Qua la mano, ma i diritti umani?

«La Cina è vicina» dicevano un tempo alcuni. «Anche troppo vicina» risponderebbero oggi altri. Parliamo di relazioni fra il Ticino, Lugano in primis, e la terra del Dragone, al centro di una preoccupata interrogazione del granconsigliere Matteo Quadranti. L’episodio chiave, almeno quello più recente, è la visita a Palazzo civico dello scorso 19 gennaio di una delegazione dell’Università Tsinghua di Pechino, conosciuta come l'«Harvard della Cina», guidata dal suo rettore Li Luming. Ad accogliere gli ospiti c’erano il sindaco Michele Foletti, il direttore generale della SUPSI Franco Gervasoni e il membro del consiglio di fiducia della Franklin University Kim Hildebrant. Un incontro come tanti altri? Forse, ma ci sono almeno due fatti che meritano una riflessione e che hanno fatto discutere, in una situazione simile, anche in Inghilterra, a Cambridge, dove ha sede un’altra università di un certo pregio.
Sospetti e repliche
Il primo fatto è che l’Università Tsinghua collabora da tempo con una società specializzata in intelligenza artificiale, la iFlytek, parzialmente di proprietà statale, che nel 2019 era stata accusata di aver fornito i suoi sistemi di riconoscimento vocale e facciale per la sorveglianza delle minoranze etniche, specialmente uighure, nella provincia cinese dello Xinjiang. In poche parole, per una violazione dei diritti umani. L’azienda aveva respinto ogni addebito («abbiamo rigidi controlli interni, non sarebbe stato possibile violare la privacy degli utenti o i diritti umani») ma il sospetto le era costato l’inserimento in una lista nera degli USA e il conseguente divieto di fare affari con imprese americane.
La razza Stato
Il secondo fatto riguarda il direttore dell’Istituto per gli studi sulla Cina contemporanea dell’Università Tsinghua, il professor Hu Angang, coautore nel 2011 di un documento che promuove la creazione di un sistema mono-razziale in Cina, in cui si sosteneva che «la pace e la stabilità a lungo termine di qualsiasi nazione si fondano sulla costruzione di un sistema con una razza unificata che rafforza l’identità della razza-stato e diluisce l’identità del gruppo etnico». Parole che andrebbero contestualizzate ma che, come minimo, sono controverse.
Accademie sulla difensiva
Ai due fatti menzionati, che sono stati riportati sulla rivista universitaria Varsity in un articolo intitolato Cambridge tied with Chinese university linked to human rights abuses, Quadranti nella sua interrogazione ne aggiunge altri, tutti «svizzeri». Ad esempio le preoccupazioni espresse dal Consiglio federale, che ha parlato di «gravi violazioni dei diritti umani commesse nello Xinjiang» (preoccupazioni che tuttavia non impediscono a Berna di sviluppare i suoi accordi commerciali con la Cina, che è il terzo nostro partner più importante dopo Europa e Stati Uniti). Il granconsigliere del PLR si concentra poi in ambito accademico. «Già da anni vengono denunciate le interferenze del Partito Comunista cinese nei confronti di docenti e studenti, svizzeri e cinesi, nelle università elvetiche. Recentemente – aggiunge – l’università di Zurigo e il politecnico di Zurigo hanno comunicato apertamente che rinunciano a collaborazioni con università cinesi e che rifiutano candidati qualificati cinesi a causa del rischio di spionaggio, mentre il Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica ha già sospeso i suoi programmi di incentivi per la ricerca con la Cina».
Solo per conoscersi
Queste e altre riflessioni critiche sono state raccolte in un fascicolo nato da un’idea dell’avvocato Paolo Bernasconi e distribuito nei giorni scorsi in tutta la città. Titolo d’apertura: «Lugano sezione del PCC», il Partito comunista cinese. Dei rapporti fra la regina del Ceresio e il Paese asiatico abbiamo parlato con il sindaco Michele Foletti (si veda l’articolo sotto). La SUPSI, dal canto suo, si è limitata a precisare che l’incontro del 19 gennaio a Palazzo civico «ha avuto scopi puramente conoscitivi». Per il resto, «essendo nel frattempo stato inoltrato un atto parlamentare», siamo stati invitati «ad attendere le risposte che verranno fornite dal Consiglio di Stato». Aspettiamo anche quelle dell’Università Tsinghua, alla quale, senza mettere in discussione la sua storia e il suo valore accademico, abbiamo chiesto un commento sulle critiche ricevute e sulle collaborazioni che vorrebbe instaurare con Lugano e il Ticino.

"Non sta al Municipio di Lugano..."
Sindaco Foletti, può ricapitolarci come è nato l’incontro di gennaio con la delegazione dell’Università Tsinghua?
«È nato perché loro, da quello che so, si trovavano al Forum economico mondiale di Davos e hanno deciso di visitare l’Accademia d’architettura di Mendrisio, considerati il rapporto con l’architetto Mario Botta che ha realizzato la biblioteca dell’università e sta ora progettando altre opere nel campus cinese. Là hanno incontrato i vertici dell’USI, poi hanno chiesto di poter fare lo stesso con il Municipio di Lugano. Trattandosi di una visita dai contenuti prettamente accademici, li abbiamo accolti insieme a una delegazione della SUPSI e Franklin University. L’Università Tsinghua è molto conosciuta a livello internazionale: con l’Università di Ginevra, ad esempio, offre un programma di master sulla sostenibilità. È chiaro che ci sono alcuni aspetti critici, ma trattandosi di questioni accademiche tocca alle singole università valutarli. Da parte nostra ci limitiamo ad ospitare l’incontro e, nella misura del possibile, facilitare i contatti».
Sapendo in anticipo quali accuse sono state rivolte alla Tsinghua avreste accettato comunque, perché Lugano deve essere ospitale, o a determinate condizioni si può o si deve rinunciare ad aprire la propria porta?
«Cerchiamo di stare con i piedi per terra: non sta al Municipio di Lugano entrare nel merito di questioni internazionali. Ci atteniamo alle direttive dei dipartimenti federali degli Affari esteri e dell’Economia (SECO). Ci muoviamo in questo perimetro, nulla di più. Lugano, congiuntamente alle altre principali città svizzere e ai Cantoni, partecipa regolarmente ad incontri con le autorità federali proprio sul tema Cina. Durante questi incontri vengono toccati tutti gli aspetti delle relazioni con il Paese asiatico, comprese le criticità legate ad esempio ai diritti umani. L’obiettivo è proprio quello di essere allineati con la Confederazione».
Accogliereste a Palazzo civico l’ambasciatore russo, se volesse incontrarvi?
«Né sì né no. Semplicemente, oggi, Cina e Russia sono due situazioni nemmeno minimamente comparabili dal punto di vista di Berna. E noi, prima di prendere una decisione, ci confronteremmo con il DFAE. Contro la Federazione Russa il nostro Governo ha adottato misure senza precedenti a seguito della seconda invasione dell’Ucraina scatenata a fine febbraio 2022. Siamo allineati con le posizioni del Consiglio Federale».
Dopo l’incontro con la delegazione dell’Università Tsinghua avete scritto che «il valore delle relazioni con la Cina risiede nello scambio di conoscenze, nella sensibilizzazione di studenti e docenti svizzeri alle tendenze di un Paese emergente in forte crescita e tra i più produttivi e innovativi». Cosa può dare, oggi, a Lugano, il fatto di aprirsi alla Cina?
«La Svizzera è stata uno dei primi Paesi a sottoscrivere un accordo di libero scambio con la Cina. Per le imprese ci sono possibilità che in altre parti del mondo mancano. Se ci sono aziende ticinesi che ce lo chiedono, grazie ai rapporti instaurati dai tempi di Giorgio Giudici, abbiamo questa possibilità. Non è facile, perché le richieste del mercato cinese sono importanti a livello quantitativo, ma puntualmente qualcosa può nascere».