«Nonostante tutto, vogliamo dare un'altra possibilità»

«Abbiamo deciso, nonostante tutto, di concederle un’altra possibilità». Così il giudice Marco Villa ha stabilito che non tornerà in carcere il 56.enne del Sopraceneri comparso oggi davanti alla Corte delle Assise criminali. Nei suoi confronti è stata pronunciata una pena di 24 mesi interamente sospesa per un periodo di 5 anni a condizione che vengano rispettate determinate norme terapeutiche e di condotta. A carico dell’uomo pendevano diverse ipotesi di reato, tra cui complicità in infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, infrazione alla stessa e ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza o al soggiorno illegale. E questo per aver ospitato a casa propria e a più riprese alcuni cittadini stranieri dediti allo spaccio di importanti quantitativi di cocaina ed eroina nella regione e avere consumato lui stesso della droga.
Attenuanti di peso
Ad influire sul giudizio della Corte sono state due attenuanti «di peso». In primo luogo la scemata imputabilità, riconosciuta per via della tossicodipendenza di lunga durata alla quale è soggetto il 56.enne: «Le sue necessità influivano sul suo agire». In secondo luogo il sincero pentimento: «Bisogna riconoscere che la collaborazione fornita dall’imputato è andata ben oltre la normalità ed è grazie a lui che la Polizia è venuta a conoscenza di tutti i reati commessi. Non ha mai sottaciuto nulla e tutto ciò che ha detto era corretto». Inoltre, ha sottolineato ancora il presidente della Corte, «nelle sue condizioni fisiche e psicologiche il carcere non avrebbe nessun effetto positivo». L’uomo, oltre ad essere tossicodipendente, ha infatti diversi problemi di salute, soffre di una patologia psichica cronica ed è costretto su una sedia a rotelle a seguito di un incidente.
La parola alla difesa
Dopo la requisitoria del procuratore pubblico Luca Losa, nel pomeriggio in aula è stato il turno della difesa. «Il mio assistito non è uno spacciatore ma soltanto un consumatore che, per di più, vive in una situazione molto particolare essendo disabile. A causa delle sue fragilità si è trovato risucchiato in una spirale negativa», ha esordito l’avvocato Davide Fagetti nella sua arringa difensiva. «In una situazione come la sua il carcere non servirebbe a molto, lo confermano anche le perizie svolte dai medici che lo hanno avuto in cura». Anzi. «Servirebbe solo a peggiorare sia le sue condizioni fisiche che psichiche, aumentando tra l’altro anche il rischio di recidiva». Per queste ragioni, la difesa ha chiesto una pena complessiva di 24 mesi, di cui 6 da espiare e, in ogni caso, sospesi in favore di misure alternative, quali un trattamento ambulatoriale.
Doppia fragilità
«L’imputato non ha mai saputo quanta droga transitava per casa sua e non ha mai nemmeno avuto alcun ruolo nelle attività di spaccio», ha ancora sottolineato il patrocinatore. «Gli accordi con i ‘cavallini’ volevano che la droga non entrasse in casa sua, ma fosse sempre lasciata fuori». Non solo. Questi spacciatori hanno anche «approfittato» di una situazione di doppia fragilità del 56.enne: «Hanno fatto innanzitutto leva su un debito che il mio assistito aveva nei loro confronti e poi sulla sua tossicodipendenza, insieme alla patologia cronica psichiatrica di cui soffre, unita alla disabilità». Tutto questo quadro, a mente della difesa, ha messo l’uomo nella situazione «di non poter resistere a chi gli offriva droga». «Non ha quindi ospitato queste persone per aiutarle a spacciare ma assicurarsi il suo consumo e per ripagare il debito».
«Una vita difficile»
Nemmeno il passato dell’uomo è stato semplice, ha proseguito il patrocinatore dell’uomo. «Gli sono mancate fin dall’infanzia delle figure di riferimento. E insieme alle figure di riferimento sono mancate anche le regole e i conseguenti limiti». Non solo. Alle difficoltà si sono sommate nuove difficoltà: oltre alle sofferenze patite durante l’infanzia, sono arrivate le perdite degli impieghi e poi l’incidente che ha finito, dopo una lunga e dolorosa convalescenza, per renderlo disabile. «Il consumo di droga infatti è sempre stato concomitante ai momenti difficili vissuti, uno sfogo autolesivo per far fronte a un disagio personale». La droga – ha proseguito Fagetti – veniva usata impropriamente per lenire i dolori sia fisici che psichici: «Cocaina come antidepressivo ed eroina come antidolorifico perché i farmaci non bastavano». «Ma ad ogni caduta, il mio assistito si è sempre rialzato e ha sempre lottato per riprendere in mano la sua vita. È rimasto una persona positiva, non ha perso dignità, gentilezza e sorriso».
L’ultima parola
Come da prassi, l’imputato ha avuto diritto all’ultima parola davanti alla Corte. «Voglio ringraziare tutti coloro che si sono occupati di me. Sarei uno stupido se non cogliessi l’occasione buona che mi si presenta ora per dare un taglio al passato. Se non lo facessi, dopo sarebbe troppo tardi per avere rimpianti. Sapevo che la droga che usavo era solo un cerotto per sfuggire ai dolori e che sotto al cerotto la ferita rimaneva e peggiorava. L’occasione che mi viene data ora è la svolta finale e voglio fare del mio meglio».