Omicron e gravidanza

Vaccini, «obblighi e informazioni poco chiare generano scarsi risultati»

Le donne in dolce attesa conservano ancora parecchi dubbi sugli effetti del preparato sul feto, da qui l’appello di una specialista in medicina materno-fetale ai colleghi: «Se vogliamo prestare un buon servizio come medici, dobbiamo investire in un processo di decodifica della paura e degli studi scientifici» – La maggior parte degli accessi al pronto soccorso sono per altre problematiche
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Valentina Coda
31.01.2022 16:00

«Non è con le imposizioni che si generano buoni risultati, il rischio è che si instauri un meccanismo di reazione peggiore dell’obbligo stesso. L’appello a vaccinarsi è sempre stato rivolto alla popolazione come un monito, questa volta è più opportuno indirizzarlo al mondo sanitario: investite tempo per aggiornarvi, scomponete le informazioni e rendetele accessibili alla popolazione, è l’unico modo per permettere la conoscenza. Chi non vuole vaccinarsi ha bisogno ancora più chiarezza».

Le parole di Stefania Triunfo, ginecologa specialista in medicina materno-fetale della Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano e operativa anche all’ospedale San Paolo di Milano, suonano come un cambio d’approccio nella metodologia comunicativa utilizzata finora per spingere i cittadini a vaccinarsi. O meglio, spingere le donne in gravidanza a sottoporsi al vaccino, perché è questo il target di cui si prende cura la specialista. E nonostante la recente nascita di Omicron, lo zoccolo duro delle future mamme che conserva ancora qualche dubbio sui possibili effetti del vaccino ai danni del feto necessita molta più chiarezza. Da qui, l’appello di Triunfo ai colleghi: «Se vogliamo rendere un buon servizio ai pazienti, ma prima di tutto prestare un buon servizio come medici, è qui che bisogna investire, in un processo di decodifica della paura con informazioni chiare e comprensibili. Se si abbatte questo muro l’adesione al piano vaccinale viene da sé».

È necessario investire in un processo di decodifica della paura con informazioni chiare e comprensibili

Di allarmi e pochi riscontri
Facciamo un po’ di chiarezza tra vaccinazione e variante Omicron. Prima di tutto, questa nuova mutazione niente ha a che vedere con la variante Delta che aveva spinto al rialzo i ricoveri delle gestanti non immunizzate con un rischio marcato di contrarre la polmonite. Un allarme, però, è stato lanciato settimana scorsa dal professor David Baud, medico di servizio all’ospedale universitario di Losanna (CHUV), che aveva evidenziato in alcuni casi un quadro infiammatorio a livello della placenta per cui sembrava che Omicron avesse un impatto maggiore rispetto alle altre mutazioni. Triunfo ci spiega che questo dato, però, deve essere confermato, in quanto «nell’esperienza lombarda questa infiammazione così importante non è stata ancora ravvisata». Per dover di cronaca, è bene precisare che finora neanche in Ticino «si sono riscontrati casi analoghi, anche se con Omicron non ci sono ancora molti dati a disposizione», come aveva riferito alla RSI il primario di ginecologia e ostetricia dell’EOC Andrea Papadia.

Positive, ma al pronto soccorso per altri problemi
Ancora pochi dati a disposizione. Già, perché essendo Omicron nata «solo» tre mesi fa (era il 26 novembre 2021 quando l’OMS l’ha definita come nuova variante, ndr), i tempi della produzione scientifica sono più lunghi. Secondo Triunfo potremmo avere dei dati robusti – come accaduto con le mutazioni precedenti – soltanto tra sei mesi, «quindi attualmente la conoscenza si basa sull’esperienza degli operatori sanitari al fronte. E la mia è sicuramente quella di una forma più contagiosa, ma con un impatto sulla gravità dell’infezione molto inferiore rispetto alle altre ondate».

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C’è però una distinzione molto importante da fare e tenere a mente: la quota maggiore di casi verificati – spiega – sono pazienti che accedono al pronto soccorso per una problematica ostetrica (contrazioni, movimento del bimbo, ecc.) e non per aver manifestato sintomi riconducibili alla COVID. Si viene a conoscenza della loro positività solo dopo aver eseguito un test antigienico come richiesto dal protocollo. In buona sostanza, sono future mamme asintomatiche che accedono al pronto soccorso per altri motivi. Inoltre, Triunfo sottolinea che questa fetta di popolazione si era già sottoposta alla somministrazione della terapia vaccinale (prima e seconda dose) ed era in attesa della terza.

Decodificare gli studi scientifici
Rendere più semplice il linguaggio tecnico decodificando gli studi scientifici. È questa la missione, secondo Triunfo, che dovrebbero portare avanti medici e operatori sanitari per avvicinare la popolazione al vaccino. Ormai lo sappiamo, se non si possiedono gli strumenti adatti per decodificare le statistiche e interpretare correttamente i numeri il risultato è un boom di timori e confusione. Questa confusione s’è cercato di assottigliarla all’ospedale San Paolo di Milano con degli open day e webinar per promuovere la vaccinazione in gravidanza. «In collaborazione con l’ospedale militare di Milano (che forniva il preparato) abbiamo messo in piedi incontri in presenza e via web dove venivano decodificati gli studi scientifici e i dati aggiornati con la possibilità di avere anche colloqui individuali. Dalle domande ricevute da parte dei partecipanti, ci siamo resi conto che diverse persone si basavano su informazioni lette su Facebook o Instagram». Questo approccio ha portato i suoi frutti: «L’adesione al vaccino è cresciuta e i livelli di ansia sono calati».

Ancora la chiave di volta
La nostra interlocutrice ribadisce che il vaccino non significa immunità, bensì minori probabilità di sviluppare forme gravi o addirittura arrivare al decesso. Sulla scia di questa constatazione «arrivano anche i dati sulla sicurezza dei vaccini mRNA in gravidanza che evidenziano come non sia più presente il rischio di parto pre-termine, così come l’aumento del rischio di aborto, mentre è cresciuta la tollerabilità del vaccino. Inoltre, l’RNA non entra in contatto con la placenta perché si degrada prima, al contrario degli anticorpi che penetrano e proteggono il feto. Il vero problema, come già detto da David Baud del CHUV, è il virus che potrebbe causare un quadro infiammatorio a livello placentare».

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