Pompiere si finge poliziotto: condannato

La tanto abusata frase di Machiavelli «il fine giustifica i mezzi» stavolta non calza propriamente a pennello. È stato condannato il dipendente di un Comune del Bellinzonese, pompiere volontario, comparso oggi in Pretura penale per rispondere del reato di usurpazione di funzioni. Secondo la presidente Elettra Orsetta Bernasconi Matti la fattispecie sussiste, come sostenuto dal procuratore generale Andrea Pagani (assente giustificato in aula). All’uomo è stata inflitta una pena pecuniaria, sospesa per due anni, di 20 aliquote giornaliere da 170 franchi ciascuna. Era stato denunciato da una donna per esercizio di una pubblica funzione per un fine illecito. In pratica, in seguito ad un battibecco, si era fatto consegnare la carta d’identità dopo essersi identificato come agente di Polizia, mostrando dapprima un lampeggiante blu ed in seguito pure un tesserino. Non è affatto escluso che il diretto interessato inoltri ricorso alla Corte di appello e di revisione penale contro la sentenza, dato che si è sempre professato innocente.
Versioni discordanti
Prima di proseguire occorre constestualizzare la vicenda. La fattispecie è avvenuta sul piazzale del domicilio dell’uomo, su suolo privato, con la moglie come unica testimone. I coniugi e gli altri inquilini della palazzina sospettavano che nel complesso ci fosse uno spaccio di droga come, alcuni mesi dopo, avrebbero effettivamente accertato gli inquirenti. Ecco perché, quando una sera d’inverno l’imputato ha visto una donna che non conosceva all’esterno dell’autorimessa, le ha chiesto cosa ci facesse lì. Quest’ultima gli aveva risposto in malo modo e, in replica, l’accusato le disse che «o si giustificava con me o avrebbe dovuto farlo davanti alla Polizia. Nutrivo infatti dei sospetti nei suoi confronti. Tanto più che qualche settimana prima c’era pure stato un furto, nel palazzo. Eravamo tutti preoccupati per questa situazione». L’uomo, in seguito, le ha dunque chiesto di mostrargli un documento d’identità e lo aveva fotografato con il telefono cellulare «per spaventarla». La donna ha acconsentito in quanto - come ha ricordato lei stessa in aula - «non avevo nulla da nascondere. Non lo avrei però fatto se lui non si fosse presentato come un poliziotto e non mi avesse fatto vedere sia il lampeggiante sia, soprattutto, il tesserino. Me l’ha messo sotto gli occhi in modo talmente veloce che non ho nemmeno avuto il tempo di leggerlo... Con il suo atteggiamento prepotente ed arrogante mi ha turbata. Ero sotto choc».
Le segnalazioni agli inquirenti
Sta di fatto che l’accusato ha davvero avvisato la Polizia comunale di Bellinzona e, parallelamente, chiesto ad un altro inquilino di scendere ed aspettare l’arrivo della pattuglia. «Ripeto: ogni volta che vedevamo qualcosa di strano lo segnalavamo agli inquirenti. Fino a quella sera avevano effettuato solo dei sopralluoghi. Da un anno e mezzo c’erano dei movimenti dubbi, anche la sera, che non ci lasciavano tranquilli», ha puntualizzato l’imputato. Per il quale il suo patrocinatore - l’avvocato Andrea Bersani - si era battuto per il proscioglimento. Dopo aver ribadito «la comprensibile preoccupazione del mio assistito, di sua moglie e degli altri inquilini per quello che capitava nel condominio», ha posto l’attenzione su due punti a suo dire decisivi. Il primo è che «in questo procedimento di prove tali che si possa concludere che l’accusato si sia presentato come agente di Polizia non ne ho viste. L’onere di portarle spettava alla Procura, ma non l’ha fatto». Secondariamente, ha sottolineato Bersani, c’è un aspetto di diritto rilevante: «Quale sarebbe stato il ‘fine illecito’ del mio cliente? Il fine era soltanto quello di capire chi era quella persona che si trovava su una proprietà privata alla luce della presunta situazione di spaccio già nota a chi di dovere. Non si è mai qualificato come poliziotto. Ma, anche se l’avesse fatto, non avrebbe comunque commesso un illecito perché, appunto, temeva che ci fosse un traffico di stupefacenti nella palazzina».
Bastava la targa
Secondo la giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti il controllo di un documento d’identità è prerogativa della Polizia; un cittadino «non può arrogarsi l’esercizio di una pubblica funzione, al massimo può aiutare le forze dell’ordine. Nel caso in questione avrebbe anche potuto, semplicemente, segnalare il numero di targa dell’automobile». Di fronte a due versioni discordanti, è stata ritenuta più «lineare» quella dell’accusatrice privata che «non riteneva giustificata l’inquisizione nei suoi confronti». Il racconto dell’imputato «non è stato costante e all’inizio ha inoltre mentito». Ed il «fine illecito»? Segnalare un presunto traffico di droga è ovviamente lecito, ma non consente di utilizzare ogni mezzo per raggiungerlo: «Non c’era un’urgenza. Avrebbe anche potuto aspettare l’intervento della Polizia. Non facendolo ha leso la sfera giuridicamente protetta della donna».