Il commento

Pressione fiscale, se il faro resta acceso

La Svizzera è tra i Paesi che hanno ridotto la pressione fiscale nel 2022, con un 27,2% che è sotto il 28,5% del 2021 e anche del 28% del 2020
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
09.12.2023 06:00

La buona notizia è che la pressione fiscale è leggermente diminuita in molti Paesi. La cattiva notizia è che nel complesso non si è tornati ai livelli di inizio pandemia. Le statistiche pubblicate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (OCSE) nei giorni scorsi forniscono una fotografia che comprende 36 Paesi, tra i quali la gran parte dei più sviluppati. Il rapporto tra entrate fiscali e Prodotto interno lordo per l’insieme di questi Paesi a fine 2022 si è attestato in media al 34%, in lieve calo rispetto al 34,2% del 2021 ma sopra il 33,6% del 2020. I Paesi che hanno fatto scendere la pressione fiscale in rapporto al 2021 sono stati 22, quelli che l’hanno fatta scendere rispetto al 2020 sono stati solo 14.

Si fa fatica a contenere la pressione fiscale, gli Stati hanno bisogno di parecchie entrate e l’insieme di imposte e tasse per persone e imprese tende in molti casi ad aumentare, anche se gradualmente. La tendenza storica disegnata dall’OCSE è abbastanza chiara. Senza andare sino al lontano 1965 - quando la media del rapporto con il PIL era del 24% ma i compiti degli Stati erano meno ampi - si può osservare come la percentuale fosse del 30% nel 1990 e del 32% nel 2000. Da allora, pur con qualche temporaneo ribasso, la pressione è passo dopo passo salita, sino al picco del 2021. Vedremo con i dati 2023 se questa leggera discesa del 2022 è un’inversione di rotta o l’ennesima oscillazione in un trend che è stato di lento ma sicuro aumento.

Se si guarda alle economie maggiori all’interno dell’OCSE (che ha 38 membri in tutto, mancano i dati 2022 di Australia e Giappone) si può vedere come gli Stati Uniti abbiano avuto l’anno scorso una pressione del 27,7% contro il 26,5% del 2021, come per il Canada la percentuale sia stata del 33,2% contro il 33,9% dell’anno prima e come per il Regno Unito le cifre siano state rispettivamente 35,3% e 34,4%. In questo blocco di stampo anglosassone la pressione resta contenuta, ma nel 2022 USA e Regno Unito l’hanno aumentata. Le principali economie di stampo europeo continentale hanno pressioni fiscali più accentuate e non hanno avuto diminuzioni nel 2022. La Germania si è difesa meglio di altri, con una percentuale del 39,3%, invariata rispetto al 2021. La Francia ha registrato un 46,1%, più elevato del 45,2% dell’anno prima, e l’Italia ha archiviato un 42,9%, più alto del 42,4% del 2021. Le tre maggiori economie dell’Unione europea non hanno ridotto l’alta pressione fiscale e in due casi l’hanno aumentata.

La Svizzera è tra i Paesi che hanno ridotto la pressione fiscale nel 2022, con un 27,2% che è sotto il 28,5% del 2021 e anche del 28% del 2020. Sappiamo che calcolando altre voci di prelievo obbligatorio, soprattutto l’assicurazione malattia, la pressione è più alta rispetto a questa indicata dall’OCSE. Tuttavia va registrato il tentativo concreto della Svizzera di rimanere a livelli bassi per quel che concerne l’incidenza fiscale in senso stretto e di scendere quindi dai picchi del biennio 2020-2021. È una questione di equilibrio, per tutti ma in particolare per gli Stati più indebitati. Da un lato è vero che lo Stato sociale, soprattutto nelle sue versioni europee, inclusa quella elvetica, richiede risorse molto consistenti; dall’altro è altrettanto vero che la pressione fiscale non può essere alzata oltre misura, altrimenti consumi e investimenti subiscono battute d’arresto. Gli Stati che non hanno i conti in ordine – fortunatamente non è il caso della Svizzera, grazie anche al suo freno all’indebitamento – dovrebbero operare soprattutto sul versante delle uscite, tagliando le spese improduttive. Operare solo o prevalentemente sul versante delle entrate, con aumenti eccessivi della pressione fiscale, non è una buona soluzione.