Il caso

Morti in Vaticano: «Cédric era un colpevole perfetto, ma ora vogliamo la verità»

Intervista all'avvocata romana Laura Sgrò, legale della madre del vice-caporale delle guardie pontificie accusato di aver ucciso, nel maggio 1998, il suo comandante Alois Estermann e la moglie di quest'ultimo, per poi suicidarsi subito dopo
Dario Campione
12.11.2022 06:00

Sangue in Vaticano (Rizzoli) è il titolo di un libro uscito da pochi giorni e scritto da Laura Sgrò, avvocata romana che intende far riaprire il caso del triplice omicidio avvenuto dentro le mura leonine il 4 maggio 1998. Su richiesta della madre di Cédric Tornay, il presunto assassino-suicida, Laura Sgrò ha riletto ogni documento dell’inchiesta, portando alla luce molte incongruenze sulle morti violente che scossero la Guardia svizzera.

Avvocata Sgrò, qual è la tesi del libro? Che cosa successe, veramente, la sera del 4 maggio 1998 dentro le mura leonine?
«Le indagini sono state fatte male e volutamente veicolate sulla colpevolezza di Cédric Tornay. L’unica cosa certa è che sono morte in modo violento tre persone e che neppure un’ora dopo il vicecaporale della Guardia svizzera era già indicato come colpevole».

Perché la ricostruzione ufficiale dei fatti non la convince? Quali sono gli elementi che, secondo lei, provano che non tutto andò come raccontato dalle autorità vaticane e che Cédric Tornay fosse semplicemente il colpevole perfetto di un’oscura vicenda?
«Parto da quanto mi ha raccontato Muguette Baudat, la madre di Cédric, una donna dura come la roccia e dolce come la cioccolata. Quella sera il prete del paese si recò a casa sua. Erano circa le 22:30. Lei rientrò circa mezz’ora dopo e le venne riferito l’accaduto. Quindi, prima di quell’ora qualcuno aveva chiamato questo sacerdote in Svizzera affinché le desse questa terribile notizia. Eppure dal fascicolo istruttorio si evince che i medici legali entrano sul luogo del crimine proprio alle 22:30. Ancora prima che questi cominciassero il loro lavoro, qualcuno si era già preso la briga di comunicare a Muguette che suo figlio era un assassino suicida».

Come si spiega la fretta con cui il portavoce del Papa, Joaquín Navarro-Valls, diede in pasto alla stampa la versione praticamente definitiva della tragedia?
«Navarro-Valls fece una conferenza stampa a pochissime ore dalla strage, quando erano stati fatti soltanto rilievi sommari e non erano state effettuate le autopsie né le perizie balistiche. Alcuni giornalisti mi hanno riferito che vi furono due correnti di pensiero in Vaticano su come gestire la vicenda: una era di procedere nel dare informazioni in modo graduale alla stampa e l’altra, che prevalse e faceva capo al portavoce del Papa, di cercare di chiudere tutto alla svelta, in modo da fermare le obiezioni già prima del nascere».

Gli altri eventi che riguardavano il Vaticano - attentato a Giovanni Paolo II, la sparizione di Emanuela Orlandi - erano stati delegati alle autorità italiane. Questa volta la vicenda andava gestita dall’interno

L’imperizia nell’inchiesta per omicidio fu dovuta all’inesperienza dei gendarmi, che in Vaticano si occupano certo raramente di fatti di sangue, o fu una scelta precisa? Che cosa potrebbe sostenere questa seconda ipotesi? E perché, come lei ha scritto nel reclamo al Consiglio dei Diritti Umani, «il Vaticano, che si era avvalso fino a quel momento, in virtù del Concordato, dell’ausilio della magistratura italiana (ad esempio nel caso dell’attentato al Papa nel 1981 o nel caso della sparizione di Emanuela Orlandi nel 1983) cui aveva integralmente delegato le indagini, in questo caso ha impedito l’accesso a chiunque fosse estraneo al Vaticano e ha gestito dall’interno la vicenda, presumibilmente senza averne né i mezzi né l’esperienza»?
«Gli altri eventi che riguardavano il Vaticano - attentato a Giovanni Paolo II, la sparizione di Emanuela Orlandi - erano stati delegati alle autorità italiane. Questa volta la vicenda andava gestita dall’interno. Mi piacerebbe sapere chi diede l’ordine di serrare il cancello e non volere l’aiuto che l’Italia avrebbe prestato in virtù del Concordato. Volendo ragionare in mala fede, l’intenzione fu subito di non fare uscire dalle mura leonine alcuna informazione. Gli ordini sono arrivati dall’alto. Nessuno si sarebbe preso la briga, in un caso così eclatante, di prendere decisioni senza avere il placet del Papa o quantomeno della Segreteria di Stato (all’epoca diretta dal cardinale Angelo Sodano, ndr). E nulla è accaduto, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, che sia stato detto o fatto prima di essere adeguatamente gradato. Si narra che alle guardie svizzere fu fatto prestare un giuramento di segretezza. Tutto il contrario di ciò che andrebbe fatto in una indagine seria alla ricerca della verità».

