Quel grande e inutilizzabile giacimento di gas nei Paesi Bassi
Campi di tulipani, mulini a vento, paludi e la più grande riserva di gas naturale d'Europa. Che però, purtroppo, non si può utilizzare. Siamo a Groningen, nella parte settentrionale dei Paesi Bassi. Oltre a essere fatta su misura per gli universitari, questa città è anche un pilastro delle forniture di gas europeo, da quasi 60 anni. Dopo mezzo secolo, nel suolo sono ancora presenti 450 miliardi di metri cubi di gas estraibile. Ma quella che a primo impatto può sembrare una buona notizia, in realtà non lo è. Facciamo un passo indietro.
Quelle scosse di terremoto
Scoperto nel 1959 nei pressi di Slochteren, il giacimento divenne fondamentale per l'approvvigionamento energetico dei Paesi Bassi, che dopo pochi anni diventarono interamente dipendenti dal gas di Groningen. All'inizio, le entrate derivanti dalle produzioni di gas naturale erano davvero importanti. La Seconda guerra mondiale si era da poco conclusa, e il Paese si stava ricostruendo anche grazie a quanto ricavato dalla riserva. Dopo qualche anno, il sogno però si infranse. Nel 1986, una piccola scossa di terremoto verificatasi durante l'estrazione di gas mise gradualmente fine a quello che era stato uno dei capitoli più importanti della storia olandese. Da quel giorno, infatti, si registrarono un centinaio di piccoli terremoti nell'area. A volte impercettibili, ma abbastanza pericolosi da causare danni alle case limitrofe. Dopo un terremoto di magnitudo 3,6 nel 2012, che portò a migliaia di richieste di risarcimento, nel 2014 il governo olandese impose limiti ancor più stringenti alla produzione di gas del giacimento, condannando la riserva a un tragico destino. La sua sorte è ora quella di venir definitivamente chiusa, probabilmente già fra il 2023 e il 2024. Mentre fuori, oggi, è in corso una delle più grandi crisi energetiche della storia.

Case in rovina
Anche nell'attuale situazione di emergenza, il futuro della riserva di Groningen sembra ormai essere, inesorabilmente, segnato. Il motivo è molto semplice. Le estrazioni di gas dal giacimento causano terremoti. E i terremoti creano disagi tra i residenti dell'area circostante. Per questa ragione, i funzionari olandesi non vogliono scontentare o creare problemi ai propri cittadini. Eppure, come riporta Bloomberg, secondo Shell, uno dei due principali partner coinvolti nella gestione, sarebbe possibile estrarre circa 50 miliardi di metri cubi di gas all'anno in più rispetto al flusso attuale. Gas particolarmente utile in questo momento di crisi. Ma per gli abitanti del posto, non c'è storia. Il pensiero resta lo stesso: il continente farebbe bene a guardare altrove. Wilnur Hollaar è uno dei residenti che ha vissuto in prima persona i danni causati dalle continue scosse di terremoto. «Quando ho comprato questa casa nel 2004 era un palazzo. Ma come migliaia di case nella zona, dopo non molto è stata danneggiata dalle scosse di terremoto. Ora è piena di crepe e la facciata sta sprofondando. La mia casa è diventata una rovina», confessa l'uomo a Bloomberg. Dal 2014, i limiti imposti dal governo olandese per la produzione di gas si sono fatti sempre più stringenti: dai 54 miliardi di metri cubi annuali del 2013, si è passati ai 4,5 di quest'anno. Ma, a quanto pare, per qualcuno le riduzioni non sono abbastanza.
«Solo in casi estremi»
Dall'Europa, intanto, le richieste non si fermano. Dopotutto, con l'assottigliarsi delle forniture russe, che rappresentano grossomodo un terzo delle importazioni di gas naturale dell'Europa, le pressioni ai Paesi Bassi sono divenute "necessarie". Come se non fosse abbastanza, le recenti falle nel Nord Stream hanno peggiorato una situazione già tragica. Recentemente, il commissario per il mercato interno dell'Unione Europea, Thierry Breton, ha dichiarato che i Paesi Bassi dovrebbero riconsiderare la decisione di chiudere il giacimento di Groningen. A tal proposito, il primo ministro olandese Mark Rutte ha replicato menzionando la possibilità di ricorrere alle forniture di gas di Groningen, ma «solamente in casi estremi, se le cose dovessero andar male». Ribadendo, soprattutto, che per ora non è questo il caso. Secondo il ministro delle miniere olandese Hans Vijlbrief, continuare a produrre gas sarebbe invece «troppo pericoloso» ma, d'altro canto, il Paese «non può totalmente ignorare le sofferenze del resto del continente europeo». La mancanza di riscaldamento in ospedali, scuole o case sarebbe un problema di sicurezza non indifferente e, a detta del ministro, potrebbe essere sufficiente per cambiare le carte in tavola.

Exxon, Shell e le risposte non date
Ma ritorniamo a parlare dei due partner principali coinvolti nella gestione dell'impianto: Exxon e Shell. Quest'ultima, secondo quanto confermato da Bloomberg sta «pienamente collaborando» con le autorità per procedere con la chiusura del giacimento. E non solo. La multinazionale si è dichiarata «perfettamente consapevole» delle sue responsabilità. Secondo le risposte del portavoce Tim Kezer, la NAM (la joint venture di Shell ed Exxon) si è sempre assunta la responsabilità di tutti i costi legati ai terremoti risarcendo i danni causati e mettendo a disposizione i rinforzi necessari per la sicurezza. Ma è davvero così? Contattata da Bloomberg, NAM non ha preso posizione sul suo ruolo nei risarcimenti passati e futuri, e ha rimandato le domande a Shell ed Exxon.
Per il ministro delle miniere Vijbrief, entrambe le società dovrebbero svolgere un ruolo maggiore nel risarcimento. Fino ad ora, hanno infatti pagato "solo" 1,65 miliardi di euro ai residenti, per i danni causati dal terremoto. «È molto poco rispetto a quanto richiesto dai residenti. Loro sono totalmente responsabili dei danni e per il rafforzamento delle case, così come lo siamo noi come Stato».
E ora?
Qualcosa, dunque, può ancora cambiare? Al momento, le possibilità non sembrano essere molte. C'è ancora troppa confusione per prevedere un cambiamento nel futuro - che sembrava ormai scritto - dell'impianto di Groningen. Attualmente, anziché incrementare la produzione di gas, i Paesi Bassi hanno optato per eliminare i limiti delle centrali elettriche e a carbone. Una strategia simile a quella messa in atto dagli altri membri dell'Unione Europea, che in questo modo, però, ricorrono all'utilizzo di un combustibile fortemente inquinante. Per ora, quindi, la situazione rimane in fase di stallo. Per Vijlbrief, l'inverno imminente non dovrebbe portare alcun problema. Piuttosto, è quello che potrebbe accadere dopo, a preoccupare di più. Se le riserve si svuotassero completamente a causa di un inverno molto freddo, potrebbe essere piuttosto complicato riuscire a riempirle di nuovo.