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Se le tensioni tra Pristina e Belgrado si riaccendono

La Serbia tuttora non riconosce l’autonomia del Kosovo e considera i confini dell’ex provincia come «amministrativi» - Rimandato nel frattempo l'obbligo di documenti e targhe kosovare nel nord del Paese a maggioranza serba
Jenny Covelli
01.08.2022 09:31

Il governo del Kosovo ha rinviato di un mese, fino al 1. settembre, il divieto dell'uso di documenti d'identità serbi e (tra gli altri) le targhe delle auto nelle regioni del nord a maggioranza serba, secondo quanto riferiscono varie agenzie di stampa internazionali. La misura, che sarebbe dovuta entrare in vigore oggi, aveva scatenato violente reazioni da parte della minoranza serba del Kosovo e riacceso pericolosamente le tensioni tra Pristina e Belgrado. I manifestanti kosovari di origine serba hanno bloccato le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, obbligando le autorità a deciderne la chiusura. 

Le reazioni

La Forza per il Kosovo a guida Nato (KFOR) «controlla da vicino» la situazione al confine tra Kosovo e Serbia ed è «pronta a intervenire se la stabilità è messa in pericolo» in base al suo mandato, sancito dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, si legge in un comunicato emesso ieri sera, in cui si afferma che il comandante della KFOR, il generale ungherese Ferenc Kajari, è in continuo contatto con tutte le istituzioni interessate, e anche con i vertici militari serbi. La KFOR, forte di circa 3.500 uomini, è presente in Kosovo dalla fine della guerra nel 1999, sulla base della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

«Benvenuta la decisione del Kosovo di spostare le misure al 1. settembre. Ora ci si aspetta che tutti i blocchi stradali vengano rimossi immediatamente», ha twittato l'Alto Rappresentante UE per la Politica Estera, Josep Borrell. «Le questioni aperte dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo facilitato dall'UE e l'attenzione è sulla normalizzazione globale delle relazioni tra Kosovo e Serbia, essenziali per i loro percorsi di integrazione nell'UE», ha aggiunto.

Richard Grenell, ex inviato speciale degli Stati Uniti per i negoziati di pace tra Serbia e Kosovo, ha criticato in un tweet il primo ministro del Kosovo Albin Kurti. «Ho molti amici in Kosovo che sono molto arrabbiati con Kurti. Il popolo merita un leader che vuole un lavoro, non un conflitto. Il Kosovo merita di meglio. Kurti sta causando questi conflitti con la sua mossa unilaterale di vietare i documenti d'identità e le targhe serbe».

Il presidente della Serbia Aleksandar Vucic, ieri sera ha auspicato: «Spero che avremo il tempo di prepararci per un colloquio e cercare di trovare una soluzione di compromesso e mantenere la pace».

Cosa sta succedendo?

La crisi è stata aperta dall'annuncio del governo di Pristina dell'entrata in vigore di una serie di misure che obbligherebbero la popolazione serba, maggioritaria nel nord del Kosovo e che resta legata alle strutture parallele che la Serbia mantiene in Kosovo, a procurarsi documenti di identità emessi dalle autorità kosovare e a sostituire le targhe delle auto serbe con quelle kosovare. 

Quattordici anni dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, 50.000 serbi che vivono nel nord del Paese utilizzano targhe e documenti rilasciati dalle autorità serbe, rifiutandosi di riconoscere le istituzioni della capitale Pristina. Il Kosovo è stato riconosciuto come Stato indipendente da oltre 100 Paesi, ma non dalla Serbia. 

Il governo del primo ministro Albin Kurti aveva dichiarato che avrebbe concesso ai serbi un periodo transitorio di 60 giorni per ottenere le targhe del Kosovo, un anno dopo aver rinunciato a cercare di imporle a causa di proteste simili. Il governo aveva anche deciso l'obbligo di munirsi di un documento aggiuntivo per tutti i cittadini serbi che intendono attraversare la frontiera. Una regola simile è applicata dalle autorità di Belgrado ai kosovari che visitano la Serbia. Ma in seguito alle tensioni, tutto viene rimandato di un mese.

Una disputa che si trascina da tempo

La questione delle targhe delle auto infiamma il dialogo da tempo. Kosovari e serbi non accettano reciprocamente le targhe a causa degli stemmi nazionali. La Serbia non approva la bandiera kosovara perché pensa che potrebbe essere un passo verso il riconoscimento del Kosovo. E da tempo i veicoli con targa kosovara (RKS) in entrata in Serbia devono sovrapporre una targa temporanea con le sigle serbe.

Negli ultimi giorni si è ripetuto quanto accaduto nel settembre dello scorso anno. Le autorità kosovare avevano imposto la rimozione delle targhe serbe dalle auto in ingresso nel Paese, chiedendo che venissero sostituite con altre, temporanee e riconoscibili per la sigla RKS (Repubblica del Kosovo), valide due mesi e dal costo di cinque euro. Pristina intendeva così applicare una legge speculare a un analogo provvedimento serbo, che è già in vigore da anni. Il 20 settembre la polizia speciale kosovara era stata inviata sul confine con veicoli corazzati e si era innescata la tensione con Belgrado, che non riconosce l’autonomia del Kosovo e considera i confini dell’ex provincia come «amministrativi». Centinaia di vetture avevano bloccato la strada al valico di confine tra Jarinje e Brnjak. La polizia del Kosovo aveva sparato gas lacrimogeno sulle persone in strada, che hanno però continuato a impedire il traffico.

Linguaggio della tensione

Nel 2013 i due Paesi si sono impegnati in un dialogo sponsorizzato dall'Unione Europea per cercare di risolvere le questioni in sospeso, ma i progressi non sono stati molti. Le tensioni tra i due Paesi rimangono alte e la fragile pace del Kosovo è mantenuta da una missione della NATO che conta oltre tremila truppe sul terreno. 

Il presidente serbo Aleksandar Vucic, parlando alla nazione ieri, ha affermato: «I serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic». Il premier kosovaro Albin Kurti ha dal canto suo accusato gruppi serbi «fuori legge» di aver aperto il fuoco contro la polizia kosovara al confine con la Serbia.

Anche la reazione della Russia non si è fatta attendere. «Facciamo appello a Pristina, e agli USA e alla UE che la sostengono, perché mettano fine alle provocazioni e osservino i diritti dei Serbi del Kosovo», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che ha denunciato come discriminatorie le nuove regole imposte dalle autorità kosovare. «I leader kosovari sanno che i serbi non rimarranno indifferenti di fronte a un attacco diretto alla loro libertà». Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha aggiunto: «Tutti i diritti dei serbi in Kosovo devono essere rispettati.  I paesi occidentali, che avevano riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, dovrebbero avvertire le autorità della repubblica di non compiere passi sconsiderati, mentre i diritti dei serbi che vi risiedono devono essere rispettati. Crediamo che i Paesi, che hanno riconosciuto il Kosovo e ne sono diventati i garanti, debbano esercitare tutta la loro influenza per avvertire le autorità del Kosovo dall'adozione di misure sconsiderate che possano portare all'escalation».

I serbi del Kosovo non riconoscono l’autorità di Pristina e rimangono fedeli a Belgrado da cui dipendono finanziariamente. Il presidente serbo ha affermato che la situazione in Kosovo «non è mai stata così complessa» per la Serbia e per i serbi che vi vivono. Da parte sua Kurti ha accusato Vucic di aver scatenato «problemi». «Le prossime ore, giorni e settimane possono essere difficili e problematiche», ha scritto il primo ministro kosovaro su Facebook.

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