Domande e risposte

Torna lo spettro delle armi chimiche

La notizia del possibile utilizzo di prodotti tossici a Mariupol aggiunge nuove tensioni sul piano diplomatico
Francesco Pellegrinelli
13.04.2022 06:00

Fonti legate al Governo di Kiev, ma non confermate a livello internazionale, sollevano il sospetto sull’impiego di armi chimiche a Mariupol. Vietate dal diritto internazionale, cosa sono e con quale scopo vengono utilizzate? Il parere di due esperti.

Quando si parla di armi chimiche che cosa s’intende?
«Le armi chimiche sono sistemi d’arma che hanno come base di funzionamento una reazione chimica, la quale produce un effetto letale sull’ambiente», spiega Marco Liddo, analista presso il centro Studi internazionali di Roma. «Si distinguono da quelle convenzionali per l’ampiezza del loro effetto, sia nel tempo, sia nello spazio», aggiunge Mauro Gilli, ricercatore al centro per gli studi sulla sicurezza del Politecnico di Zurigo. «Gli agenti chimici che concorrono a definire un’arma come tale sono stabiliti a livello internazionale». Fondamentale per la sua definizione è il potenziale di distruzione che essa comporta: «Come quelle nucleari e biologiche, le armi chimiche sono strumenti di distruzione di massa, in grado di produrre danni su un numero esteso di soggetti e infrastrutture. Per contro, le armi convenzionali - come un proiettile - colpiscono un obiettivo specifico: un ponte, un soldato, un edificio. Con l’arma chimica, la quantificazione del danno è molto più difficile». Il suo effetto, aggiunge Gilli, dura nel tempo: «Contrariamente a un’arma convenzionale, sia essa munita o meno di un ordigno esplosivo, quella chimica è potenzialmente in grado di colpire per un tempo prolungato».

Fonti legate al Governo di Kiev sospettano, a Mariupol, l’impiego di munizioni al fosforo. Che cosa sono?
Le munizioni al fosforo sono una tipologia precisa di armi chimiche. «Quando parliamo di armi chimiche, di solito, pensiamo ai gas nervini, al sarin, all’iprite (noto anche come gas mostarda per il suo odore caratteristico). Questi gas vengono rilasciati nell’aria e producono il loro effetto quando entrano in contatto con la cute o quando vengono inalati». Le munizioni al fosforo, invece, sono munizioni incendiarie che producono, al contatto con l’atmosfera, vampate di fiamme: «L’uso del fosforo come agente incendiario è vietato dai trattati internazionali», osserva Liddo. «Ma il fosforo in quanto tale può essere impiegato in battaglia per produrre effetti segnaletici o fumogeni».

NATO, USA e Gran Bretagna hanno più volte affermato che un eventuale impiego di armi chimiche «cambierebbe la natura del conflitto». Che cosa significa?  
Per capire questa affermazione dobbiamo ricostruire il contesto generale, osserva Liddo. «Esistono diverse convenzioni internazionali che mettono al bando le armi chimiche dal terreno di scontro». Il protocollo di Ginevra, per esempio, ne proibisce l’impiego dal 1925 e dall’entrata in vigore della Convenzione sulle armi chimiche, nel 1997, il divieto comprende esplicitamente anche lo sviluppo, la produzione, lo stoccaggio e la fornitura di queste armi. Ma come si è prodotta nel tempo la volontà politica di escludere le armi chimiche dal terreno di battaglia? «Sono armi che procurano sofferenze inaudite e non necessarie», osserva Liddo. «Nel tentativo di mettere regole alla guerra, i Paesi hanno firmato convenzioni per limitare l’uso di determinati sistemi d’arma, come le bombe a grappolo, i proiettili Dum-dum, che si frantumano nel corpo umano, e - appunto - le armi chimiche». In quanto sfuggono da qualsiasi criterio di proporzionalità, per l’enorme sofferenza che producono in maniera indistinta e non controllabile, queste armi non sono tollerate. La Russia, tuttavia, già in passato ha eluso vari trattati sulle armi chimiche, «cercando di volta in volta di impiegare sostanze specifiche che non figurano direttamente nella lista di quelle vietate, ma che producono effetti analoghi», osserva Gilli.

