«Piango di rabbia: sono io la persona tradita»

L’imputato picchia i pugni sul banco. Una volta, due, tre, sempre più forte. In una mano stringe un rosario bianco. «Credo di essere una persona onesta e leale» dice prima che il giudice chiuda il processo. «E forse vi sembrerò sprezzante, ma la sentenza, anche se potrebbe devastarmi, non cambierà niente di quello che sono». Sapremo il 4 giugno, se il cinquantatreenne italiano sarà ritenuto colpevole di aver sottratto indebitamente allo zio beni per settanta milioni di euro e se per questo, come chiesto dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, sarà condannato a una pena detentiva sospesa solo in parte. Il suo ultimo intervento in aula è una vera e propria arringa. Strumento che conosce bene, visto che è un avvocato penalista. Proprio il rischio di non poter più esercitare, è ciò che lo spaventa maggiormente. «Questa professione mi definisce: non voglio lasciarla». Piange. «Sono lacrime di rabbia e delusione. Sono io la persona tradita qui: ho cercato di portare la mia famiglia di origine fuori dallo schifo in cui era, ma ho perso, perché quella testa matta di mio zio ha deciso di far saltare il nostro accordo». Il nipote assicura che il patrimonio datogli in gestione dallo zio gli sia poi stato donato, mentre la presunta vittima, oggi novantaduenne, dice che gli è stato tolto. «Sono un cretino - aggiunge il cinquantatreenne - perché mi sono messo in una situazione del genere. E ora, mia moglie e i miei figli assistono a questa tragedia».
Il suo legale, l’avvocato Davide Ceroni, aveva in precedenza fatto leva sui guai giudiziari a cui era andato incontro in passato lo zio, «che le autorità italiane hanno descritto come una persona di pessima caratura morale e civile», e poi ha sostenuto come le sue versioni cambino «a dipendenza delle esigenze, inventando accuse e strumentalizzando le persone». «La verità – ha aggiunto Ceroni – è che lui ha donato tutto. Lo ha detto lui stesso, e tutti i professionisti ticinesi che hanno lavorato con la sua famiglia ricordano questa sua volontà». Uno di loro è l’altro imputato, seppur assente al processo. Per lui, l’avvocato Emanuele Stauffer ha chiesto il proscioglimento. Lo stesso ha fatto Ceroni per il cinquantatreenne. «Non aveva la necessità di rubare nulla: è già ricco. Infatti il patrimonio dello zio non solo è rimasto dov’era, ma è cresciuto grazie a beni personali immessi dal mio cliente. Che ha semplicemente regolarizzato il tutto fiscalmente, continuando poi a lavorare come un matto».
Storia intrigante e triste allo stesso tempo, quella rievocata in aula a Lugano. Un intreccio di soldi e sentimenti. Un uomo contro quello che era per lui era come un figlio, un altro contro quello che per lui era come un padre. Entrambi hanno sofferto ed esposto pubblicamente le loro debolezze, a tratti arrendendosi alle lacrime. Come ha sintetizzato l’avvocato Stauffer citando un suo collega comasco, «i processi sono merda e sangue».