Polizia cantonale, Dadò replica a Zali: «L’audit è prematuro? No, è tardivo»

Prima il sondaggio dei sindacati anticipato giovedì dal CdT; poi la mozione di Fiorenzo Dadò e Natalia Ferrara in cui si chiede un audit esterno; quindi, la replica del consigliere di Stato Claudio Zali alla Domenica. E, infine – oggi, ancora su queste colonne – i «puntini sulle ì» del presidente del Centro, con l’obiettivo di inquadrare un tema che – a suo dire – è pendente già da alcuni anni: «Le avvisaglie del malessere all’interno della Polizia cantonale, sotto la gestione Gobbi, erano emerse da diverso tempo», premette Fiorenzo Dadò.
«È evidente che nel Corpo qualcosa non funziona». In passato, ricorda il presidente del Centro, anche altri sondaggi – quello della VPOD nel 2019 e dell’OCST nel 2022 – avevano già fatto emergere segnali di disagio. Il malessere, dunque, precede di anni l’ultima indagine: «Dato che nessuno ha fatto nulla, la mozione sull’audit, firmata con la collega Natalia Ferrara, è arrivata fin troppo tardi», chiosa Dadò. Detto altrimenti: «Il sondaggio non è il pretesto per chiedere l’audit, ma semmai la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Una posizione, quella di Dadò, che indirettamente risponde alle critiche mosse dal consigliere di Stato Claudio Zali, secondo cui «la mozione è prematura e inopportuna» in quanto spetterebbe al Governo analizzare i risultati del sondaggio, discuterli con le parti interessate, valutare eventuali correttivi, prima di chiedere – eventualmente – un audit. Di qui, la stoccata nei confronti dei due deputati, rei secondo Zali di aver «violato la separazione dei poteri». Il Legislativo, insomma, non dovrebbe interferire con le competenze dell’Esecutivo, tanto più che, secondo Zali, «la Polizia è un corpo sano, funziona bene, i cittadini non devono preoccuparsi perché la sicurezza è garantita».
Certo, come in ogni struttura possono esserci dei problemi, «ma non si sentiva alcuna necessità che questi due parlamentari bruciassero i tempi chiedendo un audit esterno sulla base dei risultati di un sondaggio che io non ho ancora ricevuto sul tavolo e che probabilmente nemmeno loro hanno letto». Segue, quindi, l’affondo sul «metodo schizofrenico» impiegato dai due deputati, spinti da un atteggiamento motivato dalla ricerca di visibilità politica: «Il problema è che taluni membri del nostro Legislativo stanno male se non leggono il loro nome sul giornale ogni tre giorni». Il tutto con un interrogativo finale. Gli esponenti dei due partiti di Governo, si chiede Zali, chi rappresentano realmente con le loro prese di posizione? «È legittimo chiedersi - dice - se stiano parlando per loro stessi o anche per i loro partiti».
«Io mai smentito»
Parole e accuse che Fiorenzo Dadò rispedisce al mittente, una per una, a cominciare dall’ultima: «Noi certamente rappresentiamo i nostri partiti più di quanto lui rappresenti la Lega. Zali è l’anti-Lega per antonomasia, agli antipodi dei principi di Giuliano Bignasca, e i risultati elettorali del suo movimento si sono visti».
Per il resto – prosegue Dadò – è il senso di responsabilità a guidare un’azione politica che non può più aspettare: «Di fronte a percentuali così alte di agenti che esprimono malessere e alla totale mancata reazione del Governo in questi anni, la politica deve esercitare il proprio ruolo di alta vigilanza». Ed è proprio in questa funzione che, secondo Dadò, va individuata la motivazione del suo intervento insieme alla collega Ferrara: «L’alta vigilanza spetta al Legislativo, e non all’Esecutivo. Semmai è Zali che dovrebbe ripassare l’ABC della civica». Altro che violazione della separazione dei poteri. «Ora, il Consiglio di Stato - prosegue - ha un po’ di mesi di tempo per rispondere alla mozione; dopodiché la Commissione valuterà, e il Gran Consiglio deciderà se sia opportuno o meno richiedere un audit alla luce di quanto di preoccupante emerso negli ultimi anni e confermato dal recente sondaggio».
Il bue e l’asino
Detto dei contenuti, Dadò non le manda a dire neppure sulla forma. Sì, perché i modi quantomeno diretti del consigliere di Stato non sono piaciuti al presidente del Centro: «Zali è il classico caso del bue che dà del cornuto all’asino. Prima di dare lezioni di civica sulla separazione dei poteri, dovrebbe ricordare quanto fatto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, quando ha tolto la scena ai magistrati per inscenare il suo comizio elettorale annunciando con la consueta tracotanza di fronte al Terzo potere dello Stato l’arrocco dipartimentale senza neppure averlo convenuto con il Consiglio di Stato». Non solo. «Zali non si smentisce mai: invece di confrontarsi sugli argomenti, sceglie la via della denigrazione personale, puntando il dito contro due deputati che fanno semplicemente il loro dovere chiedendo una fotografia sullo stato di salute della Polizia». L’ultima risale al 2006- 2008, ed è stata condotta da Laurent Krügel, ex comandante della Polizia di Neuchâtel. «Da allora non è stata più compiuta nessuna verifica esterna, nonostante le ricorrenti segnalazioni sindacali e politiche sui problemi strutturali e gestionali», rileva ancora Dadò che aggiunge: «La mozione è corredata da una lunga serie di dati. Altro che approccio schizofrenico». Ciononostante, «Zali preferisce attaccare le persone con la sua solita modalità da primo della classe. Forse dovrebbe chiedersi una volta perché litiga con tutti e la maggior parte dei progetti di cui è responsabile finisce per arenarsi. Con questo modo di fare non andrà lontano e farebbe bene ad imparare dal collega consigliere di Stato Norman Gobbi, con cui condivide la gestione del dossier, il quale ha dichiarato di essere disponibile a collaborare con tutte le parti per trovare una soluzione».
In che modo, facciamo però notare, la precedente gestione dipartimentale, sotto la conduzione di Norman Gobbi, dovrebbe aver influito sulle tensioni interne e sulla motivazione degli agenti? «Da anni, nella Polizia, si investe molto, ma forse non nei reparti che ne avrebbero più bisogno. Il Corpo ticinese, in rapporto alla popolazione, è uno dei più grandi della Svizzera, ma le risorse sono state concentrate negli uffici e nei vertici, non su chi lavora sul terreno. Ed è proprio lì che oggi si avverte la maggiore frustrazione», sintetizza il presidente del Centro. Che aggiunge: «Un audit è semplicemente un modo per capire come e dove si può migliorare proponendo correttivi, non per puntare il dito contro qualcuno come fa Zali». E sulla necessità che sia indipendente, Dadò è chiaro: «Visto il clima e le tensioni interne e certi retroscena è giusto passare da un audit affidato, tramite concorso pubblico, a un ente esterno con comprovata esperienza legale, amministrativa e HR».