L’uso di armi chimiche risponde alla necessità di fiaccare sacche di resistenza militare che si annidano nelle città
Mauro Gilli

Una cosa è la teoria, un’altra la pratica. Nonostante le Convenzioni lo vietino, le armi chimiche vengono ugualmente impiegate. Con quale scopo militare?
Il loro impiego è duplice. Storicamente l’arma chimica è stata impiegata sia contro i civili, sia contro l’esercito nemico. Nel primo caso, come accadde in Siria, l’obiettivo era di liberare intere città costringendo la popolazione a lasciare le proprie abitazioni, creando forti esodi, spiega Gilli. «Nel secondo caso, l’uso di armi chimiche risponde alla necessità di fiaccare sacche di resistenza militare che si annidano nelle città». «Si tratta di armi altamente invalidanti che producono grande sofferenza per tutta la vita», gli fa eco Liddo: «Ustioni, perdita della vista e delle funzioni vitali sono tra gli effetti più comuni». Per cui, osserva l’esperto, «lo scopo di quest’arma non è banalmente distruggere un edificio o colpire il nemico, ma procurare sofferenze e terrorizzare la popolazione civile», specie quando questa, - come nel caso dell’Ucraina - partecipa alla resistenza: «Così si spingono i cittadini ad abbandonare la lotta».

L’uso di armi chimiche a quale evento storico rimanda?
L’utilizzo sistematico dell’arma chimica sul campo di battaglia risale agli inizi del ’900. «Durante la Prima guerra mondiale si sono utilizzati soprattutto i gas», osserva Liddo. «Stesso discorso anche per il secondo conflitto mondiale». Nel passato recente le ha utilizzate Saddam Hussein contro la popolazione curda per punire il suo supporto alla causa ribelle. Sono state utilizzate anche dagli USA in Iraq, a Falluja, per stessa ammissione del Governo statunitense. Sono state utilizzate dai siriani lealisti contro i ribelli in Siria, e sono state utilizzate dai russi, sia in Siria che in Cecenia».

L’uso di armi chimiche è davvero «una linea rossa invalicabile» che imporrebbe una «risposta adeguata» da parte degli Alleati?
«Difficile dire», commenta Gilli. «Volutamente i leader occidentali si sono espressi con formule vaghe». Così anche il ministro della Difesa britannico, nel sostenere che in caso di impiego di armi chimiche, la natura del conflitto cambierebbe. «Concetti vaghi che fanno leva sul potere deterrente della parola. Quando all’inizio del conflitto è iniziato a circolare il timore dell’uso di armi chimiche, il presidente Biden per contro è stato molto chiaro, lasciando pochi margini di interpretazione e affermando che ci sarebbero state conseguenze». Ma di quali reazioni parliamo? «Nuovamente: difficile dire, e il condizionale, comunque, resta d’obbligo», osserva Liddo. «Dopo gli orrori di Bucha, la comunità internazionale non ha prodotto una reazione chiara e determinata. Da una parte si vuole evitare che il conflitto si allarghi - sarebbe infatti il preludio di un nuovo conflitto mondiale - dall’altra l’Occidente potrebbe reagire sul fronte delle sanzioni, con un vero blocco del gas e del petrolio».

In virtù di quanto detto, e tenuto conto che sarà un’inchiesta internazionale a stabilire quanto accaduto a Mariupol, un attacco con armi chimiche in Ucraina è possibile?
Al momento non ci sono dati sufficienti per dire se a Mariupol ci sia stato o meno un attacco con armi chimiche, osserva Liddo. «A priori la possibilità non può essere esclusa, però è una possibilità solo teorica. Finché non vengono fatti rilevamenti, non possiamo dire nulla». Si tratta di un tema estremamente delicato, che potrebbe cambiare il corso del conflitto, osserva Liddo, motivo per cui «è nostro dovere attendere ogni verifica».

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