Festa

Perché l'8 marzo è la Giornata internazionale della donna

Le origini, la leggenda e le rivendicazioni – Solo nel 1977 le Nazioni Unite chiesero a tutti i paesi del mondo di introdurre una «United Nations Day for Women’s Rights and International Peace»
© KEYSTONE (EPA/TERESA SUAREZ)
Red. Online
08.03.2023 09:29

Non (solo) mimose. L'8 marzo si celebra la lotta per i diritti delle donne, in particolare per la loro emancipazione, portando l'attenzione su questioni come l'uguaglianza di genere, i diritti riproduttivi e la violenza e gli abusi perpetrati contro il genere femminile (ecco perché viene associata alla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che cade il 25 novembre). Ecco perché si celebra la Giornata internazionale della donna, erroneamente definita «Festa della donna». Ma qual è la sua origine?

Le origini

La Giornata viene celebrata negli Stati Uniti d'America a partire dal 1909, in Europa (non in tutti i paesi) dal 1911. Il VII Congresso della II Internazionale socialista si tenne a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907; vi parteciparono 884 delegati di 25 nazioni. Due giorni dopo, dal 26 al 27 agosto, fu tenuta una Conferenza internazionale delle donne socialiste, alla presenza di 58 delegate di 13 paesi. Il 3 maggio 1908, la conferenza tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago nel Garrick Theater, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman's Day», il giorno della donna. Si discusse dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne. Quell'iniziativa non ebbe un seguito immediato, ma alla fine dell'anno il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali di riservare l'ultima domenica di febbraio 1909 all'organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile. Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 23 febbraio 1909.[10] Verso la fine dell'anno, il 22 novembre, a New York incominciò un grande sciopero di ventimila camiciaie, che durò fino al 15 febbraio 1910.[11] La successiva domenica 27 febbraio, alla Carnegie Hall, tremila donne celebrarono ancora il «Woman's Day». Le delegate socialiste americane, forti dell'ormai consolidata manifestazione della giornata della donna, proposero alla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nella Folkets Hus di Copenaghen dal 26 al 27 agosto 1910, di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne. Mentre negli Stati Uniti continuò a tenersi l'ultima domenica di febbraio, in alcuni paesi europei – Germania, Austria, Svizzera e Danimarca – la giornata della donna si tenne per la prima volta domenica 19 marzo 1911 su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste. Quella data fu scelta perché, in Germania, il 19 marzo 1848, durante la rivoluzione, il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria. Tra le molte promesse che fece allora (e che in seguito dimenticò), figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne».

L’8 marzo fu stabilito come ricorrenza definitiva soltanto nel 1921, dalla Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste per onorare il ruolo delle donne durante la Rivoluzione, precisamente durante quella Rivoluzione di Febbraio che fu lo sciopero delle operaie e delle soldatesse a San Pietroburgo del 23 febbraio 1917 (per chiedere il ritorno degli uomini dalla guerra e pane) secondo il calendario giuliano che corrisponde appunto all’8 marzo del gregoriano. Le Nazioni Unite ricordarono questa data per la prima volta nel 1975, e due anni dopo chiesero a tutti i paesi del mondo di introdurre una «United Nations Day for Women’s Rights and International Peace». Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.

La leggenda

Ma c'è anche una «leggenda» che fa riferimento all'8 marzo. Leggenda, perché non c'è traccia storica dell'evento, un fatto drammatico: l'8 marzo del 1908 o 1910, in un incendio in una fabbrica di New York si narra che morirono molte operaie. Ma è probabile che si faccia confusione con quanto accaduto il 25 marzo 1911, negli stabilimenti della Triangle Shirtwaist Factory di New York, che prese fuoco mentre più di cento lavoratrici, soprattutto immigrate, vi erano state rinchiuse per impedirne uno sciopero.

Oggi il significato centrale di questa data non è più incentrato sul diritto di voto per le donne, ma si combatte per le pari opportunità nel mondo del lavoro, e contro la violenza nei confronti delle donne.

Il simbolo della mimosa fu introdotto nella vicina Italia, nel 1946. Con la fine della guerra, l'8 marzo fu celebrato in tutta l'Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, secondo un'idea di Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei, fiore scelto perché povero e reperibile ovunque.

Il viola

Il colore ufficiale della Giornata Internazionale della Donna è, tra gli altri, il viola. Colore che rappresenta la dignità e la giustizia sociale per le donne. E proprio il viola è stato utilizzato oggi dal collettivo femminista Io l’8 Ogni Giorno che, «tornando in alcuni luoghi purtroppo simbolici» in Ticino, «vuole ricordare l’importanza e l’urgenza di saper vedere, ascoltare e capire il fenomeno enorme e strutturale delle violenze maschili sulle donne». La Svizzera, in occasione dell'8 marzo, viene definita «Il paese degli struzzi»: «Chi prova a parlare e a denunciare molto spesso non viene creduta e deve confrontarsi con un percorso molto difficile e umiliante, nel quale il coraggio di raccontare porta a una rimessa in discussione della testimonianza, con l’obiettivo di trasformare le vittime in colpevoli. Quando finalmente le donne trovano il coraggio e la forza di parlare, quando gli episodi vengono a galla magari dopo molti anni chi ha parlato viene accusata di non averlo fatto per tempo o di non averlo fatto abbastanza chiaramente. Le vittime quindi non solo hanno dovuto subire abusi e molestie, ma devono anche sentirsi colpevolizzate per non aver parlato subito – scrive il collettivo –. La responsabilità però non è delle vittime, piuttosto è di chi vede ma fa finta di non vedere, di chi non mette in atto tutti gli strumenti necessari per permettere alle donne di essere protette e di poter parlare sapendo di trovare l’ascolto e la protezione necessarie. Di chi non si schiera apertamente contro violenti e molestatori, ma cerca mille giustificazioni per difendere l’indifendibile. Solo togliendo la testa dalla sabbia una volta per tutte e ascoltando la voce di noi donne e le nostre rivendicazioni, sarà possibile creare le condizioni necessarie per prevenire queste violenze e per proteggere le vittime e rendere loro giustizia».

Il governo ticinese ha presentato lo scorso autunno un aggiornamento del suo «piano d’azione» contro la violenza. Ma per il collettivo femminista si tratta di «timide misure, che non vanno certamente a modificare la realtà delle cose». Ecco quindi, che ancora una volta, Io l'8 ogni giorno torna nuovamente a chiedere: l’attivazione di un numero unico d’emergenza cantonale attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7 gestito da personale professionista preferibilmente femminile; la creazione di sportelli e centri antiviolenza in tutti i più grandi comuni del Cantone e la possibilità di chiedere aiuto in farmacie, centri commerciali e online; l’attivazione di un «Codice rosa» nei pronto soccorso per le donne che arrivano in ospedale dopo una violenza; la creazione di un reddito di emergenza immediato per le donne che vogliono uscire da una situazione di violenza domestica; l’attivazione di una vasta e capillare campagna di informazione e prevenzione su tutto il territorio cantonale.

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