Risanamenti, stime e sfitto: la pressione è alta
L’immobiliare è un settore che finora ha offerto molte soddisfazioni a chi ha scelto di investirci. Sia come rendimenti, sia come aumento dei valori, sia come sicurezza personale. Ma ora la pressione sta aumentando, e il settore deve affrontare molte sfide. A parlarne ieri è stato Gianluigi Piazzini e Renata Galfetti, rispettivamente presidente e segretaria cantonale della Catef, la Camera ticinese dell’economia fondiaria, in occasione dell’assemblea dell’associazione.
La lista dei temi sul tappeto è lunga, ma secondo Piazzini quelli principali sono innanzitutto le stime e i risanamenti, senza dimenticare lo sfitto, che ha raggiunto livelli di allarme.
Partiamo da un aspetto delicato, quello dei risanamenti, visto che gli immobili datati ormai rappresentano il 60-70% del patrimonio immobiliare, anche se spesso posizionato in ottime zone, ossia nelle prime periferie delle città. «Stiamo parlando - ha spiegato - degli immobili costruiti fra il primo dopoguerra e il 1975, che ora iniziano a non rispettare più le esigenze di mercato».
Sgravi fiscali mirati
«Bisognerebbe studiare - ha rilevato - sgravi fiscali per la prima casa sul modello italiano e avere un diritto di locazione più duttile e soprattutto riconoscere interventi commisurati in funzione della vetustà per i palazzi. In fondo gli immobili di cui stiamo parlando hanno un’età di 70 o 80 anni, e oggi sono sul crinale, messi sotto pressione dalle nuove costruzioni. La scelta è demolire o risanare, ma quest’ultima soluzione costa molto». «Il risanamento - ha sottolineato dal canto suo Renata Galfetti - è molto difficile perché bisogna farlo rispettando molte norme, per esempio quelle per i portatori di handicap, quelle ambientali, e via dicendo. Inoltre con gli stabili occupati è quasi impossibile ristrutturare. Bisognerebbe svuotarli, ma per i proprietari sensibili, che conoscono gli inquilini, non è una scelta che si fa a cuor leggero».
Valutazioni più alte?
Un altro capitolo delicato è quello delle stime. Ora è in vista un aggiornamento delle stime. «In considerazione dell’aumento del costo del denaro - ha notato Piazzini - noi non solo auspichiamo, ma esigiamo una neutralizzazione fiscale, intervenendo sulle aliquote e sulle varie accise. Sia a livello cantonale, sia comunale». Renata Galfetti ha spiegato che si tratta di un tema molto importante, perché molti piccoli proprietari non godono di un aumento reale del patrimonio, ma con stime più alte si vedono aumentare le tasse, con per giunta la possibilità di perdere sussidi, aiuti per figli agli studi, e in caso di anzianità, di dover pagare di tasca propria la casa di riposo. Uno dei grandi temi che turbano il sonno degli operatori immobiliari è lo sfitto, che in Ticino ha raggiunto quote elevate, con un livello che nel 2021 ha raggiunto gli 7.000 oggetti vuoti, in aumento del 5,7% rispetto allo 2020. Il tasso sul parco complessivo ormai è del 2,83%, il che ci pone al secondo posto della classifica cantonale, dopo Soletta.
Non tutto lo sfitto è segnalato
I responsabili della Catef hanno sottolineato che non tutte le abitazioni vuote vengono segnalate all’Ufficio di statistica, anche se queste rilevazioni vengono fatte con impegno e in modo serio. «Il problema - ha detto Piazzini - è che non pensiamo che ci sarà un rientro significativo, anzi...». Dal canto suo Renata Galfetti ha affermato che secondo la Catef un tasso «normale» di sfitto dovrebbe aggirarsi fra l’1 e l’1,5%. «Si tratta - ha rilevato Piazzini - di un enorme campanello di allarme, anche perché mostra un ingente immobilizzo di capitale. Se moltiplichiamo 7.000 per 300 mila franchi capiamo di cosa stiamo parlando. Inoltre, l’aumento rispetto all’anno precedente è stato di 300 unità, mentre la popolazione sta scendendo». Fra i temi ancora trattati vi è stato anche lo stallo pianificatorio, visto che secondo Piazzini il processo è troppo lento, con prevalenza di aspetti tecnico su quelli politici e una visione troppo frammentaria e poco condivisa, senza dimenticare la «ricorsite» per grandi e piccole opere. «Occhio: dobbiamo aggiornare tutti i piani regolatori. Siamo già fuori tempo massimo».

Affittare è meglio che comprare?
Facendo astrazione dai fattori legati alla qualità della vita e alla sicurezza a lungo termine, finanziariamente parlando conviene acquistare un alloggio o restare in affitto? La questione è stata sollevata di recente da uno studio del Credit Suisse, che affermava che per la prima volta da 13 anni chi acquista un appartamento di proprietà ha oneri superiori a chi, invece, prende un alloggio comparabile in locazione.
Il trend è cambiato
L’inversione di tendenza si spiega con il forte aumento dei tassi delle ipoteche fisse registrato di recente. È una domanda che molti interessati al mercato immobiliare si sono posti di recente, e che abbiamo girato a Gian Luigi Piazzini, presidente della Catef. «Chiaramente - afferma - queste sono ipotesi di lavoro abbastanza significative elaborate in genere da grandi istituti bancari. Certamente, con un costo del denaro attorno all’1% fino a qualche tempo fa la bilancia pendeva a favore dell’acquisto, visto che era sotto ai canoni di mercato. Ma la mia impressione è che, visto che il tasso ipotecario tende a salire, anche se lentamente, questo conteggio non è più a favore dei proprietari. Ma, se si può dire, sono "calcolucci", che comunque non vanno a mortificare la voglia di investire in una abitazione propria, vista l’importanza che questa ha nella vita delle famiglie».
I prezzi sono saliti molto
«Ma è chiaro - sottolinea - che guardando al lato finanziario, ora è un po’ meno conveniente acquistare. Poi, intendiamoci, anche i prezzi immobiliari sono saliti molto, anche se bisogna sempre segmentare un po’ il nostro mercato, anche perché spesso si parla di Zurigo, dove la domanda è fortissima, mentre da noi la situazione è diversa».
«Inoltre - illustra - ci sono altri due elementi che contano moltissimo. Il primo è che i costi di produzione sono aumentati, anche perché le esigenze sono maggiori. Inoltre, parallelamente, il costo dei terreni è salito, visto che ce ne sono sempre meno disponibili, e che la pianificazione territoriale in futuro ne limiterà ulteriormente l’utilizzo. E quindi qui pesa il gioco tra domanda e offerta. Per giunta a questo livello la partita si gioca nelle zone urbane, dove si sente molto l’aumento del costo del terreno».
Tornando allo studio del Credit Suisse, nel primo trimestre 2022 i proprietari hanno dovuto pagare il 3,1% in più per la proprietà abitativa rispetto agli inquilini, mentre all’inizio del 2021 risparmiavano il 15,5%.