L'intervista

«Putin non ha mai considerato l'Unione Europea»

Con il Dottor Paul Flenley, professore di politica e relazioni internazionali presso l'Università di Portsmouth, proviamo a (ri)percorrere i rapporti fra Russia ed Europa
Marcello Pelizzari
24.03.2022 17:26

Da una parte la guerra: terribile, sanguinosa, violentissima. Dall’altra il dialogo, o meglio la speranza che – presto o tardi – i combattimenti lascino spazio alle parole. In generale, esperti e analisti in queste settimane si stanno concentrando parecchio sui rapporti fra Mosca e l’Occidente. Per capirne di più ci siamo rivolti al Dottor Paul Flenley, professore di politica e relazioni internazionali presso l’Università di Portsmouth, in Inghilterra, nonché grande esperto di legami Russia-UE.

Professore, partiamo da una provocazione: ci voleva una guerra per unire davvero l’Europa?
«Evidentemente sì. La velocità con cui l’Unione Europea si è riunita per concordare sanzioni significative è stata una risposta alla guerra. Di fronte all’aggressione russa, l’UE ha trovato una rinnovata unità e uno scopo». 

La risposta univoca all’invasione russa dell’Ucraina e l’unità di fronte alle sanzioni da imporre a Mosca hanno aperto un nuovo/vecchio orizzonte: l’Unione Europea, un giorno, avrà un esercito e una politica estera comuni.
«La guerra, certamente, ha spinto l’UE a considerare un rafforzamento della sua dimensione militare e la sua capacità di rispondere alle crisi in Europa. Ad ogni modo, non credo che un esercito dell’Unione, separato dalla NATO, sia possibile al di là del mantenimento della pace. Quanto a una politica estera comune, gli Stati membri vorranno sempre avere la loro sovranità. Non vedo molto consenso su questo fronte».

Se pensiamo alla Russia e all’Unione Europea, le relazioni sono sempre state bilaterali. Ovvero, condotte dai singoli Stati

In effetti, prima dell’invasione – ma anche dopo – diversi politici europei hanno preso l’iniziativa singolarmente, chiedendo e ottenendo colloqui con Vladimir Putin. Pensiamo a Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Parafrasando Orwell, alcuni sono più uguali degli altri all’interno dell’UE?
«Se pensiamo alla Russia e all’Unione Europea, le relazioni sono sempre state bilaterali. Ovvero, condotte dai singoli Stati. Putin, d’altronde, tendeva a non considerare l’UE seriamente. Ha sempre avuto un approccio tradizionale, molto tradizionale alla diplomazia. Preferendo parlare con i capi di Stato. Meglio, con capi di Stato di Paesi importanti. Ora che le relazioni con il Regno Unito sono ai minimi, per la Russia gli attori chiave a livello continentale sono Francia e Germania. Anche nelle crisi precedenti fu così, penso alla guerra russo-georgiana del 2008 nella quale la Francia ricoprì un ruolo importante».

Di fronte alla guerra, va da sé, le reazioni sono sempre più forti e spesso cariche di emozioni. Detto che l’Europa ha mostrato unità di fronte all’invasione russa, come mai – con i dovuti paragoni, s’intende – non fu così compatta all’epoca della Brexit? Al contrario, diversi Stati membri considerarono a loro volta di seguire il sentiero del Regno Unito.
«La mancanza di unità rispetto alla Brexit era figlia di molte ragioni, a mio avviso. Innanzitutto, l’euroscetticismo e il populismo erano tendenze molto forti in Europa. I governi, all’epoca, dovevano prestare particolare attenzione ed evitare di punire il Regno Unito. Detto ciò, non volevano nemmeno che passasse il messaggio contrario: cioè che fosse facile lasciare l’Unione e, addirittura, trarne vantaggio economico. Avrebbe incoraggiato i movimenti citati. L’UE, ancora, aveva bisogno di proteggere l’integrità del mercato comune. Concretamente, In pratica, le difficoltà che il Regno Unito ha dovuto affrontare a causa della Brexit hanno ridotto le pressioni per andarsene all’interno degli altri Stati. Gli ex partiti euroscettici ora parlano di riforma piuttosto che di uscita».

Boris Johnson, però, ha tracciato un parallelismo fra la resistenza ucraina e la lotta del Regno Unito per uscire dall’Unione Europea. Che cosa può dirci al riguardo?
«Dico che la sua uscita era totalmente fuori luogo. Le due situazioni sono differenti, non da ultimo perché l’Ucraina in realtà vuole entrare nell’Unione Europea. E la Russia, in risposta a questo desiderio, ha invaso il Paese e ucciso diversi civili. L’UE è un’unione stabilita liberamente dalle democrazie che punta al beneficio comune. È stata sviluppata come un’alternativa alla guerra e alle dittature in Europa».

