in realtà, sono noti sin dalla distruzione dell’AN-225. Ukroboronprom, che gestisce Antonov, aveva chiarito che la ricostruzione dell’aereo cargo sarebbe stata pagata dai russi. Le cifre? Tre miliardi di dollari per cinque anni di lavoro.

La distruzione di Mriya, di fatto, ha segnato una fine scioccante (e ingloriosa) per un aereo le cui origini – paradosso dei paradossi – risalgono a quell’Unione Sovietica che ha svezzato Vladimir Putin.

La storia dell’An-225 inizia parecchi anni fa, quando l’URSS era impegnata nella cosiddetta corsa allo spazio con gli Stati Uniti. Emerse, fra gli anni Settanta e Ottanta, la necessità di trasportare carichi pesanti dai luoghi di assemblaggio al tentacolare cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, dove Yuri Gagarin prese il volo nel 1961.

Di più, l’AN-225 nelle intenzioni doveva trasportare la navicella Buran: diciamo la risposta, o se preferite la scopiazzatura, allo Space Shuttle statunitense. Siccome non esistevano aerei in grado di trasportare il Buran, ad Antonov fu ordinato di realizzarne uno.

L’unico esemplare costruito prese il volo nel 1988, mentre la costruzione del secondo aereo non venne mai portata a termine complice il collasso dell’Unione Sovietica. Mriya, negli anni, ha operato in tantissimi Paesi e aiutato durante svariate crisi: pensiamo al terremoto di Haiti nel 2010, ma anche ai voli in epoca COVID per trasportare forniture mediche.  

Ovunque atterrasse, beh, l’AN-225 attirava la folla delle grandi occasioni. Proprio perché era grosso, grossissimo. Un sogno pesante, insomma. Che ora Antonov spera di ricostruire.

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