Un po' di storia

Tra sanzioni e sorrisi: l'equilibrismo giapponese nei rapporti con Mosca

Le relazioni fra i due Paesi hanno, da secoli, vissuto fasi alterne — Al centro di dispute e accordi anche l'isola di Sakhalin, oggi importante luogo di estrazione petrolifera
Giacomo Butti
20.05.2022 06:00

Fare a meno della Russia, almeno a livello energetico, non è cosa facile. Lo sa bene l'Europa, costretta sin dall'inizio della guerra in Ucraina a prendere tempo e rimandare un passo che metterebbe il Cremlino in seria difficoltà. Rinunciare a una grossa fetta del proprio approvvigionamento è un fatto che va ponderato. Ma se oggi il salto europeo sembra più vicino (la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock si è detta fiduciosa sulla possibilità di trovare presto un'intesa), per altre nazioni staccarsi da Mosca è ancora un «no-go». È questo il caso del Giappone, che pur aderendo alle sanzioni internazionali, ha ribadito negli scorsi giorni di non avere alcuna intenzione di ritirarsi dal progetto energetico «Sakhalin», costruito insieme alla Russia. Una contraddizione? Il vice capo di gabinetto Seij Kihara, giura di no: «Non v'è alcuna contraddizione con la politica di sanzioni decise assieme al blocco occidentale», semplicemente «abbandonare il progetto renderebbe l'approvvigionamento di energia molto più costoso, e gli altri Paesi che hanno deciso di non imporre alcuna misura contro il Cremlino se ne avvantaggerebbero». Quasi a dire: «Le sanzioni le abbiamo seguite, ora lasciateci il nostro contentino, prima che a godere dei frutti del nostro lavoro sia qualche altro cattivone». Una visione molto pragmatica della politica che, tutto sommato, non stupisce: nei secoli le relazioni fra Tokyo e Mosca hanno seguito più spesso una mutevole logica di convenienza, piuttosto che una linea coerente di amicizia o inimicizia. E l'isola Sakhalin, quella al centro degli omonimi piani, è storicamente stata oggetto di grosse dispute.

La nascita dei rapporti e l'umiliazione degli zar

Prima del 1855 le relazioni diplomatiche fra i due imperi, quello russo e quello giapponese, erano pressoché nulle e riguardavano tutt'al più delle piccole dispute territoriali o l'accesso alle zone di pesca. Lo shogunato Tokugawa, che amministrava il Giappone, aveva imposto sin dal 17. secolo un forte isolazionismo. Nessuna forma di commercio con Paesi esteri (esclusi i Paesi Bassi) era permessa. Ma chiudere le porte al progresso era impossibile. Vedendo la Cina sconfitta dall'Occidente nelle Guerre dell'oppio, il Giappone realizzò che era arrivato il momento di spingere verso una modernizzazione. Anche per questo, dopo aver rifiutato per secoli l'apertura di nuove rotte commerciali, nella seconda metà del 19. secolo si dimostrò più disposto a intessere rapporti con l'esterno. Nel 1854 aprì così i propri porti alle navi statunitensi con la Convenzione di Kanagawa. Fra il 1855 e il 1858, grazie all'intervento dell'ammiraglio Yevfimy Putyatin e alla stesura di tre trattati, anche la Russia riuscì ad assicurarsi una nuova fetta di mercato.

Il controllo delle isole Curili è cambiato nel corso dei decenni: nel 1855 erano state divise fra Giappone e Russia. Nel 1875 sono passate sotto il pieno controllo del Giappone. Nel 1945, sul finire della Seconda guerra mondiale, la Russia le ha riconquistate arrivando fino a Hokkaido. / © Wikipedia
Il controllo delle isole Curili è cambiato nel corso dei decenni: nel 1855 erano state divise fra Giappone e Russia. Nel 1875 sono passate sotto il pieno controllo del Giappone. Nel 1945, sul finire della Seconda guerra mondiale, la Russia le ha riconquistate arrivando fino a Hokkaido. / © Wikipedia

Partita con l'idea di trarre reciproco profitto, l'amicizia fra i due imperi si incrinò ben presto. La Cina era militarmente debole e non era nelle condizioni di difendere i suoi grandi territori. Nel 1860, con la Convenzione di Pechino, la dinastia Qing cedette alla Russia vasti territori della Manciuria Esterna, sulla costa pacifica, permettendo allo zarato di espandersi a sud di Vladivostok. Zone sulle quali anche il Giappone aveva messo gli occhi. Nel 1875, con il Trattato di San Pietroburgo, il Giappone cedette alla Russia il controllo sull'isola Sakhalin in cambio dell'egemonia sulle Curili. Se fino ad allora potevano essere definiti «tesi», i rapporti fra i due Paesi deteriorarono nei decenni seguenti. Impegnato negli anni '90 del 1800 in una campagna d'espansione in Cina, il Giappone vide la Russia unirsi all'Occidente negli sforzi volti alla limitazione delle sue mire. Il Giappone fu costretto a cedere alla Cina la penisola di Liaodong e Port Arthur, territori che Pechino concesse poi alla Russia. Un voltafaccia che fece imbestialire il Giappone, spingendo le due potenze verso la guerra. Vista l'impossibilità di arrivare a un accordo sulle rispettive sfere d'influenza in Manciuria e Corea, nel 1904 la Marina giapponese aprì le ostilità attaccando a sorpresa la flotta russa a Port Arthur. Nel corso dei quasi due anni di conflitto, la Russia subì una serie di umiliazioni che ne intaccarono la credibilità internazionale. Nel settembre del 1905 le due scesero a patti. Il Giappone ottenne il controllo della penisola di Liaodong, rafforzando sempre più anche la propria presa sulla Manciuria Interna, regione ricca di risorse naturali. I rapporti tra i due Paesi si normalizzarono nel decennio seguente, benché la presenza a sud dei giapponesi rappresentasse sempre una minaccia, per la Russia, sul controllo della Manciuria Esterna. La Prima guerra mondiale, del resto, contribuì in qualche modo a rinsaldare l'alleanza di convenienza. Avendo stretto rapporti con la Gran Bretagna a inizio '900 (con l'obiettivo comune di limitare la potenza russa), il Giappone si schierò al suo fianco nel corso della Grande guerra, avendo conseguentemente dallo stesso lato anche gli zar.

L'isola Sakhalin e le relazioni con l'URSS

Dopo la presa di potere dei comunisti, e fino alla caduta dell'URSS, le relazioni fra i due Paesi furono tendenzialmente ostili. Durante la guerra civile russa il Giappone, come membro delle forze anti-comuniste alleate, occupò Vladivostok fra il 1918 e il 1922, spingendosi anche più a ovest, arrivando addirittura a mantenere il controllo di Čita (capoluogo della Trasnbajkalia, a nord della Mongolia) fino al 1920. Contemporaneamente, l'impero nipponico aveva preso il controllo di tutta l'isola Sakhalin, dove aveva immediatamente cominciato ad estrarre il petrolio, carbone e altre risorse di cui il territorio è ricco. Il 20 gennaio 1925, la svolta: con la Convenzione di base sovietico-giapponese, il Giappone riconobbe formalmente l'URSS. Con la propria firma, il Giappone accettò formalmente di ritirare le proprie truppe dalla metà settentrionale dell'isola contesa, sulla quale mantenne tuttavia una concessione per lo sfruttamento delle risorse. Ma una relativa stabilità sull'isola di Sakhalin non segnò la fine delle ostilità: negli anni seguenti i rapporti tra i due rimasero tesi. Nel 1936 il Giappone aveva siglato a Berlino un'alleanza con la Germania nazista: con il Patto anticomintern si impegnava a combattere la diffusione del comunismo, promettendo nel frattempo di opporsi militarmente all'URSS. Per questo, tra il 1938 e il 1939, sul continente si verificò una serie di conflitti fra Unione Sovietica e Giappone sfociati in una guerra di confine non dichiarata. Nel 1938 i giapponesi si scontrarono con le truppe sovietiche nella Battaglia del lago Khasan, non lontano da Vladivostok. Altre schermaglie si verificarono al confine con la Manciuria, fino ad arrivare nel 1939 alla battaglia di Khalkhin Gol (900 chilometri a nord-est di Pechino) che segnò la vittoria definitiva dell'URSS e dissuase il Giappone dal tentare nuove aggressioni durante la Seconda guerra mondiale. Benché facenti parte di alleanze opposte, i due Paesi mantennero infatti fino al 1945 una rispettiva neutralità. La guerra con il Giappone venne dichiarata ufficialmente dall'URSS l'8 agosto 1945 (due giorni dopo il bombardamento atomico di Hiroshima), quando l'Unione Sovietica invase la Manciuria. In una ventina di giorni, l'URSS prese il completo controllo dell'isola Sakhail, sbarcando poi sulle isole Curili e conquistandole una a una. Un'annessione che non fu mai riconosciuta dal Giappone e impedì, nel decennio seguente, la conclusione di un vero trattato di pace sovietico-giapponese: fu solo nell'ottobre del 1956 che l'Unione Sovietica e il Giappone firmarono una Dichiarazione congiunta che prevedeva il ripristino delle relazioni diplomatiche e la fine dello stato di guerra. Ma un vero trattato di pace doveva ancora essere firmato.

