«Rinunciare agli F-35 significa rinunciare alla difesa aerea»

Gli F-35 «Lightning II» della Lockheed Martin, oppure il jet da combattimento F/A-18 «Super Hornet» (anch’esso statunitense), il francese Rafale o ancora l’Eurofighter di Airbus? Erano queste le quattro opzioni a disposizione della Confederazione dopo il sì alle urne (con il 50,1% dei voti) sull’acquisto dei nuovi aerei per l’Esercito.
Ora che il limite di sei miliardi di franchi potrebbe essere superato, è giusto continuare con l’acquisto degli F-35? «Assolutamente sì. È l’unico aereo di quinta generazione e ci permette di avere un vantaggio di dieci anni rispetto agli altri modelli di quarta generazione», afferma Michele Moor, presidente della Società svizzera degli ufficiali (SSU), eletto lo scorso mese di marzo. Per il ticinese, che di grado è colonnello di Stato Maggiore Generale (SMG), il problema non riguarda la tipologia di aereo.
Moor punta invece il dito contro l’ex «ministra» della Difesa, Viola Amherd. «Non si tratta di un errore dell’esercito, la colpa è della politica. E il capo del DDPS è certamente responsabile», afferma il ticinese. «Probabilmente l’errore è stato quello di aver sbagliato la stesura dei contratti, ma rinunciare all’F-35 significa, di fatto, rinunciare alla difesa aerea dopo il 2030».
Tra cinque anni, infatti l’F/A-18 dell’Esercito svizzero raggiungerà la fine del suo ciclo di vita. «Ci vogliono circa dieci anni per acquistare qualsiasi velivolo da combattimento, ma la minaccia potrebbe aggravarsi ben prima, già nel 2027», sostiene Moor. La consegna dei jet alla Svizzera è prevista tra il 2027 e il 2030: nei primi anni ci sarà l’istruzione (di piloti e personale di manutenzione) direttamente negli Stati Uniti, mentre l’impiego dell’F-35 in Svizzera è previsto «dal 2030 ad almeno il 2060». A oggi, inoltre, la Confederazione ha già versato un anticipo di circa 900 milioni di dollari per i 36 aerei da combattimento ordinati.
Cooperazione internazionale
Per il presidente della SSU, «non si può rinunciare a questo aereo. È il migliore e vari Paesi europei (tra cui Germania e Italia, ndr) l’hanno ordinato o lo stanno già utilizzando».
Riuscire a mantenere le condizioni auspicate da Berna appare difficile. Ma quali sono per il presidente della SSU le possibili soluzioni alternative? «La strada principale è la ricerca di un compromesso tra le due parti. Gli Stati Uniti dovranno abbassare il prezzo e noi aumentare l’investimento. Bisogna rendersi conto che tra COVID e guerra in Ucraina la situazione è cambiata: c’è stato un aumento dei costi e un incremento della domanda di armamenti. Ma non è possibile produrre in fretta più velivoli».
Il ticinese, però, è categorico: «Questo aereo dobbiamo averlo, quindi si comprerà lo stesso». A suo avviso, è anche opportuno continuare con l’acquisto di tutti e 36 gli apparecchi. Moor punta invece il dito contro i mancati investimenti negli scorsi anni. «Abbiamo dormito in tutta Europa, pensando che non sarebbe mai successo niente», sostiene il 60.enne, auspicando investimenti pari al 3% del PIL. Oggi la quota si aggira attorno allo 0,8% e l’obiettivo attuale della politica è di raggiungere l’1% entro il 2032.