Il caso

Uber files fa tremare l’Eliseo (e non solo)

Continuano le rivelazioni della mega inchiesta firmata dal consorzio internazionale di giornalisti sull’azienda che ha rotto il monopolio dei taxi
Prisca Dindo
13.07.2022 06:00

Uber è finita nell’occhio del ciclone. La multinazionale che ha rivoluzionato il mondo della mobilità è al centro di «Uber files», una super inchiesta giornalistica che getta ombre inquietanti sul recente passato del colosso multinazionale americano.

Mail, Whatsapp, iMessage: nelle mani dei giornalisti sono finite più di centoventimila conversazioni riservate legate agli anni dell’ascesa dell’azienda californiana, tra il 2013 e il 2017.

Metodi spregiudicati

In quell’epoca, Uber non andava per il sottile. Secondo l’indagine giornalistica, per rompere il monopolio dei tassisti ed imporsi sui mercati internazionali, l’azienda utilizzava metodi a dir poco spregiudicati.

Da una parte operava nelle zone grigie delle leggi degli Stati, con tanto di programmi segreti per bloccare i computer aziendali durante le perquisizioni di polizia.

Dall’altra «oliava» i meccanismi del potere creando solidi legami con esponenti della politica internazionale. In cambio di cospicui finanziamenti per le campagne elettorali i politici dovevano chiudere un occhio sullo stile disinibito della start up statunitense.

«Siamo un’azienda fottutamente illegale», scriveva con un certo orgoglio nel 2014 Nairi Hourdajian, che all’epoca era il responsabile globale della comunicazione di Uber.

Macron nella bufera

I nomi che emergono dall’indagine giornalistica sono pesanti.

A partire da quello di Emmanuel Macron, che certo non si è pentito di avere «dato una mano» come ha dichiarato in questi giorni. In alcuni messaggi del 2014 l’attuale presidente francese (allora ministro dell’Economia) avrebbe promesso di cambiare le leggi per favorire gli interessi del colosso. Si parla di un «aiuto spettacolare».

Secondo il settimanale L’Espresso, in Italia Uber avrebbe utilizzato l’ambasciatore americano John Phillips per avvicinare l’allora premier Matteo Renzi, che dai manager della società veniva definito «un entusiastico sostenitore di Uber».

Ma i nomi eccellenti che escono  da «Uber Files» sono molti.

Relazioni pericolose

I tête-à-tête tra dirigenti Uber e rappresentanti del potere avvenivano spesso in occasione di eventi internazionali come il World economic forum a Davos.

I rapporti di amicizia con chi contava sarebbero stati ‘comprati’ con cospicui finanziamenti alle campagne elettorali.

In quattro anni Uber avrebbe speso almeno novanta i milioni di euro in campagne di lobbying per ingraziarsi i partiti politici e i governi.

La talpa

A svelare i segreti della multinazionale è stato Mark MacGann, chief policer di Uber tra il 2014 e il 2016. «Ero io la persona responsabile di parlare e influenzare i governi» ha dichiarato lo stesso Mark MacGann alle telecamere del Guardian, uno dei quotidiani che ha partecipato al lavoro d’indagine. «Ero sempre io a spingere una certa narrazione sui media. Sempre io dicevo alle persone di cambiare le regole perché avrebbero beneficiato i driver e avrebbero creato maggiori opportunità per l’economia. Tutto ciò si è dimostrato una bugia. Abbiamo venduto alle persone una bugia. Come si fa ad avere una coscienza pulita con un peso del genere?».

La presa di posizione di Uber

Commentando l’inchiesta, gli attuali vertici di Uber non si sono nascosti dietro un dito. Hanno ammesso che in passato sono stati commessi «errori e passi falsi», ma hanno pure chiarito che nel frattempo l’azienda si è trasformata.

In effetti i fatti al centro dell’inchiesta risalgono al periodo in cui Uber era gestita dal co-fondatore Travis Kalanick, costretto poi a dimettersi nel 2017 dagli azionisti proprio per le sue azioni spregiudicate.

 «Non creeremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali – ha dichiarato  l’attuale amministratore delegato, Dara Khosrowshahi – chiediamo invece al pubblico di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e da ciò che faremo negli anni a venire».

Gli autori dell’inchiesta

Gli Uber files sono stati pubblicati dall’International Consortium of Investigative Journalists, una rete internazionale indipendente composta da seicento giornalisti e centocinquanta testate in tutto il mondo.

Tra le indagini pubblicate finora dal consorzio, figurano i i Panama Papers, vincitori del premio Pulitzer e i più recenti Pandora Papers, tornati recentemente alla ribalta per gli affari offshore di Zelensky.

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