Il caso

TotalEnergies non riesce a uscire dalla Russia, ma intanto continua a fare soldi

Il colosso francese dell'energia sta tuttora onorando un contratto a lungo termine per la consegna di 4 milioni di tonnellate di GNL all'anno – Un'uscita vera e propria? «È un vicolo cieco legale»
Red. Online
15.03.2024 22:00

La Tribune, quotidiano economico francese, ha definito la situazione «sorprendente». A due anni dall'invasione dell'Ucraina su larga scala da parte dell'esercito di Mosca, TotalEnergies non ha ancora venduto i suoi asset in Russia, dove aveva vestito in maniera massiccia. Di più, sorge il sospetto che il colosso francese dell'energia non voglia affatto uscire dalla Federazione. A oggi, Total rimane azionist al 19,4% di Novatek, il secondo produttore russo di gas, mentre possiede oltre il 20% di Yamal LNG, che gestisce l'omonima stazione di produzione di gas naturale liquefatto, o GNL, nella Siberia occidentale. Non finisce qui, visto che Total partecipa nella misura del 10% alla costruzione dell'impianto di liquefazione Arctic LNG 2 nell'Artico russo.

Gli affari sono affari, verrebbe da dire. A maggior ragione se Total, grazie al contratto a lungo termine con Yamal, vende oltre 4 milioni di tonnellate di GNL. A chi? All'Europa, soprattutto. Chiamatelo pure cortocircuito. L'aspetto interessante, come sottolinea sempre La Tribune, è che le attività russe di Total non figurano nei conti. Il motivo è presto detto: dopo l'invasione, l'azienda ha deciso di «deconsolidare» le sue attività nella Federazione dal suo bilancio, con una consguente svalutazione di 14,8 miliardi di dollari per il solo 2022. Il valore di tutte le partecipazioni citate, per farla breve. Detto ciò, «deconsolidare» non significa che Total si sia effettivamente liberata di questi asset. Così l'analista Ahmed Ben Salem: «Hanno cancellato dal loro bilancio tutto ciò che riguardava la loro esposizione in Russia, ma continuano a possedere questi asset». Così, invece, una fonte vicina al dossier: «È un modo per dimostrare agli azionisti che TotalEnergies non dipende dalla Russia. In altre parole, che la sua strategia non sarebbe compromessa se domani il Cremlino sequestrasse quegli asset o se dovesse venderli a prezzi stracciati».

TotalEnergies, dicevamo, aveva investito pesantemente in Russia. Complice, anche, la vicinanza fra l'ex amministratore delegato, Christophe de Margerie, con Vladimir Putin. Nel 2021, per dire, il 17% della produzione totale di idrocarburi in seno al gruppo proveniva dalla Russia. Fonti interne, ora, riferiscono che Total sarebbe letteralmente impossibilitato di vendere la sua quota in Novatek. Un portavoce del colosso francese, al riguardo, ha spiegato che una cessione di quote a uno dei principali azionisti di Novatek, ipotesi presa immediatamente in considerazione, è bloccata dal fatto che l'attore in questione è sotto sanzioni a causa dell'invasione russa dell'Ucraina. Stiamo parlando dell'amministratore delegato di Novatek stessa, l'oligarca Leonid Viktorovitch Mikhelson, vicinissimo al Cremlino e proprio per questo oggetto di misure occidentali. Non solo, se Total decidesse di vendere le sue quote – poniamo – a un gruppo cinese, gli altri azionisti di Novatek, fra cui lo stesso Mikhelson, farebbero scattare il diritto di prelazione come da contratto. Un'altra fonte, a tal proposito, ha spiegato: «È un vicolo cieco dal punto di vista legale».

Quanto alle altre partecipazioni, Total – anche qui – potrebbe vendere questi asset direttamente a Novatek, come aveva fatto nell'agosto del 2022 con il 49% di Terneftegaz, che gestisce un giacimento di gas a Termokarstovoye nella Russia centro-orientale. Ma questa non è la sua strategia. Ancora Ahmed Ben Salem: «Anche se potessero, non cederanno quote allo Stato russo per un euro simbolico. Sarebbe controproducente». Di fatto, anche Total sembrerebbe prigioniera delle strategie del Cremlino, un vero e proprio «piano d'arricchimento» messo in atto da Vladimir Putin per tamponare l'emorragia dovuta agli addii delle compagnie occidentali. Questa la posizione di un'ulteriore fonte: «Stiamo parlando di fabbriche che valgono miliardi di dollari, con attività che valgono miliardi di dollari. È una cosa ben diversa da Termokarstovoye, un piccolo progetto che serve il mercato locale». Cedere queste partecipazioni senza la giusta (e dovuta) compensazione finanziaria, di fatto, arricchirebbe ulteriormente gli investitori russi e, in ultima istanza, il Cremlino stesso. Il che, come aveva spiegato l'azienda nel marzo 2022, «equivarrebbe a invertire l'obiettivo delle sanzioni». Anche BP, d'altro canto, al momento è bloccata. Tant'è che a due anni dall'invasione rimane azionista di Rosneft.

Detto ciò, se è vero che major come Total non ricevono dividendi legati a queste partecipazioni, dato che i capitali non possono circolare liberamente a causa della guerra, è altrettanto vero che Total incassa denaro grazie alla vendita del GNL russo proveniente dall'impianto Yamal LNG. Il contratto a lungo termine per la consegna di 4 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto all'anno, infatti, non è mai stato messo in discussione dalla controparte russa. In realtà, i soldi arrivano perché l'impianto non è interessato al momento da alcuna sanzione commerciale da parte dell'Unione Europea. Anzi, come riferisce La Tribune sempre più quote di GNL prodotte in Siberia e inizialmente destinate all'Asia stanno «virando» verso il Vecchio Continente. I contratti, aveva spiegato due anni fa l'attuale amministratore delegato di Total, Patrick Pouyanné, vanno onorati finché il contesto internazionale lo consente. Tradotto: finché c'è modo di guadagnare, perché tirarsi fuori e arricchire il Cremlino?

In questo articolo: