«Putin non ha mai considerato l'Unione Europea»
Da una parte la guerra: terribile, sanguinosa, violentissima. Dall’altra il dialogo, o meglio la speranza che – presto o tardi – i combattimenti lascino spazio alle parole. In generale, esperti e analisti in queste settimane si stanno concentrando parecchio sui rapporti fra Mosca e l’Occidente. Per capirne di più ci siamo rivolti al Dottor Paul Flenley, professore di politica e relazioni internazionali presso l’Università di Portsmouth, in Inghilterra, nonché grande esperto di legami Russia-UE.
Professore, partiamo da una provocazione: ci
voleva una guerra per unire davvero l’Europa?
«Evidentemente sì. La velocità con cui l’Unione Europea si è riunita per
concordare sanzioni significative è stata una risposta alla guerra. Di fronte
all’aggressione russa, l’UE ha trovato una rinnovata unità e uno scopo».
La risposta univoca all’invasione russa dell’Ucraina
e l’unità di fronte alle sanzioni da imporre a Mosca hanno aperto un nuovo/vecchio
orizzonte: l’Unione Europea, un giorno, avrà un esercito e una politica estera
comuni.
«La guerra, certamente, ha spinto l’UE a considerare un rafforzamento della sua
dimensione militare e la sua capacità di rispondere alle crisi in Europa. Ad
ogni modo, non credo che un esercito dell’Unione, separato dalla NATO, sia
possibile al di là del mantenimento della pace. Quanto a una politica estera
comune, gli Stati membri vorranno sempre avere la loro sovranità. Non vedo
molto consenso su questo fronte».


In effetti, prima dell’invasione – ma anche
dopo – diversi politici europei hanno preso l’iniziativa singolarmente, chiedendo
e ottenendo colloqui con Vladimir Putin. Pensiamo a Emmanuel Macron e Olaf
Scholz. Parafrasando Orwell, alcuni sono più uguali degli altri all’interno
dell’UE?
«Se pensiamo alla Russia e all’Unione Europea, le relazioni sono sempre state
bilaterali. Ovvero, condotte dai singoli Stati. Putin, d’altronde, tendeva a
non considerare l’UE seriamente. Ha sempre avuto un approccio tradizionale,
molto tradizionale alla diplomazia. Preferendo parlare con i capi di Stato.
Meglio, con capi di Stato di Paesi importanti. Ora che le relazioni con il
Regno Unito sono ai minimi, per la Russia gli attori chiave a livello
continentale sono Francia e Germania. Anche nelle crisi precedenti fu così,
penso alla guerra russo-georgiana del 2008 nella quale la Francia ricoprì un ruolo
importante».
Di fronte alla guerra, va da sé, le reazioni
sono sempre più forti e spesso cariche di emozioni. Detto che l’Europa ha mostrato
unità di fronte all’invasione russa, come mai – con i dovuti paragoni, s’intende
– non fu così compatta all’epoca della Brexit? Al contrario, diversi Stati
membri considerarono a loro volta di seguire il sentiero del Regno Unito.
«La mancanza di unità rispetto alla Brexit era figlia di molte ragioni, a mio
avviso. Innanzitutto, l’euroscetticismo e il populismo erano tendenze molto
forti in Europa. I governi, all’epoca, dovevano prestare particolare attenzione
ed evitare di punire il Regno Unito. Detto ciò, non volevano nemmeno che
passasse il messaggio contrario: cioè che fosse facile lasciare l’Unione e,
addirittura, trarne vantaggio economico. Avrebbe incoraggiato i movimenti citati.
L’UE, ancora, aveva bisogno di proteggere l’integrità del mercato comune.
Concretamente, In pratica, le difficoltà che il Regno Unito ha dovuto
affrontare a causa della Brexit hanno ridotto le pressioni per andarsene all’interno
degli altri Stati. Gli ex partiti euroscettici ora parlano di riforma piuttosto
che di uscita».
Boris Johnson, però, ha tracciato un
parallelismo fra la resistenza ucraina e la lotta del Regno Unito per uscire
dall’Unione Europea. Che cosa può dirci al riguardo?
«Dico che la sua uscita era totalmente fuori luogo. Le due situazioni sono differenti,
non da ultimo perché l’Ucraina in realtà vuole entrare nell’Unione Europea. E
la Russia, in risposta a questo desiderio, ha invaso il Paese e ucciso diversi
civili. L’UE è un’unione stabilita liberamente dalle democrazie che punta al
beneficio comune. È stata sviluppata come un’alternativa alla guerra e alle
dittature in Europa».
Abbiamo parlato della Russia di oggi, quella
che invade e uccide. Fino all’altro ieri, però, Mosca prediligeva l’arma del
soft power. Pensiamo all’influenza, diretta e indiretta, esercitata sui
movimenti populisti e sovranisti come sulla Brexit stessa. Alcuni leader politici,
addirittura, erano vicinissimi a Putin. Salvini, Le Pen e tanti, tantissimi
altri.
«Per molti, in Europa, Putin era una figura positiva. Questo perché,
banalmente, il presidente russo si presentava come un campione dei valori
conservatori tradizionali e si opponeva al liberalismo. È certamente corretto affermare
che Putin avesse interesse a incoraggiare sviluppi politici in Europa tali da
sconvolgere lo status quo. Dividere i propri nemici è stato a lungo parte della
strategia difensiva russa. Tuttavia, penso che la tesi secondo cui Putin ha
avuto un’influenza e un controllo sulla Brexit non sia corretta. Ci è piaciuto
pensare che la Russia avesse questo grado di potere, ma simili sviluppi si
sarebbero verificati comunque. Putin, semmai, era solo un beneficiario».


Com’erano i rapporti fra Russia ed Europa
prima dell’invasione?
«Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, negli anni Novanta, inizialmente c’era
una certa speranza. Mosca confidava nella costruzione di una nuova architettura
di sicurezza, decisamente più inclusiva. Un’architettura che superasse le vecchie
divisioni della Guerra Fredda. L’interdipendenza economica, nel frattempo,
cresceva. Allo stesso tempo, tuttavia, all’interno del Paese si sviluppò una
certa disillusione nei confronti dell’occidentalizzazione. Il passaggio a un’economia
di mercato aumentò la povertà generale, mentre poche persone guadagnarono
grandi ricchezze. La percezione che la NATO si stesse espandendo verso Est e il
trionfalismo dell’Occidente crearono un ampio grado di risentimento.
Risentimento che continua a manifestarsi ancora oggi. La popolarità di Putin, in
Russia, si è appoggiata sul suo ruolo di risolutore. Ovvero, di colui che
ripristina lo status di superpotenza e fa crescere l’economia. Ci sono state
diverse crisi in precedenza con l’Occidente. Penso al bombardamento della
Serbia da parte della NATO nel 1999, la guerra russo-georgiana del 2008. Ogni
volta, però, è seguito un reset nelle relazioni. Detto ciò, dopo l’Euromaidan
in Ucraina, nel 2014, c’è stato un brusco calo nei rapporti. Fino alla crisi
attuale, ad ogni modo, c’era ancora una certa riluttanza a rompere la
dipendenza energetica».
Se pensiamo alla Russia in termini storici, è
giusto o no considerarla come una nazione o un’entità al di fuori dell’Europa? Pietro
il Grande, ad esempio, aveva viaggiato a lungo nel Continente, amava i Paesi
Bassi e fondò San Pietroburgo con l’Europa in mente. Per tacere di uno dei
nomignoli di Mosca, la «terza Roma».
«Su questa questione, in Russia, si dibatte fin dal diciannovesimo secolo. Gli occidentalisti
credono che la Russia dovrebbe far parte dell’Europa o, almeno, dovrebbe
adottare i modi di fare europei. Gli slavofili del diciannovesimo secolo e, più
recentemente, gli eurasiatisti credono invece che la Russia abbia una sua
civiltà separata e che sia superiore all’Occidente. Fino a poco tempo fa Putin
credeva che la Russia fosse europea, una parte della civiltà europea, ma che la
definizione di cosa significhi essere europei non dovesse essere dettata dall’UE.
La Russia, ai suoi occhi, è il difensore dei veri valori europei».
Putin, in particolare, si è appoggiato anche
sul cosiddetto mondo russo e su figure come Cirillo I, patriarca di Mosca, per
puntare il dito contro il decadentismo dell’Occidente. Quanto è forte l’aspetto
religioso, ma sarebbe meglio dire pseudo-religioso, in questa guerra?
«Come detto, gran parte del discorso tra Putin e l’UE riguarda la mancata
difesa, secondo il presidente russo, dei valori cristiani. Si pensi al sostegno
ai diritti LGBTQ. Tutto ciò fa parte di un tentativo di fare della Russia un
polo conservatore alternativo. Un tentativo che si appoggia altresì sull’opinione
populista antiliberale in Europa, soprattutto in Europa centrale e orientale.
Eppure, fino al 2012 circa la Russia non voleva parlare di valori e religione
nei suoi rapporti con l’UE. Sosteneva solo di volere un partenariato di
interessi».