Il commento

Più libertà ai negozi, più fiducia per tutti

Si tratta di una buona notizia per chi opera nel complicato settore, ma soprattutto una conquista per l’intera cittadinanza e chi sceglie il Ticino come meta turistica – Oggi chi fa commercio ha ottenuto una maggiore libertà che andrà ponderata con intelligenza
Gianni Righinetti
18.06.2023 17:01

I ticinesi, come era già accaduto nel 2016, hanno detto sì ad allargare le maglie della libertà per chi fa commercio. Si tratta di una buona notizia per chi opera nel complicato settore, ma soprattutto una conquista per l’intera cittadinanza e chi sceglie il Ticino come meta turistica. La luce verde arrivata dall’esercizio democratico delle urne legittima in maniera chiara quella misura inizialmente avanzata con un’iniziativa parlamentare del PLR presentata quando noi tutti ci apprestavamo ad uscire dal tunnel della pandemia. E il sì emerso permette di portare rinnovata apertura in un settore che ha bisogno di fiducia, non di stringenti corsetti e datati, quanto retrogradi, dogmi.

Così si passa da tre a quattro domeniche all’anno (in linea con quanto prevede la Legge federale), viene concessa un’ora in più la sera per un pugno di giorni e la manica si fa un poco più larga in materia di deroghe nelle località turistiche con l’estensione da 200 a 400 mq per quanto attiene gli spazi utili alla vendita.

L’infinito tormentone ha fatto così registrare un sì di vera e autentica apertura mentale, anche se il fronte che ha combattuto il cambiamento grazie al democratico referendum e ha poi tentato con un martellante disfattismo di fare credere che votare sì era un comportamento immorale (per la portata domenicale della votazione) e pure tendente a una sfrenata e selvaggia liberalizzazione. Un concetto che aveva fatto presa nel lontano 1999 quando il 53% dei votanti si era opposto alla proposta di rendere più liberi e indipendenti i piccoli negozi rispetto all’originaria e già allora anacronistica legge datata 1968. Ma all’epoca non erano tanto i negozi ad essere combattuti, bensì la linea politica innovativa che aveva portato l’allora consigliera di Stato liberale radicale Marina Masoni. Di acqua sotto i ponti poi ne è passata parecchia prima della chiave di volta per una realtà tenuta in ostaggio da giochi politici, sindacali e di potere in genere. Il 2016, con la cosiddetta «riformetta della mezz’ora in più per la spesa» (estensione delle aperture in settimana sino alle 19 e il sabato sino alle 18.30) che con un sì nella misura del 59,2% ha verosimilmente permesso a tutti di aprire gli occhi e lasciarsi alle spalle quel passato che, ed è storia recente, i puri e duri non vogliono realisticamente vedere tramontare. Il Ticino pare aver voltato finalmente pagina, ma la guardia nei confronti chi osserva la nostra realtà dallo specchietto retrovisore non andrà mai abbassata.

Oggi chi fa commercio ha ottenuto una maggiore libertà che andrà ponderata con intelligenza, considerando certamente gli introiti che l’estensione delle aperture potranno generare, ma facendo proprio anche il coraggio di osare perché non è detto che si possa ottenere tutto e subito da parte della cittadinanza: si tratta di un investimento per un futuro più florido per tutti. Anche per i dipendenti che sono una variabile essenziale del nostro commercio. In questo senso è fortemente auspicabile che le regole del gioco siano chiare per tutti e per fare in modo che sia davvero così occorre un partenariato sociale forte e realistico, forte anche di un Contratto collettivo di lavoro che appare imprescindibile.

Infine occorre essere realisti, il turismo della spesa e degli acquisti non risponde unicamente all’estensione delle aperture e degli orari, ma è di carattere socio-economico e non sarà questa modifica a debellarlo. D’altronde quando si dice che si vuole maggiore libertà, e noi plaudiamo a questa via, non si può pretendere che la stessa sia unidirezionale, altrimenti non sarebbe più vera libertà.

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