Abbiamo parlato della Russia di oggi, quella che invade e uccide. Fino all’altro ieri, però, Mosca prediligeva l’arma del soft power. Pensiamo all’influenza, diretta e indiretta, esercitata sui movimenti populisti e sovranisti come sulla Brexit stessa. Alcuni leader politici, addirittura, erano vicinissimi a Putin. Salvini, Le Pen e tanti, tantissimi altri.
«Per molti, in Europa, Putin era una figura positiva. Questo perché, banalmente, il presidente russo si presentava come un campione dei valori conservatori tradizionali e si opponeva al liberalismo. È certamente corretto affermare che Putin avesse interesse a incoraggiare sviluppi politici in Europa tali da sconvolgere lo status quo. Dividere i propri nemici è stato a lungo parte della strategia difensiva russa. Tuttavia, penso che la tesi secondo cui Putin ha avuto un’influenza e un controllo sulla Brexit non sia corretta. Ci è piaciuto pensare che la Russia avesse questo grado di potere, ma simili sviluppi si sarebbero verificati comunque. Putin, semmai, era solo un beneficiario».

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, negli anni Novanta, inizialmente c’era una certa speranza. Mosca confidava nella costruzione di una nuova architettura di sicurezza, decisamente più inclusiva

Com’erano i rapporti fra Russia ed Europa prima dell’invasione?
«Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, negli anni Novanta, inizialmente c’era una certa speranza. Mosca confidava nella costruzione di una nuova architettura di sicurezza, decisamente più inclusiva. Un’architettura che superasse le vecchie divisioni della Guerra Fredda. L’interdipendenza economica, nel frattempo, cresceva. Allo stesso tempo, tuttavia, all’interno del Paese si sviluppò una certa disillusione nei confronti dell’occidentalizzazione. Il passaggio a un’economia di mercato aumentò la povertà generale, mentre poche persone guadagnarono grandi ricchezze. La percezione che la NATO si stesse espandendo verso Est e il trionfalismo dell’Occidente crearono un ampio grado di risentimento. Risentimento che continua a manifestarsi ancora oggi. La popolarità di Putin, in Russia, si è appoggiata sul suo ruolo di risolutore. Ovvero, di colui che ripristina lo status di superpotenza e fa crescere l’economia. Ci sono state diverse crisi in precedenza con l’Occidente. Penso al bombardamento della Serbia da parte della NATO nel 1999, la guerra russo-georgiana del 2008. Ogni volta, però, è seguito un reset nelle relazioni. Detto ciò, dopo l’Euromaidan in Ucraina, nel 2014, c’è stato un brusco calo nei rapporti. Fino alla crisi attuale, ad ogni modo, c’era ancora una certa riluttanza a rompere la dipendenza energetica».

Se pensiamo alla Russia in termini storici, è giusto o no considerarla come una nazione o un’entità al di fuori dell’Europa? Pietro il Grande, ad esempio, aveva viaggiato a lungo nel Continente, amava i Paesi Bassi e fondò San Pietroburgo con l’Europa in mente. Per tacere di uno dei nomignoli di Mosca, la «terza Roma».
«Su questa questione, in Russia, si dibatte fin dal diciannovesimo secolo. Gli occidentalisti credono che la Russia dovrebbe far parte dell’Europa o, almeno, dovrebbe adottare i modi di fare europei. Gli slavofili del diciannovesimo secolo e, più recentemente, gli eurasiatisti credono invece che la Russia abbia una sua civiltà separata e che sia superiore all’Occidente. Fino a poco tempo fa Putin credeva che la Russia fosse europea, una parte della civiltà europea, ma che la definizione di cosa significhi essere europei non dovesse essere dettata dall’UE. La Russia, ai suoi occhi, è il difensore dei veri valori europei».

Putin, in particolare, si è appoggiato anche sul cosiddetto mondo russo e su figure come Cirillo I, patriarca di Mosca, per puntare il dito contro il decadentismo dell’Occidente. Quanto è forte l’aspetto religioso, ma sarebbe meglio dire pseudo-religioso, in questa guerra?
«Come detto, gran parte del discorso tra Putin e l’UE riguarda la mancata difesa, secondo il presidente russo, dei valori cristiani. Si pensi al sostegno ai diritti LGBTQ. Tutto ciò fa parte di un tentativo di fare della Russia un polo conservatore alternativo. Un tentativo che si appoggia altresì sull’opinione populista antiliberale in Europa, soprattutto in Europa centrale e orientale. Eppure, fino al 2012 circa la Russia non voleva parlare di valori e religione nei suoi rapporti con l’UE. Sosteneva solo di volere un partenariato di interessi».

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