Servono soluzioni, non fiumi di parole

Da alcuni giorni il mondo della politica cantonale ha azionato il freno (senza aver, in realtà, mai pigiato sull’acceleratore) in materia di risanamento delle finanze e di Preventivo 2024 del Cantone. Tutto si è arenato, ma va riconosciuto che a non essere finite nel congelatore sono state le parole che da mesi si sentono sul dossier. Il tutto è oggetto dei cosiddetti «approfondimenti», ma ad oggi nessuno ha mai dimostrato di entrare con decisione e spirito positivo nel merito del gravoso dossier che dall’autunno è sul tavolo della commissione parlamentare incaricata. L’ormai lontano 18 ottobre il Governo aveva dato il suo benestare a una manovra da 134 milioni di franchi e a un deficit di 95,7 milioni per l’anno in corso. Il Consiglio di Stato, fedele allo stile che lo contraddistingue nella forma, aveva esortato il Parlamento ad assumere un atteggiamento volto alla «collaborazione», mostrando «senso di responsabilità». Quanto credesse che ciò sarebbe stato possibile non si sa, ma era quanto meno doveroso dirlo. D’altro canto, lo sappiamo bene tutti: nessuno è in grado di dire solo ciò che pensa, altrimenti ci troveremmo in perenne conflitto con gli altri. Pertanto, si può sostenere che l’Esecutivo ha fatto la sua parte, ha giocato cioè a fare il Governo. Nella speranza che il Parlamento non giocasse a fare il Parlamento, ovvero a dare vita ad una serie di veti incrociati sorretti dalla logica dilatoria per evitare alla fine di decidere. O meglio, di trovarsi in una posizione scomoda. Un desiderio che era illusorio vedere trasformato in realtà. Da subito è partito il gioco dello smarcarsi, che fa rima con profilarsi nel senso di distanziarsi perché questa manovra, tanto impopolare, nessuno è disposto a farla propria. Il PLR aveva affermato «manca una prospettiva chiara», Il Centro «nessuna revisione seria della spesa», il PS bollato come «inaccettabili i tagli ai sussidi e sul personale», la Lega detto subito «non escludiamo correttivi», l’UDC sostenuto che il tutto «non è realizzabile in così poco tempo» e i Verdi lamentato che «così si colpisce il ceto medio». Altro che il sogno dei mattoni e del cemento per costruire un tassello alla volta il domani, ma piccone e martello pneumatico per abbattere tutto. Per stupirsi occorre essere ingenui fino al midollo e credere nelle favole a lieto fine.
E siamo ai giorni nostri, ad oggi, il giorno dell’incontro tra la Commissione della Gestione e l’Esecutivo. Delle due l’una: o si pone l’asticella ambiziosamente in alto (e si resterà delusi), oppure si parte dal presupposto che non ci si attende nulla, e che ogni cosetta che emergerà sarà un successo. C’è da chiedersi chi farà un passo in avanti, chi si assumerà la responsabilità di passare dalla fase dell’opposizione a quella propositiva. Per fare il primo passo ci vuole davvero coraggio perché con le carte oggi sul tavolo il solo atteggiamento che pare pagante è quello dell’ostruzionismo, ben che vada, di coloro che cercano il pelo nell’uovo alla ricerca di una illusoria perfezione, per trasformare il dolore di una misura di risanamento nell’apparente beneficio grazie al rinvio della stessa. Il momento storico è molto complicato e non basta più un Governo che presenta le sue mosse e poi, in nome del rispetto istituzionale, si trincera dietro un imbarazzato silenzio mentre le forze politiche picconano senza tregua e la piazza si riempie. Sabato è in agenda una nuova adunata a Bellinzona per dire «stop ai tagli». Anche questo non depone a favore di decisioni contro la corrente che si rafforza e che va per la maggiore. Intanto la Commissione della Gestione e il Governo hanno trascorso gli ultimi mesi elaborando, i primi, domande a raffica per capire e mettere in difficoltà e, gli altri, per spiegare portando più acqua possibile al proprio mulino. Peccato che il fiume di parole non faccia rima con un fiume di soluzioni.