Partenza falsa e meta incerta

Dopo l’assaggio inedito con una riunione della Commissione della gestione il 2 gennaio, da oggi la politica cantonale torna a pieno regime con il tavolo stracarico di dossier pesanti da affrontare. In primis il Preventivo 2024 e la manovra da 134 milioni di franchi. L’esame procede a rilento con il fronte politico diviso almeno in tre: chi si oppone in toto e punta tutto sulla mobilitazione indignata della piazza (una nuova manifestazione è agendata tra un paio di settimane). Chi vorrebbe trovare un compromesso capace di superare lo scoglio parlamentare e in grado di convincere gli elettori quando saranno maturi i tempi per la votazione popolare. Poi c’è chi in questa fase gioca su entrambi i tavoli e solo all’ultimo svelerà le sue reali intenzioni. Di fronte a tutto questo c’è solo la certezza che per lungo tempo si vivrà nell’incertezza, alla giornata, in balìa di venti e umori che potrebbero cambiare repentinamente. È insomma la garanzia del caos. La stessa che ci ha accompagnato negli ultimi mesi del 2023, quando si è concretizzato il sì parlamentare a quella che va considerata una «compensazione fiscale», senza la quale, l’aggiustamento del coefficiente d’imposta dal 97 al 100% si tradurrà in un aggravio pari a una quarantina di milioni di franchi. Sta di fatto che il referendum è lanciato e, verosimilmente a giugno, saremo chiamati a votare. Ma non sarà la sola prova di forza democratica, perché la manovra e alcuni suoi aspetti puntuali, saranno oggetto di una raccolta delle firme prima e delle urne poi.
L’immobilismo del 2022 e del 2023 (causa elezioni) mostra il salato conto dell’intasamento dei temi e ci propone un’abbuffata proprio dopo le Feste, quando sarebbe tempo per mettersi un po’ in riga per affrontare con rinnovato slancio l’anno appena iniziato. Ma all’orizzonte si scorge maggiormente la volontà di dare battaglia su tutto e smarcarsi da tutto e da tutti, piuttosto che costruire le cosiddette «convergenze nell’interesse del Paese». Una frase fatta, trita e ritrita, come tante altre che ormai non impressionano più, ma semmai generano un sentimento di disillusione e di arrendevolezza di fronte a ciò che a parole tutti vorrebbero dare l’impressione di modificare radicalmente. Ma che nei fatti rimane invece immutato e immutabile ormai da decenni.
Trovarsi ad inizio gennaio senza un preventivo approvato e con lo Stato costretto ad operare in regime di «gestione provvisoria». Ciò significa, concretamente, che le nuove spese e i nuovi oneri previsti dal Governo per quest’anno resteranno bloccati finché il Preventivo 2024 sarà approvato dal Parlamento. Nel frattempo, l’Esecutivo, per le spese già in essere potrà agire «pro rata temporis» in funzione del budget dell’anno precedente. Detto in altri termini, è come se si operasse sulla base del preventivo dell’anno precedente. Resta poi da chiedersi quando la situazione si sbloccherà e quando si potrà agire all’insegna della «normalità», non tanto nell’interesse di alcune categorie specifiche, ma dell’intero sistema-Paese, che non merita di restare ostaggio di mosse, contromosse, e soprattutto degli umori altalenanti e fondamentalmente destabilizzanti di una politica dalla quale si dovrebbe pretendere ben altro che l’attuale impasse. Senza troppi giri di parole va riconosciuto, senza drammatizzare, ma con assoluta chiarezza, che ci troviamo di fronte a una partenza falsa che pone subito profondi e seri interrogativi sul Ticino di domani (nel senso stretto del termine). Ma a generare ulteriori dubbi è l’incertezza sulla rotta, la meta tremendamente vaga. Sarebbe davvero drammatico se nel 2024 fossimo ancora all’a-b-c della politica e della società, a porci domande esistenziali, della serie «chi siamo? dove andiamo? cosa facciamo?».