Natura e preistoria

Raccolgono fossili e aiutano la scienza: ecco le «formiche Indiana Jones»

Negli Stati Uniti, le formiche raccoglitrici proteggono le proprie case ammassando ogni sassolino trovato sulla propria strada — Un recente studio dimostra come, così facendo, l'insetto accumuli spesso reliquie del passato, facilitando il lavoro dei paleontologi
Giacomo Butti
23.06.2022 10:15

Se non si meritano l'appellativo di "Indiana Jones", poco ci manca. È vero, non visitano templi maledetti né recuperano l'Arca dell'Alleanza. Cionondimeno le cosiddette "formiche raccoglitrici", una terminologia che raggruppa in realtà migliaia di specie diffuse in tutto il mondo, sono vere e proprie studiose del passato. Tanto che negli Stati Uniti occidentali, da oltre un secolo, le appartenenti al genere Pogonomyrmex sono viste dai paleontologi come delle preziose colleghe. Perché? A questa tipologia di formiche piace ammassare minuscoli sassolini attorno alle loro case: tutto quanto riescono a trovare a portata di antenna. L'obiettivo? Creare uno strato spesso mezzo centimetro di piccolissime rocce che protegga la struttura dai danni ambientali. A catturare l'attenzione dei paleontologi, come sottolinea uno studio pubblicato il mese scorso sulla rivista scientifica Paludicola, è il fatto che spesso e volentieri a finire tra le "grinfie" degli insetti non sono solo minerali ma interessanti reliquie del passato: resti fossili appartenenti a mammiferi scomparsi decine di milioni di anni fa.

Un esemplare di formica raccoglitrice della California (Pogonomyrmex californicus). © Shutterstock
Un esemplare di formica raccoglitrice della California (Pogonomyrmex californicus). © Shutterstock

Problema o alleato?

Ma facciamo un passo indietro. Esclusi i paleontologi, ben pochi negli Stati Uniti apprezzano la laboriosa formica. Raccoglitrici instancabili, le appartenenti al genere Pogonomyrmex lavorano anche per accumulare semi e ogni tipo di vegetazione. Un formicaio può vivere per decenni e, facendo impazzire i proprietari dei terreni, ripulire completamente zone fino a 30 metri di distanza dal centro del tumulo. Senza contare che le punture di queste formiche sono particolarmente dolorose. Insomma, non la compagnia preferita per un pic-nic. Eppure, come evidenziato nel già citato studio, il patrimonio scientifico che queste formiche possono faticosamente ammassare è veramente sbalorditivo. Nei 19 formicai analizzati in una proprietà del Nebraska, i ricercatori hanno portato alla luce oltre 6.000 microfossili (non più larghi di qualche millimetro) appartenenti ad antichi mammiferi. Parliamo, perlopiù, di piccoli denti e frammenti di mascelle. L'inaspettata utilità di queste formiche, come già detto, è nota da tempo. Nel 1896, sottolinea National Geographic, che allo studio ha dedicato un recente articolo, il paleontologo John Bell Hatcher aveva consigliato, in una pubblicazione riguardante la ricerca di fossili, di frequentare i formicai locali, «perché quasi sempre forniscono un buon numero di denti di mammiferi». Tanto che il ricercatore noto a ragion veduta come il "re dei collezionisti" si vantava di saper trovare regolarmente fra i 200 e i 300 frammenti animali su una singola collina.

I risultati dello studio

Andiamo più in dettaglio. Cosa si è potuto osservare, esattamente, nei 6.000 fossili raccolti nella manciata di formicai? «In questa collezione sono stati riconosciuti oltre 80 taxa (raggruppamenti, ndr) di mammiferi, tra cui dieci nuove specie e quattro nuovi generi. Tra i roditori sono descritte nove nuove specie, tra cui tre nuovi generi». Ma non solo: «Un singolo esemplare di chirottero (pipistrello, ndr) e tre denti isolati di primati omomidi sono presenti nella collezione, ma non possono essere riferiti con certezza ad alcuna specie conosciuta».

Ci forniscono una fonte concentrata di fossili che per essere raccolta altrimenti richiederebbe un grande sforzo

Intervistato da National Geographic, il coautore dello studio, Clint Boyd, paleontologo presso il North Dakota Geological Survey, ha spiegato: «Queste formiche sono in grado di fornirci una fonte concentrata di fossili che per essere raccolta altrimenti richiederebbe un grande sforzo nello scavare la roccia. O semplicemente anni e anni per strisciare su mani e ginocchia, sperando di trovare qualcosa».

Grazie all'impegno dell'insetto, evidenzia dunque la rivista statunitense, i paleontologi possono oggi capire meglio cosa succedeva in Nord America circa 34 milioni di anni fa. Un periodo importante, a livello evolutivo, che segnò la fine dell'Eocene e l'inizio dell'Oligocene e durante il quale la Terra, raffreddandosi, portò all'estinzione di molte specie. Ma il contributo delle formiche non si ferma qui. Grazie alle coordinate GPS e alla conoscenza della topografia, il team di ricercatori stato in grado di determinare gli strati specifici di roccia che ogni formicaio ha campionato. Cosa significa? In sostanza, tracciando quali tipi di fossili sono stati trovati in ciascun tumulo, Boyd e compagni hanno potuto stimare quando le diverse specie sono apparse e scomparse negli strati di roccia del sito. Informazioni di tipo geologico che hanno permesso ai ricercatori di dedurre quali strati rocciosi in quello specifico spazio del Nebraska hanno registrato la fine dell'Eocene e l'inizio dell'Oligocene, circa 34 milioni di anni fa.

L'iniziativa partita dal ranch

Interessante è non solo il risultato, ma anche l'origine dello studio. È infatti su iniziativa di alcuni "profani", una famiglia di appassionati collezionisti di fossili che possiedono il ranch nel quale si trovano i formicai, che tutto ha avuto origine. Marco Gulotta Sr., racconta National Geographic, sapeva quale piccolo tesoro preistorico possano contenere i tumuli costruiti dall'insetto. E per questo, tempo fa, si era dedicato insieme ai figli a una ricerca amatoriale. Raccogliendo la ghiaia dagli strati più esterni dei formicai, l'aveva setacciata separando i sassolini dagli antichi resti. Le foto dell'operazione sono state poi pubblicate sul sito web di una comunità di paleo-appassionati: Fossil Forum. 

Boyd e la sua collega Deborah Anderson, altra coautrice dello studio e paleontologa del St. Norbert College di De Pere, Wisconsin, hanno visto i post e hanno contattato l'uomo, convincendolo a inviare alcuni dei microfossili. Dopo l'interesse, la decisione: era necessario indagare. E il resto è storia: paleontologi e proprietari terrieri hanno collaborato portando a questo incredibile risultato.

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