«Ospitava spacciatori a casa sua», chiesti 36 mesi

«Sapeva che stava ospitando persone dedite allo spaccio di cocaina ed eroina a casa sua. In cambio queste persone gli cedevano delle dosi e lui, essendo tossicodipendente, accettava la situazione. Inoltre, la sua condizione di tossicodipendenza di lunga data gli provoca un’incapacità di astenersi dal consumo di tali sostanze e quindi dal delinquere per assicurarsene il consumo». È con queste parole che il procuratore pubblico Luca Losa ha motivato la richiesta di una pena detentiva di 36 mesi, di cui 18 da espiare e 18 sospesi condizionalmente per un periodo di prova di 5 anni (da dedursi la carcerazione già sofferta), nei confronti di un 56.enne del Sopraceneri comparso questa mattina davanti alla Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Marco Villa. Diverse le ipotesi di reato a carico dell’imputato. Tra queste complicità in infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, infrazione alla stessa e ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza o al soggiorno illegale.
La difesa, rappresentata dall'avvocato Davide Fagetti, parlerà nel pomeriggio.
Appoggio logistico
L’uomo, secondo l’accusa, ha ospitato in casa sua a più riprese diversi cittadini stranieri dediti allo spaccio di cocaina ed eroina nella regione. «Forniva loro un appoggio logistico da cui muoversi e un luogo dove confezionare, partendo da grossi quantitativi e usando i debiti strumenti di precisione, le dosi di droga da vendere», ha aggiunto ancora il pp. «Sapeva che quelle persone arrivavano nel nostro territorio e soggiornavano da lui unicamente con lo scopo di vendere droga. Erano quelli che in gergo vengono definiti ‘cavallini’. E i quantitativi di stupefacenti erano importanti, si parla anche di oltre un chilo di cocaina e di uno di eroina, più altre sostanze usate per tagliare la droga. Un quantitativo che poteva mettere in pericolo, direttamente o indirettamente, la vita di molte persone».
«Buona collaborazione»
Nonostante tutto, l’accusa ha comunque evidenziato una buona collaborazione da parte dell’imputato con le autorità fin dalle prime fasi dell’inchiesta. Collaborazione che ha permesso di definire meglio i contorni e i dettagli delle operazioni di spaccio di droga, «e di cui è stato tenuto conto nella commisurazione della pena», ha sottolineato Losa. «Oltretutto vanno considerati il difficile vissuto dell’imputato e il fatto che abbia compreso di aver sbagliato, così come ha compreso anche le conseguenze del traffico di stupefacenti sulla vita di chi consuma. Non siamo davanti ad una persona cattiva o meschina, ma piuttosto a una vittima delle sostanze di cui è dipendente».
«Pugnalato alle spalle»
«Mi hanno pugnalato alle spalle, pensavo di fare un favore alle persone che ospitavo in casa ma invece venivo sfruttato», ha ribadito l’imputato dal canto suo, incalzato dalle domande del giudice. «Mi hanno mentito e mi hanno usato. Ero ignaro delle quantità di droga che passavano per casa mia e non potevo neanche oppormi quando questi volevano entrare nella mia abitazione», ha spiegato il 56.enne che soffre di diversi problemi di salute e si muove su una sedia a rotelle.
«Con quel mondo ho chiuso»
«Il periodo di carcerazione che ho vissuto è stato un inferno», ha spiegato ancora l’imputato, che ha trascorso quattro mesi in detenzione prima di passare a misure sostitutive all’arresto. «Non voglio assolutamente tornare in galera», ha ribadito. Una motivazione per lasciarsi alle spalle il passato di consumatore di stupefacenti. «Non voglio più ricascare nei giri e nelle frequentazioni dello spaccio. Per me tornare in carcere sarebbe un grande senso di fallimento. Con quel mondo ho chiuso, non voglio buttare via il tempo che mi rimane».