Nel libro si raccontano episodi inquietanti, ad esempio quello dell’autista che, non riuscendo a ritrovare la strada per il Vaticano, di fatto ritarda a dopo l’omicidio il ritorno dei genitori del comandante Estermann a casa del figlio. Ce ne sono altri?
«Ce ne sono diversi, ma la cosa che più mi ha colpito è che le autopsie furono disposte a pochissime ore dai fatti, con la massima urgenza, senza dare neppure il tempo ai familiari delle vittime di nominare difensori e partecipare alle attività peritali. Muguette Baudat arriverà a Roma dopo che le autopsie erano già state svolte e Navarro-Valls aveva attribuito la strage con “certezza morale” a Cédric. Dal fascicolo non risulta che siano stati informati neppure i familiari degli Estermann. Ma quale era questa massima urgenza? C’era già un colpevole, i locali erano stati posti sotto sequestro e nessun estraneo avrebbe avuto comunque accesso al quartiere. Questa fretta, a mio avviso, non era in alcun modo giustificata».

Chi era veramente Alois Estermann? E perché il Vaticano volle farne a tutti i costi un eroe?
«Per il Vaticano era una persona discreta, senza amici, senza macchie, che non custodiva informazioni riservate. Invece era un uomo di grandi relazioni, che tanto sapeva - altrimenti come avrebbe potuto proteggere il Santo Padre e il Palazzo Apostolico in quegli anni così complessi? - e che godeva di buoni uffici non soltanto tra gli alti prelati. Farne un eroe fu una necessità. L’alternativa era andare a scavare nella sua vita e il rischio, se non si è un angelo, è di trovare un diavolo. Le autorità vaticane non hanno mai seriamente indagato su di lui. Non è stata neppure ricostruita in modo adeguato la sua ultima giornata di vita, mentre delle ultime ore di Cédric viene praticamente riportato ogni momento fino all’ingresso nella palazzina ufficiali da dove non uscirà più vivo».

Mentre Navarro-Valls ha subito bollato queste notizie come false, i magistrati vaticani si sono limitati a chiedere ad alcune guardie, neppure a tutte, se il loro comandante fosse una spia

È credibile, come hanno scritto alcuni giornali tedeschi dopo l’omicidio, che in gioventù Alois Estermann fosse stato una spia della Stasi, la terribile polizia segreta della DDR?
«Quello che è certo è che gli inquirenti non hanno mai fatto indagini adeguate in tal senso. Mentre Navarro-Valls ha subito bollato queste notizie come false, i magistrati vaticani si sono limitati a chiedere ad alcune guardie, neppure a tutte, se il loro comandante fosse una spia. A me francamente non sarebbe bastato».

E come giudica l’affermazione dell’ex magistrato Ferdinando Imposimato, secondo il quale Estermann agì da «basista» per il rapimento di Emanuela Orlandi, avvenuto, secondo l’ipotesi formulata dallo stesso Imposimato, per ricattare papa Giovanni Paolo II e indurlo a mitigare le sue critiche ai regimi comunisti?
«Neppure in tal senso sono state compiute indagini. Non ho tuttavia elementi per rispondere. Di certo, Alois Estermann negli anni a seguire fece una fulminante carriera. Questo, però, avvenne in un contesto di divisione; Estermann non era gradito a tutti. Sarebbe stato interessante chiedere ai detrattori i motivi per cui non lo volevano a capo della Guardia».

Ha mai pensato di sentire personalmente i vecchi commilitoni di Cédric Tornay per ricostruire il clima dell’epoca?
«Sto provando a rintracciarli. Ma non avendo potuto trascrivere neppure l’anagrafica durante la consultazione del fascicolo, la ricerca è molto complessa. Ne approfitto per chiedere a chi ci fosse quella sera, in quei giorni, di mettersi in contatto con me. Avrei piacere di ascoltarli in tutta riservatezza».

Crede che papa Francesco possa riabilitare, in qualche modo, Cédric Tornay?
«È quello che mi auguro, per Cédric, per Muguette Baudat, per tutta la loro famiglia. Ho inviato il libro a Sua Santità con un biglietto personale, chiedendogli attenzione per questa storia. Lo stesso ho fatto con il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che è stato l’unico, in tanti anni, a rispondere, mio tramite, alla famiglia. Il collega Luc Brossollett, insieme a me in questa battaglia, ha provato a lungo ad aprire un dialogo, ma le sue lettere sono rimaste senza risposta. È arrivato il momento di riesaminare i fatti. Nel solo interesse della verità».

La sera del 4 maggio 1998, in Vaticano, muoiono uccisi a colpi di pistola il comandante della Guardia svizzera pontificia Alois Estermann, la moglie Gladys Meza Romero e il vicecaporale Cédric Tornay. L’indagine, affidata al magistrato vaticano Gianluigi Marrone, viene archiviata pochi mesi dopo come omicidio-suicidio. Secondo le autorità della Santa Sede, Tournay ha ucciso Estermann e la moglie Gladys in preda a un raptus causato dal rifiuto di una promozione, per poi suicidarsi. Ma la ricostruzione fornita dalle autorità è sempre stata contestata dalla madre del vicecaporale, Muguette Baudat. Una prima inchiesta giornalistica del 2008 ha svelato che il foro di uscita del proiettile dal cranio di Tornay misura soli 7 millimetri ed è quindi incompatibile con i proiettili della pistola d’ordinanza usata nel delitto, una SIG Sauer P220 che adopera proiettili 9 millimetri parabellum.