Il faro abbandonato di Aniva, posizionato a sud-est dell'isola Sakhalin. © Shutterstock
Il faro abbandonato di Aniva, posizionato a sud-est dell'isola Sakhalin. © Shutterstock

Nei decenni seguenti le relazioni fra i due Paesi furono caratterizzati da due tendenze. Da una parte la crescente volontà di instaurare rapporti economici: l'URSS necessitava di un partner che fornisse capitale, tecnologia e beni di consumo, mentre il Giappone aveva bisogno di materie prime e risorse naturali. La complementarietà di tali bisogni avvicinò molto i due, spingendoli ad importanti accordi commerciali. D'altra parte fra Mosca e Tokyo non sbocciò mai una vera amicizia: nonostante le frequenti visite diplomatiche, le due potenze non arrivarono mai a un accordo sulla gestione delle isole contese. Un fatto che impedì il raggiungimento di un accordo di pace. In piena Guerra fredda, il Giappone si schierò sempre più nel blocco statunitense: sollecitato da Washington, Tokyo si allineò all'Occidente nel sanzionare l'URSS per l'invasione del 1979 dell'Afghanistan. Vennero sospesi una serie di progetti in corso di negoziazione, così come l'esportazione di alcuni articoli high-tech e l'invio di prestiti per lo sviluppo della Siberia. Una contemporanea militarizzazione delle isole Curili da parte dell'URSS raffreddò ulteriormente i rapporti: a nulla servì l'avvento dell'era Gorbaciov, che non cambiò la sostanziale diffidenza fra Tokyo e Mosca.

L'importanza dei progetti Sakhalin-I e Sakhalin-II

L'isola di Sakhalin, dicevamo, è un territorio storicamente conteso dalle due parti. E sebbene l'attenzione giapponese si sia spostata dopo il 1945 soprattutto sulle isole Curili, non stupisce che oggi, a quasi trent'anni dalla nascita di due progetti congiunti di estrazione di risorse, il Giappone non voglia mollare la presa. Negli anni '90, con Boris Eltsin al potere, la leadership russa cominciò a concentrarsi sempre più sull'Est e fu proprio in questo periodo che nacquero Sakhalin-I e Sakhalin-II, due progetti per l'estrazione di petrolio e gas naturale. Entrambi, sviluppati tra il 1992 e il 1996, sono basati su un accordo di condivisione della produzione che vede due consorzi formati da multiple aziende internazionali. Tra queste, ovviamente, anche alcune giapponesi: Sakhalin Oil & Gas Development per Sakhalin-I, Mitsui e Mitsubishi per Sakhalin II. Il Giappone importa il 99% del suo petrolio e GNL (gas naturale liquefatto), e circa un decimo di questi viene dagli impianti russi. Insomma, non una percentuale stratosferica, ma nemmeno trascurabile.

L'impatto delle sanzioni riguardanti la guerra in Ucraina ha colpito anche l'isola e i due progetti: la statunitense Exxon Neftegas, che gestisce Sakhalin-I, ha annunciato in marzo di voler interrompere le operazioni e di rinunciare a futuri investimenti in Russia. Ma il Giappone ha deciso altrimenti. Nessun passo indietro, per ora, nel suo share (gestito dal governo), che rimane fisso al 30%. E parimenti hanno fatto, per Sakhalin-II, le aziende private Mitsui e Mitsubishi. Del resto, nel secondo impianto, circa il 60% delle 9,6 milioni di tonnellate di GNL prodotte annualmente sono destinate al Giappone.

In futuro le cose cambieranno? Ci vorrà del tempo. Intervistato dal quotidiano Japan Times, il politologo James Brown della Temple University di Tokyo ha affermato: «Sia Sakhalin-1 che Sakhalin-2 rappresentano contratti incredibilmente lucrativi per le imprese giapponesi. Se la guerra in Ucraina dovesse continuare, potremmo assistere a una situazione in cui le aziende giapponesi siano maggiormente disposte a cancellare progetti come Sakhalin-1 che, con il ritiro di altre compagnie e la mancanza di petroliere per il trasporto del petrolio, sta già creando parecchi problemi». Ma non va dimenticato un aspetto: «Sebbene il petrolio russo rappresenti una frazione relativamente piccola delle importazioni totali, il desiderio di evitare un'eccessiva dipendenza dalle forniture mediorientali lo ha reso estremamente prezioso. È impossibile prevedere quanto tempo ci vorrà al Giappone per eliminarlo gradualmente. Nemmeno il divieto di utilizzo del carbone russo è stato immediato, ed è comprensibile che questo processo richieda del tempo».

Insomma, l'isola di Sakhalin sembra destinata a vedere russi e giapponesi lavorare insieme ancora per un po'.

Una vista sull'impianto GNL (Gas naturale liquefatto) di Sakhalin-II. / © Shutterstock
Una vista sull'impianto GNL (Gas naturale liquefatto) di Sakhalin-II. / © Shutterstock
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