Energia

Se l'Arabia Saudita spinge sul futuro

Nell'ambito del piano Vision 2030 le autorità saudite puntano sempre più su energie rinnovabili e batterie per veicoli elettrici – A tal proposito, il Paese intende sfruttare il suo ricchissimo sottosuolo per scovare oro, rame, zinco, piombo, nichel e argento
Marcello Pelizzari
20.01.2023 16:45

Il piano, Vision 2030, ha un obiettivo preciso: consentire all’Arabia Saudita di diversificare la sua economia, oggi troppo dipendente dalle entrate petrolifere. Un mantra che l’uomo forte del regime, il principe ereditario Mohammed bin Salman, per tutti soltanto MBS, ripete di continuo e che trova in Neom – una città futuristica di cui Mirror Line, il grattacielo orizzontale, sarà il fiore all’occhiello – una sua espressione plastica. Energie rinnovabili, batterie per veicoli elettrici e tanto, tantissimo altro: sì, il Regno vuole (deve) cambiare, passando anche, come visto, dallo sport, vero esercizio di soft power.

Una società ad hoc

L’Arabia, soprattutto, vuole battere sul tempo superpotenze come Cina e Stati Uniti, oltre all’Unione Europea. Per farlo, non sta (letteralmente) badando a spese: «Il Regno sta investendo quasi 200 miliardi di dollari in energie rinnovabili in patria e all’estero» ha ricordato, giovedì a Davos, il principe Faysal bin Farhan Al Saud, ministro degli Affari Esteri saudita.

Transizione energetica, però, significa anche garantire l’approvvigionamento di metalli strategici, fra cui il litio, per poter sostenere l’industria locale. A tal proposito, lo scorso maggio il ministro dell’Industria e delle risorse minerarie, Bandar Alkhorayef, aveva annunciato un piano per far convogliare 32 miliardi di dollari nell’industria mineraria saudita. Le previsioni? Circa 14.500 nuovi posti di lavoro e qualcosa come 145 licenze operative da distribuire a società estere. La missione, per dirla con Alkhorayef, è sviluppare un settore minerario sostenibile «in grado di essere competitivo a livello globale».

Le autorità saudite, proprio per venire incontro alle ambizioni di MBS, hanno annunciato di aver creato allo scopo una società di investimento dedicata al settore minerario. Società che dovrebbe essere dotata di 15 miliardi di dollari e che, in termini di quote, è posseduta per il 49% dal fondo sovrano saudita e per il restante 51% dalla società mineraria pubblica Ma’aden, a sua volta legata al fondo sovrano (67%).

E il nucleare?

Ma’aden ha pure annunciato di avere stretto partnership strategiche. Con Ivanhoe Electric, ad esempio, tramite un investimento di 126 milioni di dollari per una quota del 9,9% nella società mineraria statunitense, allo scopo di esplorare il ricchissimo suolo saudita alla ricerca di oro, rame, zinco, piombo, nichel e argento. È stata pure rafforzata la collaborazione con Barrick, il secondo produttore di oro al mondo, per accelerare la produzione di rame nelle miniere di Jabal Sayid e Umm Ad Damar. L’Arabia, mentre scriviamo queste righe, produce circa 70 mila tonnellate di rame all’anno. Si tratta, manco a dirlo, di un volume modesto rispetto alla produzione mondiale (21 milioni di tonnellate e oltre). Ma crescerà, promettono i diretti interessati.

Un’altra opzione sul tavolo di Riad per garantire la transizione energetica è quella del nucleare. Il ministro dell’Energia, il principe Abudlaziz bin Salman, ha annunciato che l’uranio potrebbe essere estratto localmente, permettendo così al Paese di fornire in autonomia il combustibile alle sue future centrali nucleari. «Recenti esplorazioni hanno dimostrato l’esistenza di quantità di uranio in diversi siti geologici del Regno, come Jabal Saeed, Madinah e Jabal Qariah nel Nord» ha detto il ministro, aggiungendo che sono state identificate anche zone con «quantità significative di titanio, sbloccando opportunità di investimento ancora maggiori».

Il nucleare, leggiamo, risponderebbe a bisogni di elettricità vieppiù importanti: il fabbisogno del Paese, in effetti, è aumentato del 20% dal 2012 al 2020, complice la necessità di desalinizzare l’acqua di mare. L’Arabia, nel 2016, aveva annunciato di voler costruire 16 reattori nucleari nei successivi vent’anni per una spesa, totale, pari a 80 miliardi di dollari.

La produzione di energia, oggi, dipende ancora in larghissima parte dalla combustione di idrocarburi, con tutto il corollario di conseguenze in termini di emissioni di CO2 e impatto sul pianeta.

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